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Morte Paolo Arena, risolto il cold case. Fu ucciso perché aveva concesso appalti ad altri clan

A fugare ogni dubbio è stato il pentito Luciano Cavallaro, che si è autoaccusato del delitto assieme al suo complice, indicando come mandanti il boss Gaetano Nicotra e il fratello di Mario.

Emerge una visione chiara sulla morte Paolo Arena il leader Dc morto durante un agguato mafioso davanti al Comune di Misterbianco, nel catanese. 

A fugare ogni dubbio è stato il pentito Luciano Cavallaro, che si è autoaccusato del delitto assieme al suo complice, indicando come mandanti il boss Gaetano Nicotra e il fratello di Mario.

Secondo la ricostruzione il clan dei “Tuppi” si sarebbe sentito tradito dagli affari che il leader democristiano avrebbe intrattenuto col clan rivale dei Pulvirenti e Malapossutu. 

Un possibile collegamento con l’agguato era già stato seguito dal ritrovamento in casa di Gaetano Nicotra di un ‘pizzino’, con la dicitura “I traditori”, che riportava una lista di nomi tra cui quello di Arena.

“All’epoca – ha detto Zuccaro al Quotidiano di Sicilia  – tutte le gare d’appalto erano monopolizzate dalla mafia con l’apporto del funzionario corrotto e infedele che dava le dritte giuste per potersele aggiudicare”

Paolo Arena aveva tutto per essere oggetto di interesse dei clan: al tempo dell’omicidio l’uomo era in pensione ma in passato aveva lavorato in importanti settori del pubblico: dirigente delle Asl, poi in comune a Catania. Arena era anche un uomo importante per la politica provinciale: assessore ai lavori pubblici e poi vicesindaco di Misterbianco. Inoltre Arena è stato segretario provinciale della DC con la corrente andreottiana.

Il primo a parlare dei rapporti di certa politica con la mafia è stato il pentito Pietro Saitta, secondo cui Arena avrebbe favorito l'acquisto di un pozzo idrico da parte del Comune. ad un prezzo molto superiore del reale prezzo di mercato.

Oggi, a quasi un trentennio da quel settembre 1991 si è risolto un “cold case” consumatosi in pieno giorno a colpi a pochi passi dal tempio della democrazia del comune etneo. Durante l’operazione "Gisella" dei Carabinieri di Catania, sono stati eseguiti, 26 ordini di custodia cautelare in carcere contro esponenti della cosca dei “Tuppi”. Che oggi, a tutti gli effetti, può essere considerata decapitata. 

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