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Mondiali di calcio 2018: il traffico dei minori nel mondo del calcio

La schiavitù infantile nel mondo del calcio. Fino al 16 luglio, giorno della finalissima di Russia 2018, la Bottega ospiterà articoli dedicati a raccontare la massima competizione calcistica in maniera altra.

di Maria Teresa Messidoro (*)

E’ iniziato da poco il campionato del mondo di calcio in Russia: ragazzi di tutto il mondo sognano ancora di più di essere come i propri campioni preferiti, Messi o Neymar, Salah o Khedira.

Intanto, dietro le quinte di un mondo lucente e arricchito, c’è una realtà completamente differente: un giro di affari basato su una vera e propria schiavitù infantile. Le cifre ufficiali parlano di almeno 20.000 ragazzi africani che vivono sulla strada in Europa, dopo che mafiosi impresari li hanno illusi con il miraggio di diventare campioni. Intermediari senza scrupoli si sono approfittati delle loro aspirazioni, promettendo un cambiamento economico rilevante per le loro famiglie, normalmente appartenenti agli strati più poveri della popolazione. 

Bambini che spesso non hanno più di quattordici anni, viaggiano in Europa, dopo che i genitori hanno sborsato una fortuna incalcolabile in paesi ai più bassi livelli nella graduatoria mondiale; bambini che ritroviamo invece come mendicanti nelle città più importanti europee, spesso nelle mani di giri loschi, utilizzati come manodopera infantile a bassissimo costo. E’ la storia di Alassane Diakité, malese, raccontata nel film Black Diamonds, diretto da Miguel Alcantu: quindicenne, con il sogno di giocare in una grande squadra europea, viene avvicinato da un intermediario, che riceve tremila euro dalla sua famiglia a Babakò, per trasformarlo in un calciatore di fama. Arrivato in Francia, è abbandonato dall’uomo, che scappa con i suoi soldi; Alassane, grazie a dei parenti, riesce comunque ad andare in Spagna, dove, dopo alterne fortune, diventa titolare in una squadra minore. Al mattino lavora nella cucina di una scuola superiore, per guadagnarsi da vivere, al pomeriggio gioca e, soprattutto, si adopera perché altri ragazzi come lui vivano un incubo invece del sogno sperato.

Un altro caso è quello di Suli Saki, Costa d’Avorio: anche per lui la vita giovanile è stata un’odissea. Quando aveva quattordici anni, fu avvicinato da un “cacciatore di talenti”, che gli promise di farlo giocare in una squadra marocchina, prima del salto definitivo in Europa. La famiglia pagò quattro mila euro, tutti i propri risparmi, ma arrivato in Marocco, Suli fu abbandonato; soltanto dopo molte traversie riuscì a raggiungere la Spagna, dove vive tutt’ora, aiutato da alcune famiglie solidali; continua ad allenarsi, vuole ancora diventare giocatore, ma non si fida più di nessuno, racconta ai giornalisti.

In Spagna, su 80.000 ragazzi di origine africana sotto i venticinque anni, soltanto ventinove giocano in prima divisione, ventidue in seconda. La Ong francese Foot Solidaire ha calcolato 7.000 africani desiderosi di giocare in giocare ufficiali, di cui soltanto una percentuale esigua effettivamente diventano calciatori.

Questa nuova tratta, che coinvolge anche i paesi latinoamericani, si basa su borse di studio fittizie, falsificazioni di passaporti, contratti di lavoro come giardinieri o camerieri nelle strutture degli stadi: è il lato oscuro del mondo del calcio, una nuova, perversa faccia dell’onnipresente globalizzazione. Di fronte all’idea dell’interscambio e movimento di capitale, tecnologia ed informazioni in un mercato libero, aperto e benefico per tutti, lo sfruttamento ed il traffico di “diamanti neri” ci riporta con i piedi per terra, facendoci vedere ancora una volta l’abisso che divide i ricchi dai poveri.

Nella desolazione della povertà di milioni di persone, la globalizzazione culturale propone il miraggio del calcio come possibile soluzione e redenzione da una situazione di fame e precarietà senza altre soluzioni politiche e sociali collettive. I più poveri possono dunque sperare di poter lasciare il proprio mondo soltanto se trasformati in merce.

E’ la diffusione globale ed istantanea del calcio a creare il sogno di “diventare come Messi, o Neymar”, affrontando qualsiasi traversia, costi quel che costi, come racconta Issouf Sanfo, Burkina Faso, ora giovane calciatore in Spagna.

Un ultimo aspetto deve farci riflettere. Quando Leo Messi arrivò a Barcellona, aveva tredici anni; ma oggi si cercano bambini anche solo di otto anni, come è stato il caso di Claudito, mapuche, soprannominato il Messi de la nieve, la cui storia è stata raccontata dallo scrittore cileno Pablo Meneses in “La Tratta dei Bambini Calciatori”. Quanto più è piccolo il soggetto, quanto più renderà a lungo termine, con sempre meno intermediari. “In questa società di consumi, ciò che importa a chi compra è comprare sempre a basso costo per poter vendere a caro prezzo” afferma Meneses.

Peccato che in questo caso stiamo parlando di persone, anche se ridotte a merci.

(*) vicepresidente Associazione Lisangà culture in movimento

Questo articolo è stato pubblicato qui

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