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Nepal: altro fallimento delle Nazioni Unite

Come sempre accade, le "grandi operazioni umanitarie" dirette dalle Nazioni Unite (e in cui s’accodano ONG varie) portano pochi risultati per i beneficiari, anzi a volte danni per il paese in cui operano. L’UNMIN in Nepal ne è un esempio e ricalca altre operazioni simili in Ruanda, Afghanistan, Sierra Leone, Liberia, Somalia. Niente di nuovo..

Bene, fra fanfare e bandiere ripiegate, l’UNMIN (United Nation Mission in Nepal) se ne sta andando. Arrivò nel 2007 con grande dispiegamento di mezzi, soldi, e personale (come sempre) con il compito di favorire il processo di pacificazione nazionale (dopo la rivoluzione e la caduta della monarchia nell’aprile 2006) e reinserire i combattenti maoisti nella società.

I circa 10.000 combattenti sono ancora nei campi a vivacchiare con i sussidi internazionali, qualcuno si è dato all’alcool, altri al brigantaggio e una decina si sono suicidati. I pochi reintegrati sono quelli che stanno facendo i funzionari o picchiatori del Partito Maoista pagati dall’assistenza internazionale. Buona parte dei fondi destinati al loro mantenimento e reintegro sono finiti nelle casse del Partito che, astutamente, fece lievitare al momento della registrazione dei combattenti il loro numero. Un famoso videotape del leader maoista Prachanda, spiega il meccanismo e spiega anche perché i maoisti siano gli unici a voler mantenere in Nepal l’UNMIN. Gli altri partiti, la stampa e l’opinione pubblica criticano, da anni, l’inefficienza, l’inutilità e gli sprechi di questa ennesima operazione umanitaria e ne chiedono la chiusura.

Dal 2007 niente è cambiato nello status dei combattenti maoisti, niente è stato fatto per risarcire le vittime del conflitto anzi per cercare di estendere la missione (e le loro prebende) i funzionari delle Nazioni Unite hanno boicottato e cercato di frenare ogni iniziativa autonoma dei nepalesi per gestire il processo di pace they invented many excuses and reasons to extend their stay in Nepal. Neither UNMIN nor the UN facilitated the strengthening of the Special Committee to take up monitoring responsibility. Clearly, strengthening the Special Committee was a suicidal game for UNMIN, scrivevano i giornali. Infatti, oggi, i maoisti hanno accettato di far funzionare il Comitato e di sottoporsi alle sue decisioni.

Fastidioso è stato, come sempre accade in queste operazioni, la previsione di disastri imminenti, di ripresa della guerra civile, a seguito del ritorno a casa di qualche migliaio di fancazzasiti delle Nazioni Unite. La situazione in Nepal potrà solo migliorare e le tensioni, dovute al ruolo non chiaro dell’UNMIN stemperarsi. Dell’UNMIN la gente comune ride, ricordando che in 3 anni d’attività l’unico elemento positivo sono stati gli affitti pagati dai funzionari, i soliti privilegiati nepalesi assunti e i soldi spesi in birre, dance bar e cene. Già rideva quando vedeva svolazzare gli elicotteri e gli aerei bianchi e si domandava che gita facessero, mentre la maggior parte dei funzionari bivaccava negli hotel di Kathmandu.

Tutta questa baracca impiegava oltre 1400 persone (including 380 international staff, 489 national staff and 258 United Nations Volunteers. In addition, there were 155 military observers and 7 police advisers). La media è di un funzionario ogni 10 combattenti, quasi delle balie. Il costo iniziale della missione è stato di USD 100 milioni (2007) arrivato ad oggi ad oltre USD 250 milioni. Con questi soldi si potevano costruire 10.000 scuole o comprare un negozietto a tutti combattenti ancora nei campi. Già molti membri delle Nu avevano contestato gli alti costi.

Come spesso accade nelle grandi operazioni delle NU tutto è sempre avvolto nel mistero, in incomprensibili intrighi fra politicanti e funzionari UN. Da anni i nepalesi chiedevano The question arises whether we should not seek accountability from the UMNIN leadership in the same manner we do from our politicians and bureaucrats. While Karin Langdren, the present chief, has been rewarded with a promotion and a Burundi assignment. Si chiedeva trasparenza “all agreements (official and unofficial) between UNMIN, the SPA and the Maoists should be shared in the public domain".

In sintesi nessun obiettivo posto alla Missione è stato raggiunto, anzi i meccanismi nazionali di pacificazione sono stati bloccati perché avrebbero tolto potere all’UNMIN, la poca trasparenza e l’incapacità dei suoi funzionari ha inasprito le tensioni fra i partiti politici. Insomma un disastro, l’unico risultato è stato il vitto e alloggio dei combattenti nei campi e la loro gestione non impeccabile visto che sono scoppiate epidemie varie. L’ultimo incontro fra il governo e i funzionari dell’UNMIN è stato freddissimo, come due sposi separati hanno parlato solo della divisione dei beni, cioè della gestione degli immensi equipaggiamenti comprati dalle NU, The PM Nepal requested Landgren (capo missione UNMIN) to hand over the vehicles, monitoring equipments and other gadgets used by UNMIN at the cantonments where Maoist combatants have been kept.

Ma non sono solo le NU a dilapidare risorse con la scusa delle iniziative post-conflitto, quando s’intravede una “grande operazione umanitaria” anche le ONG s’infilano e la nostra Unione Europea ha stanziato euro 22 milioni per supportare the United Nations Peace Trust Fund Nepal (?). Anche le INGO non scherzano avendo speso nel 2009\2010 oltre euro 28.000.000 in “peace (?), education, rights based advocacy”, dichiara il V.Capo del SWC (Social Welfare Council) che dovrebbe controllare i progetti delle INGO.

I risultati, data la situazione politica e di sicurezza del paese e l’assenza di prospettive concrete per gli ex-guerriglieri, sono simili a quelli delle NU. Il Nepal ha già subito una fallimentare operazione umanitaria quella relativa ai 110.000 profughi nepalesi del Bhutan. Per 20 anni hanno languito nei campi profughi del Terai, dove si è creata una situazione d’insicurezza e d’economia illegale senza che nessuna iniziativa concreta fosse fatta per reintegrali nella società nepalese; solo negli ultimi mesi circa 30.000 sono stati accolti in USA, Canada e altri paesi. Come per i campi dei guerriglieri maoisti così come per i profughi la soluzione del problema avrebbe significato la fine del lavoro per migliaia di funzionari occidentali e locali.

Anche qui niente di nuovo perché lo stesso accade in ogni grande operazione “umanitaria” dove i campi profughi diventano una fonte di reddito improduttiva per tutti (compresi i profughi stessi). Ma fatto un po’ più grave è che, come accaduto in Nepal con i maoisti, i soldi dei finanziamenti internazionali invece di risolvere conflitti e tensioni li alimentano. I maoisti nepalesi hanno finanziato i giovani picchiatori della YCL con i soldi inviati dai donatori internazionali per gli ex-guerriglieri; in Afghanistan i signori della Guerra e gli speculatori di Kabul vivono e prosperano grazie agli aiuti internazionali.

Nel passato nei campi profughi di Goma (ex Zaire), l’esercito ruandese hutu si riarmava e compiva massacri contro i Tutsi nel Ruanda grazie alle percentuali sugli aiuti internazionali estorti ai donatori; in Cambogia i Khmer Rossi sono sopravissuti più del dovuto grazie ai finanziamenti ricevuti nei campi profughi Thailandesi; in Liberia dove il governo del dittatore Taylor (siamo nel 2002) sopravviveva grazie alle percentuali prese dagli aiuti internazionali; secondo le stime di organizzazioni indipendenti circa il 30% degli aiuti, alimenti e medecine inviate ad Aceh (Tsunami in Indonesia) fu dato ai militari indonesiani che li rivendevano al mercato nero (e qua ci troviamo Ian Martin diventato capo dell’UNMIN); in Somaliland o in Puntland le organizzazioni umanitarie accontentavano con quote degli aiuti i signori della guerra locali; nel Congo Orientale le organizzazioni umanitarie si potevano muovere solo finanziando i guerriglieri Hema e in Sri Lanka le Tigri Tamil; potremmo continuare con le altre “grandi operazioni umanitarie in Sierra leone, Liberia dove i meccanismi di finanziamento agli attori della guerre o dei disastri umanitari hanno permesso loro di continuare a distruggere. Ci sarebbe da riparlarne.

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