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Moriremo democristiani?

Dopo cinque anni di voluta ed ostentata distanza della politica, Papa Francesco dà due segnali di inversione di tendenza.

Uno attraverso il quotidiano cattolico Avvenire che apre il dibattito sull’impegno dei credenti in politica per il bene comune. Il secondo più corposo e pesante, in quanto espresso da Civiltà Cattolica, il quindicinale dei gesuiti (ordine religioso da cui proviene il Papa) che attacca il “populismo” (oggi identificabile nel M5S e Lega), dove si parla di “morte della fede”, illiberalismo, totalitarismo politico, ecc. ecc.

Credo che questa svolta vaticana sia stata originata da più di una esigenza. La più importante è l’ambizione di riportare l’identità religiosa, e quindi l’ideologia, in quella politica che da qualche anno se ne era liberata. Ma si nota chiaramente nel pesante attacco al populismo il timore che alcuni provvedimenti dei “populisti” al governo, come il “reddito di cittadinanza”, possano togliere molti poveri dal circuito delle elemosine e della rassegnazione ed ottenere da un governo laico ciò che 50 anni di cristiani al potere non avevano mai concretizzato.

C’è poi la questione della sentenza della Corte di Giustizia della Unione Europea che ha stabilito che lo Stato italiano deve recuperare l’Ici non pagata dalla Chiesa su immobili destinati ad attività commerciali, cliniche, scuole, alberghi. Appare chiaro che un novello partito cattolico sarebbe molto utile per ostacolare questa sentenza e anche fronteggiare la spinta “populista” alla eliminazione dell’8 per mille, che porta ogni anno oltre un miliardo di euro nelle casse vaticane. La via per una nuova Democrazia Cristiana è ufficialmente aperta. 

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