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"Musulmani ed Europei": spunti per una riflessione sui modelli di integrazione

Il numero di gennaio 2018 della Rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo è dedicato al rapporto tra Europa e Islam. Trovo questo numero particolarmente interessante per gli spunti di riflessione che essa offre sulla questione più generale dell’immigrazione. 

L’Italia tra gli Stati europei solo da alcuni anni è interessata a tale fenomeno. La questioni immigrazione è stata affrontata per la prima volta trent’ani fa da Claudio Martelli, Ministro di Grazia e Giustizia nel 1989, che si fece promotore della prima legge in materia di immigrazione. Lo stesso Craxi, da Segretario del PSI e da Presidente del Consiglio, in più occasioni intervenne sulla questione evidenziando come la crescita demografica e le istanze di crescita sociale ed economica che venivano dalle comunità che abitavano la sponda sud del Mediterraneo andavano affrontate in termini di cooperazione e di sviluppo tra il nord e il sud del Mediterraneo al fine di evitare l’ecatombe che si sta consumando nel Mediterraneo.

Leggendo i dati demografici dell’epoca era del tutto evidente che il problema sarebbe prima o poi esploso. Negli anni 90 del secolo scorso l’Occidente era impegnato nella unificazione del Mondo al’insegna della ideologia della Globalizzazione, del mercato e del pensiero unico neoliberista. L’Occidente in quel momento guardava ad Est. Il crollo dell’URSS, la fine dei regimi comunisti, la guerra civile Jugoslava erano le questioni. La fine di quel sistema economico, politico e sociale portò milioni di persone ad immigrare da Est verso Ovest. Il dato degli stranieri residenti in Italia testimoniano come il numero di immigrati sia costituito in prevalenza da persone provenienti dall’Est Europeo con una prevalenza di Rumeni che rappresentano la comunità più grande.

A quella prima ondata migratoria, a seguito delle Guerre promosse per esportare la Democrazia successe quella dal Medio Oriente e dal Maghreb alla quale assistiamo oggi. Il problema immigrazioni, oggi usata strumentalmente, è diventato in Italia l’unico oggetto della campagna elettorale con approcci sempre di più ideologici privi di soluzioni praticabili, razionali ed accettabili. Negli ultimi tre anni l’Italia ha speso 13,5 miliardi di euro per accogliere, secondo alcuni dati, dai 500 ai 600 mila immigrati. Se analizziamo i dati scopriamo che più che di integrazione dovremmo parlare di sola accoglienza. Siamo in presenza di un sistema che ha favorito la sola rendita degli indigeni.

Che sia così si evince dalle intercettazioni su “Mafia Capitale” nelle quali Buzzi dichiara« (...) Tu c'hai idea de quanto ce guadagno sugli immigrati? il traffico de droga rende meno...>>. La lettura del numero di Gennaio 2018 di Limes rafforza ciò che penso da tempo e cioè che la questione immigrazione e il tema dell’integrazione non possono essere affrontati in termini ideologici e che le posizioni non possono essere quella espressa da Salvini in contrapposizione a quelle del duo Bonino/Boldrini. Entrambe le posizioni sono funzionali al Liberismo. 

La prima in chiave nazional - liberista la seconda in chiave liberal - liberista. La Storia dell’Umanità si è caratterizzata sin dalle origini per grandi spostamenti in massa di comunità da un luogo all’altro della Terra alla ricerca di risorse da sfruttare per la propria sopravvivenza. Anche se il nomadismo e quindi i movimenti migratori hanno caratterizzato le prime società umane e solo con la nascita di gruppi sociali stanziali che assistiamo alla organizzazione di sistemi sociali, economici e politici sempre più vasti e complessi e alla nascita delle civiltà. I movimenti migratori sono stati generati da eventi diversi. Ad esempio in età pre romana vigeva, presso i popoli Sabini, il rito della Ver Sacrum per cui periodicamente per far fronte all’eccesso demografico i giovani lasciavano la propria tribù di appartenenza per emigrare verso altri territori. Lo stesso Impero romano crollò sotto la pressione di movimenti migratori durati diversi secoli e che portarono a uno sconvolgimento sociale, economico e demografico del quale l’Europa contemporanea ne è il prodotto.

A partire dalle scoperte geografiche del XVI e XVII secolo assistiamo a un processo migratorio che porterà milioni di europei, moltissimi italiani, verso le Americhe e non solo. Profonde sono le trasformazioni delle società indigene. Fu nel contesto storico rappresentato dalla scoperta dell’America che scaturisce una delle questioni strettamente legata alle migrazioni e cioè il razzismo. L’incontro con i popoli Amerindi pose seri problemi ai ceti dominanti e alle classi intellettuali spagnola e portoghese. I teologi spagnoli consideravano i popoli indigeni “progenie del demonio” e quindi geneticamente e spiritualmente inferiori. Dopo mezzo secolo di sfruttamento bestiale e di quasi totale estinzione degli Amerindi teologi e filosofi spagnoli, tra i primi Francisco de Vitoria, riconobbero che gli indigeni erano quanto meno essere umani dotati di alcuni diritti naturali come quello alla vita. A partire dagli anni 50 e 60 del 900 con i processi di decolonizzazione che interessano in primo luogo l’Africa vediamo, sui territori un tempo colonie francesi e britanniche, nascere una serie di Stati eredi diretti delle passate organizzazioni coloniali. Non si potrà mai capire l’emigrazione maghrebina verso la Francia se non si capiscono le modalità che hanno portato alla fine dell’Impero coloniale francese. La Guerra d’indipendenza d’Algeria venne combattuta sia da una parte che dall’altra da soldati algerini. Fu questa la ragione per la quale, all’indomani della dichiarazione di’Indipendenza, migliaia di algerini combattenti nelle file dell’Esercito Francese, per evitare ritorsioni, immigrarono verso la Francia.La Società multiculturale Britannica è anche essa il prodotto del colonialismo e della decolonizzazione. Ancora oggi i sovrani del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono sovrani del Canada, Australia, Nuova Zelanda e di un numero ragguardevole di micro entità statali distribuite ai quattro angoli della Terra. 

Sono queste le ragioni per le quali quando si parla di questione immigrazione i modelli di integrazione che abbiamo di fronte sono fondamentalmente due: il modello multiculturale Britannico e quello dell’assimilazione adottato dalla Francia. Entrambi sono il prodotto delle politiche imperiali e coloniali condotte dai due Stati nei secoli passati. Entrambi i modelli, come hanno mostrato gli attentati degli ultimi anni mostrano crepe e sono insufficienti nell’affrontare i problemi che pone la Globalizzazione. Il modello di integrazione Britannico è un modello che vede la convivenza di diverse etnie che si mantengono distinte e separate ciascuna occupando un specifica area geografica. Ne sono esempio i numerosi quartieri che si identificano con l’etnia che li abita. Non è un caso che Cameron dichiari che all’interno della società inglese vi siano comunità altre rispetto a quello dominante dove ciascun individuo può vivere senza mai relazionarsi con la popolazione autoctona. A supportare il multiculturalismo hanno contribuito molti esponenti della sinistra post moderna e post strutturalista che hanno introdotto, in nome del riconoscimento dell’altro, dose massicce di relativismo. A differenza del multiculturalismo il modello dell’assimilazione adottato dalla Francia prevede la modifica delle culture di provenienza degli immigrati attraverso la rinuncia di una parte di se stessi e l’accettazione dei valori nazionali e repubblicani francesi. 

Se riflettiamo attentamente sui due modelli non si può fare a meno di notare che entrambi partono dal presupposto che il modello sociale Europeo/Occidentale sia di gran lunga superiore agli altri. Tanto il multiculturalismo quanto l’assimilazione non hanno creato particolari criticità fino a quando l’identità culturale di ciascuna comunità aveva le stesse radici culturali giudaico – cristiana e accettava i principi liberaldemocratici. Altra cosa rispetto a quando il multiculturalismo ha preteso di integrare culture altre se non addirittura in conflitto con la cultura Occidentale. Le polemiche sull’uso del velo islamico in Francia e in altri Paesi UE è esemplificativo del conflitto che ne è scaturito. Quando si parla di modello Occidentale mi viene in mente il saggio di Amartya Sen dal titolo “La Democrazia degli altri”.

Sen mette bene in evidenza come la stessa Democrazia non possa essere ricondotta al solo modello Occidentale. Segno questo della necessità di riconoscere non solo culture altre ma soprattutto di non avere la pretesa di estendere il modello culturale Occidentale agli altri all’insegna di una sorta di Imperialismo culturale. Le ragioni della inadeguatezza sono da ricercare nei paradigmi che sottendono il modello economico occidentale e cioè il libero scambio, la finanziarizzazione dell’economia e il nomadismo come simbolo di libertà individuale e di integrazione. Sono questi i paradigmi che definiscono la Globalizzazione costituendo la sovrastruttura culturale che giustifica la nuova frontiera dello sfruttamento delle classi subalterne. La Globalizzazione con la esaltazione delle libertà individuali si pensava che avrebbe portato al superamento delle differenze esistenti tra le diverse etnie e tra le diverse classi sociali. Il mercato come unico spazio di incontro tra individui liberi avrebbe portato all’abbattimento degli Stati – Nazione e con esso al superamento di tutte quelle forme di razzismo legate alla salvaguardia appunto dell’identità nazionale. Così invece non è stato. Ha scritto Huntigton nel suo “Scontro di civiltà” << La mia ipotesi è che la fonte del conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell’umanità e la fonte principale del conflitto saranno legate alla cultura.

Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro. ». Dalla lettura del numero di Gennaio 2018 della Rivista Limes dal titolo “ Musulmani ed Europei” si ha l’impressione che Huntignton abbia visto giusto. Tale scenario sembra confermato anche da un interessante articolo apparso sull’edizione italiana, allegata a il Manifesto, di Le Monde diplomatique dal titolo “Integrazione, la grande ossessione” di Benoit Breville.

Perché sono portato a pensare Huntington possa aver ragione? La motivazione è semplice i movimenti migratori ai quali assistiamo negli ultimi anni sono altra cosa rispetto a quelli che hanno interessato l’Europa nel secolo scorso. La Globalizzazione con la volontà di imporre il proprio modello culturale ed economico sta producendo come effetto la reazione dei popoli sottomessi e in particolare di quelli che hanno una forte identità culturale e religiosa. Addirittura come prova l’affaire foulard in Francia la rivendicazione di una identità altra rispetto al laicismo Occidentale trova fondamento negli stessi principi costituzionali del Regime Repubblicain. Di questo dato ne è consapevole Seyla Benhabib che dedica un intero capitolo, nel suo saggio” La rivendicazione dell’identità culturale” al tema strettamente giuridico che scaturisce dal rapporto tra “Multicultarlismo e Cittadinanza di Genere”.

Questioni non indifferenti che per molti aspetti mi richiama alla mente il sistema giuridico degli antichi Regni Romano Barbarici e il dilemma tra territorialità del diritto o personalità del diritto. Una lettura del saggio di storia del diritto dal titolo “ Medio Evo del Diritto” di uno dei più grandi storici del diritto Francesco Calasso non sarebbe male. Scrive Breville nell’articolo citato che la moderna immigrazione non ha nulla a che vedere con quella di spagnoli, italiani e portoghesi verso la Francia. L’immigrazione odierna rivendica con forza la propria identità culturale. Non a caso il modello di integrazione francese a partire dagli anni 80 – 90 si è orientato verso il modello Britannico sperando in questo modo di mediare gli invitabili conflitti. Sintomo questo dell’egemonia culturale Liberal – Liberista e post strutturalista che in quegli anni ha iniziato a prendere piede fornendo un ottimo assist alla crescente egemonia neoliberista propria della Globalizzazione. Con il multiculturalismo si afferma che l’integrazione è un processo che riguarda i singoli individui che posti sul mercato, alla ricerca della propria affermazione, interagiranno integrandosi tra di loro secondo, appunto, il modello dominante Occidentale. Scrive su Limes Jean Baptiste Noè << Al di là degli attentati, gli islamisti esercitano pressioni anche nella vita quotidiana in diverse strutture sociali. Cercano di esigere che nelle mense scolastiche i pasti siano halal e che la carne di maiale non venga servita. Nei colloqui con i docenti, è frequente che le madri degli studenti vengano velate, nonostante la legge lo vieti( …) Anche gli ospedali sono luoghi infiltrati da islamisti. Diverse infermiere musulmane si rifiutano di curare uomini, talvolta lasciando pazienti senza cure per ore. (…) L’islamismo s’infiltra sempre più nel mondo imprenditoriale, come sottolinea Denis Maillard che ha censito diversi casi(…) Alcune aziende di aiuto domestico si sono rese conto che diversi dipendenti incaricati di fare la spesa per clienti anziani si rifiutavano di acquistare prodotti alcolici o carne di maiale.(…) Le tensioni derivanti da questi problemi sono sempre più forti e scuotono con violenza la società francese, indifesa di fronte all’impotenza dello Stato>>Da qui il sorgere di associazioni autoctone di difesa identitaria rispetto all’invadenza dell’immigrazione. Appare chiaro che iol modello di integrazione sin qui tentato è in crisi e con esso il tentativo totalitario da parte dell’Occidente rappresentato dalla Globalizzazione. La distribuzione di risorse attraverso il mercato non ha nulla di equo, blocca qualsiasi forma di ascensore sociale, alimenta i conflitti e non è in grado di garantire la pluralità culturale che governa il mondo. Entrambi i modelli di integrazione in auge sono il prodotto di una presunta superiorità culturale Occidentale. Superiorità riveniente direttamente da secoli di dominio imperiale e coloniale. Quanto scrive Noè per la Francia si evince anche da altre testimonianze. Sempre su Limes scrive Bettina Biedermann<< Tra i giovani musulmani in Germania , l’islam viene spesso vissuto come espressione consapevole della loro diversità. L’appartenenza all’islam viene rivendicata in modo manifesto: la quota di quanti si definiscono musulmani molto religiosi è maggiore nella fascia 18 – 29 anni. Tuttavia, molti di questi giovani si considerano al contempo parte della società tedesca. Dimostrare il bisogno di appartenenza a un gruppo religioso mettendo in mostra simboli come il velo, oppure rispettando il digiuno, viene interpretato da molti osservatori come deliberata demarcazione identitaria rispetto alla società egemone.(…) - Per Koopmans - sociologo olandese che ha analizzato tale atteggiamento – l’accresciuta quota di giovani con una visione islamistica fondamentalista va probabilmente ascritta alle tensioni in Medio Oriente e alla guerra sin qui condotta dal cosiddetto Stato Islamico>>. Questa come altre testimonianze sono la prova della volontà da parte di culture altre di rivendicare la propria identità e la propria autonomia. Rivendicazione supportata proprio dai principi liberal – democratici occidentali. A proposito di quanto sta succedendo in Italia scrive Lorenzo Declich, sempre sul numero di gennaio 2018 di Limes, << A Roma è in corso una capillare re – islamizzazione dal basso, che sta portando alla creazione di luoghi di culto, fondati con lo scopo preciso non più di rispondere al bisogno di salvaguardia dell’identità religiosa dei credenti, già garantita dall’esistenza di decine di sale di preghiera, ma di realizzare un progetto mondiale: islamizzare intere fette di territorio allo scopo di richiamare all’islam i musulmani in Occidente o occidentalizzati già in patria. L’obiettivo storico è quello di scongiurare la privatizzazione della sfera religiosa e la culturalizzazione dell’islam che interessa larghe fasce della popolazione giovanile>>. Sempre nella logica del riconoscimento della propria identità culturale si inserisce la richiesta di un Protocollo d’Intesa tra Lo Stato Italiano e la comunità islamica, in sostanza un vero e proprio Concordato. Sono tutti questi aspetti non secondari che spingono a rivedere le politiche sin qui condotte e a rivedere tutta una serie di comportamenti sia verso le culture altre che verso la propria cultura Occidentale di appartenenza. Significativi sono i comportamenti della Bonino e della Boldrini che in Italia esaltano la parità di genere, la laicità della società, salvo recarsi in visita in Paesi Islamici e adottare il velo. Comportamento quest’ultimo non tenuto sia da Michelle Obama che da Melania Trump,ciò indipendentemente dall’essere Democratici o Repubblicani. La domanda che scaturisce da tali comportamenti è quale di essi è veramente rispettoso degli altri, di se stessi e dei propri valori ? Alla domanda si può rispondere ribadendo il principio del rispetto di reciprocità e di riconoscimento dell’altro. Ed è sul tema della reciproco rispetto che si gioca la partita dell’integrazione. Rispetto reciproco che non può essere solo formale. Deve essere di sostanza. Il modello Occidentale ha propagandato una serie di valori, di idee che rivelatisi fallaci che hanno messo in discussione i principi di reciproco rispetto e riconoscimento. Il mercato, il capitalismo finanziario non sono a favore delle classi sociali subalterne sia dell’Occidente che del resto del Mondo. Il reciproco rispetto dei valori si ha solo per coloro che appartengono alla upper class sovranazionale della quale fanno parte un ristretto numero di soggetti appartenenti alle più disparate culture ed etnie. Si può essere ugualmente ricchi ma non ugualmente poveri. Un miliardario arabo o cinese gode dello stesso status di un miliardario europeo o americano. La povertà è altra cosa. Essere poveri in Italia non è la stessa cosa che essere poveri in Camerun. Ciò che accomuna le due forme di povertà è lo sfruttamento al quale entrambe sono assoggettate. Sono il modello culturale capitalista ed individualista al quale entrambe le povertà sono assoggettate l’elemento che unifica le due povertà. Ho provato a chiedere a degli extracomunitari per chi voterebbero e chi è il politico italiano più conosciuto. Mi è stato sempre risposto che il politico italiano più conosciuto è Berlusconi. È il ricco ad essere conosciuto a riprova che l’identità culturale è tanto più forte in chi è povero, è l’unica cosa che gli resta e lì aspirazione è quella di uscire fuori dalla miseria. Dopo l’elezione di George Weah a Presidente della Liberia penso che l’indice di gradimento per Berlusconi crescerà ancora di più. Il gradimento si ridimensionerà non appena avranno capito che una tale possibilità è per pochi e non per tutti. Alle grandi aspettative iniziali subentrerà la disillusione, la disperazione e il rifiuto del modello Occidentale. Questo è quanto è successo in Francia e nel Regno Unito. Centinaia di migliaia di immigrati hanno scoperto di non essere Zinedi Zidane e nemmeno Sadiq Khan. In molti hanno iniziato a capire che si parte integrante dell’Occidente solo se si è tali già nel proprio Paese. Esempio è la famiglia di Osama Bin Laden parte integrante dell’establishment internazionale dove l’elemento che definisce status e classe sociale è la ricchezza. Come si evince dall’immigrazione nel Regno Unito e in Francia se le prime generazioni hanno trovato condizioni di vita migliori rispetto ai Paesi di provenienza altra cosa è per i loro figli e nipoti. La Globalizzazione fa pagare anche a loro il prezzo dei processi di riorganizzazione del sistema economico. La Globalizzazione favorisce le singole elites nazionali quelle si inserite a pieno titolo nel modello egemone Occidentale scaricando i costi sulle fasce più deboli favorendo l’uguaglianza al ribasso. Di fronte al vuoto e alla disperazione esistenziale l’incontro con l’Occidente si trasforma in uno scontro. La libertà individuale non no si conquista sul mercato. La Libertà individuale si conquista all’interno della propria Comunità. La Libertà senza protezione sociale viene percepita come il nulla, il non senso dell’esistenza. Da qui taluni comportamenti reazionari contro le manifestazioni di libertà proprie dell’Occidente. Esempio sono la libertà sessuale e la libertà delle donne. La giusta rivendicazione dell’emancipazione femminile propria dell’Occidente ha portato ad episodi come quello accaduto a Colonia nella notte di Capodanno 2016 con migliaia di donne stuprate da immigrati maghrebini. La sola Lucia Annunziata ha evidenziato come quanto accaduto lfosse << il primo episodio dello scontro di civiltà>>. La Globalizzazione con l’idea di mercato e l’esasperante individualismo ha portato la fine delle protezioni sociali, ha portato insicurezza. Gli individui non sono stati integrati ma solo messi in concorrenza tra di loro. Tutto questo ha determinato la reazione da parte degli stessi individui che si sono sentiti beffati dalla costruzione culturale propria del Capitalismo. Alla riduzione delle protezioni dello Stato, sia in Occidente che nei Paesi dai quali provengono i flussi migratori, gli individui hanno reagito rifugiandosi nella Comunità. Il ritorno alla Comunità è il tema sul quale in molti tornano a riflettere. Tra questi Bauman che alla “Voglia di Comunità” dedica un saggio. Per Bauman la voglia di comunità riguarda le fasce sociali deboli, gli esclusi dalla globalizzazione dominata dal mercato e dall’esaltazione individualista. Di contro sono i ceti dominanti a rivendicare la propria identità individuale contro la Comunità. Scrive Baumann<< Da questa breve analisi del nuovo cosmopolitismo si evince dunque che le persone affermate ( quanti riescono a trasformare l’individualità de jure , vale a dire una condizione con il resto degli uomini e delle donne moderne, in una individualità de facto, cioè una facoltà che li differenzia da gran parte dei loro contemporanei) non hanno bisogno della comunità. Avrebbero ben poco da guadagnare dall’intricata rete di obblighi comunitari e molto da perdere qualora vi finissero invischiati. (…) E <<i deboli>> , potremmo commentare, sono quegli individui de jure incapaci di conquistare un’individualità de facto e che quindi finirebbero irrimediabilmente emarginati qualora il principio secondo cui le persone meritano di tenere per sé quanto riescono a conquistare grazie ai propri muscoli e al proprio cervello ( e a niente altro che quelli) subentrasse a quello dell’obbligo della ripartizione>>. In questo passaggio Bauman racchiude il fallimento del Liberalismo ed anche della Nuova Sinistra, quella post strutturalista e post moderna. L’idea di una società multiculturale nasce negli anni 60, ossia in una fase di crescita economica caratterizzata da politiche keynesiane, redistributive e di promozione dell’uguaglianza sociale. In un contesto cioè in cui la solidarietà di classe, la concertazione tra lavoro e imprese, la coesione sociale e la condivisione dei valori della Democrazia sociale erano imperanti. Ad essere centrale era la Comunità e non l’Individuo. La crisi rispetto alla gestione dell’immigrazione è insieme crisi economica e culturale che interessa, come scrive Wallerstain il Liberalismo nel suo complesso ricomprendendo in esso anche quella sinistra che ha pensato che suo compito fosse la realizzazione appunto del Liberalismo. Nello spazio lasciato da questa crisi si inserita la Nouvelle Droite e il modello di relazione interetniche che fa dire a De Benoist <<L'immigrazione è un fenomeno padronale. Chi critica il capitalismo approvando l'immigrazione, di cui la classe operaia è la prima vittima, farebbe meglio a tacere. Chi critica l'immigrazione restando muto sul capitalismo dovrebbe fare altrettanto>>. Con questa posizione la Nouvelle Droite si schiera sia contro il modello di assimilazione dell’immigrazione che contro il sistema multiculturale entrambi simboli dell’etnocidio che il capitalismo neoliberista e la sinistra post moderna stanno favorendo. Scrive sempre Bauman<< L’insicurezza ( tra la popolazione immigrata quanto tra quella indigena) tende a trasformare il multiculturalismo in “ multiculturalismo”. Profonde o sottili, salienti o impercettibili che siano, le differenze culturali vengono utilizzate come mattoni nella frenetica costruzione di mura difensive e rampe di lancio. (…) La sicurezza è la condizione necessaria del dialogo tra culture. Senza di essa, ci sono poche possibilità che le comunità si aprano reciprocamente e avviino un dialogo che possa arricchire tutte loro e migliorare l’umanità in virtù della loro aggregazione. Se c’è sicurezza , il futuro dell’umanità appare radioso>>. Con la voglia di Comunità che emerge in modo sempre più forte l’integrazione non può avvenire tra individui ma necessariamente tra Comunità. E’ la Comunità in grado di fornire protezione sufficiente capace di rendere praticabile la libertà della persona. Ragionare in termini di integrazione tra Comunità equivale a recuperare ruolo e senso dello Stato. L’integrazione tra Comunità non è solo un fatto formale. L’integrazione limitata al solo riconoscimento della Libertà individuale è una concezione nichilista funzionale all’egemonia delle oligarchie transnazionali. Per essere integrazione sostanziale non può prescindere dai temi dell’uguaglianza sociale e quindi della redistribuzione della ricchezza. Non può prescindere dalla valorizzazione e dalla conservazione dello stesso contesto di appartenenza. L’immigrazione ha senso solo se scelta liberamente e non perché espulsi dalla propria Comunità come ha ben descritto Saskia Sassen. Bisogna ragionare sul riconoscimento delle Comunità che fanno parte dello stesso Stato riconoscendo diritti ad essa e contestualmente ragionando sulla sfera privata dei singoli appartenenti alla Comunità. Vi sono diritti come quelli sociali o come quelli che attengono la sfera dell’interesse pubblico devono essere prioritari a rispetto ai diritti che riguardano la sfera dei diritti più strettamente privata . Materie come quelle che attengono: lavoro, sanità, istruzione, non possono che essere uguali per gli appartenenti a tutte le Comunità. Stessa cosa dicasi dei diritti che attengono la partecipazione politica, la libertà di espressione di pensiero. Altra cosa sono i diritti della persona i quali comunque, in nome dell’appartenenza a una data Comunità non possono essere in contrasto con il bene supremo rappresentato dall’appartenere alla Universale Comunità Umana, esempi sono diritto all’uguaglianza e alla protezione. Per poter operare in questo senso bisogna prendere atto che entrambi i modelli di integrazione hanno come obiettivo una visione totalitaria funzionale al trionfo del pensiero unico Capitalista e che quindi sono fondamentalmente razzisti. L’ipotesi che avanza Seyla Benhabib e cioè di un processo di negoziazione dinamica tra culture all’insegna di criteri universali che essa stessa indica e cioè : reciprocità egualitaria, autoascrizione ad una comunità su base volontaria e non automatico sulla base della propria origine e libertà di uscita e associazione da un gruppo; per quanto interessanti almeno se il secondo criterio presenta dei limiti.

Non mi risulta che ci siano persone, almeno per il momento, che nascano al di fuori di una Comunità a meno che non si pensa di creare un sistema politico in cui la stessa riproduzione sia svincolata dal modello per così dire naturale e affidato alla tecnica, come auspica Attali, attraverso la creazione di un utero artificiale gestito da qualche istituzione delegata a tale compito. Pur condividendo in linea di massima il principio della democrazia deliberativa alla quale fa riferimento la Benhabib, l’idea stessa di fissare criteri universali rispetto ai quali svolgere il processo di negoziazione penso che una tale impostazione ha necessita di uno Stato forte, Comunità ben definite, relazioni internazionali all’insegna della reciprocità tra Stati, politica di giustizia sociale all’interno di ciascuno Stato in sostanza meno mercato, meno individualismo e più Comunità.

 

 

Bibliografia:

Limes n. 1/2018 GEDI Gruppo Editoriale

Z. Bauman – Voglia di Comunità – Edizione Laterza

S. Benhabib  - La rivendicazione dell’identità culturale. Ed. il Mulino

S. Sassen – espulsioni- Ed. il Mulino

J. Rawls . Una Teoria della Giustizia- ed Feltrinelli

S. Maffettone, M. Nocenzi, B. He, A. Rinella, V. Cardinale, E. Pfostl – Multicuoltarlismo e Democrazia – Ed. Aspes

I. Wallerstei – Dopo il Liberalismo? Ed. Jaca Book

A. De Benoist - La fine della sovranità. La dittatura del denaro che toglie il potere ai popoli. Arianna Editrice.

A. Sen – La Democrazia degli altri – Ed. Mondadori

S. Huntington – Lo scontro di civiltà – Ed. Garzanti

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