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Miglio, Grasso e la mafia costituzionalizzata

Su Sette di giovedì 30 settembre Aldo Grasso (critico televisivo del Corriere della Sera) parla del caso della scuola di Adro (vedi “Cambiamenti?” e “Cosa viene prima?”). Dice Grasso che è giusto che vengano levati i simboli leghisti (il Sole delle Alpi), ma che non bisognerebbe fare polemica sull’intitolazione della scuola a Gianfranco Miglio. Anzi, secondo il giornalista Miglio andrebbe addirittura studiato, in quanto “grande scienziato della politica e fine costituzionalista. [...] Studiare Miglio e togliere il Sole delle Alpi dalla scuola a lui dedicata, questo sì che sarebbe un bell’insegnamento”.

Mi chiedo se il Miglio di cui parla Aldo Grasso sia lo stesso al quale vengono attribuite le seguenti affermazioni: ”Il linciaggio è la forma di giustizia nel senso piú alto della parola. C’è la giustizia dei legulei, che è il modo di imbrogliare il prossimo, e c’è la giustizia popolare che si esprime nei moti rivoluzionari. Quando il sistema non garantisce piú la giustizia, è il popolo che si appropria del diritto di punire”; "a un certo punto, un uomo politico deve impugnare il fucile”. Davvero un ottimo insegnante.

Ma ancora più interessante è quanto scrive Gianni Barbacetto sul Fatto Quotidiano del 16 settembre. Quello che segue è un riassunto delle parti più importanti degli articoli. Leggere per credere.

Nei primi anni Novanta ha predicato la divisione dell’Italia in tre “cantoni” (Nord, Centro, Sud). Proprio allora, un complesso meccanismo si è messo in moto per raggiungere quell’obiettivo. Lo racconta una vecchia indagine della Procura di Palermo chiamata “Sistemi criminali“. Mentre si disfaceva il sistema dei partiti della Prima Repubblica, che le indagini di Mani Pulite avevano rivelato essere il sistema di Tangentopoli, una serie disparata di forze e di poteri si erano messi all’opera per rimpiazzare il vecchio regime.

Massoni, reduci della P2, uomini dei servizi segreti, fascisti ed eversori di lungo corso, boss di Cosa Nostra e della ’ndrangheta avevano cercato di far nascere le leghe del Sud. Contrapposte ma complici della Lega nord. Della composita compagnia facevano parte il Maestro Venerabile Licio Gelli e tanti altri massoni delle logge meridionali, l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino e gli uomini di Cosa Nostra che riferivano a Leoluca Bagarella, i fascisti Stefano Delle Chiaie, Adriano Tilgher, Giancarlo Rognoni.

Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina nel 1993 racconta ai pm di Palermo che con i suoi colleghi di Cosa Nostra gli era capitato di parlare di Bossi, che nell’autunno del 1991 era stato a Catania. “Io lo consideravo un nemico della Sicilia”, diceva Messina. “Perché un’altra volta che viene qua non lo ammazziamo?”. Gli altri lo fermano: “Ma che sei pazzo? Bossi è giusto”.

E poi gli spiegano di aver saputo da Totò Riina che non tanto Bossi, quanto il senatore Miglio, era collegato a “una parte della Democrazia cristiana e della massoneria che faceva capo all’onorevole Andreotti e a Licio Gelli (capo della P2, n.d.r.)”. E che era in corso un lavoro, a cui erano impegnati “Gelli, Andreotti e non meglio precisate forze imprenditoriali del Nord interessate alla separazione dell’Italia in piú Stati“, con “anche l’appoggio di potenze straniere”. “Dopo la Lega del Nord sarebbe nata una Lega del Sud, in maniera tale da non apparire espressione di Cosa Nostra, ma in effetti al servizio di Cosa Nostra; e in questo modo noi saremmo divenuti Stato”. Scrivono i magistrati: “Uno dei protagonisti dell’operazione sarebbe stato Gianfranco Miglio”. Farneticazioni? I pm Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato trovano qualche riscontro. Interrogano un ambiguo faccendiere, arrestato nel 1996 dalla Procura di Aosta per truffa internazionale: Gianmario Ferramonti, personaggio-chiave nella genesi del movimento leghista, amministratore della Pontidafin, la finanziaria del Carroccio, strettamente legato al professor Miglio; ma anche al centro di una fitta rete di relazioni con personaggi di spicco della massoneria italiana e internazionale e con insospettabili entrature istituzionali in ambienti dei servizi di sicurezza nazionali e stranieri.

In seguito, è lo stesso Miglio a confermare almeno parte delle “farneticazioni” di Leonardo Messina. In una clamorosa intervista al Giornale, nel 1999 conferma di essere stato davvero in contatto con Andreotti, proprio nel 1992: per svolgere una trattativa segreta che negoziasse l’appoggio della Lega alla candidatura del Divo Giulio alla presidenza della Repubblica, in cambio di una politica favorevole al progetto federalista del Carroccio (e a un posto di senatore a vita per Miglio). “Con Andreotti ci trovammo a trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendici di Monte Mario, davanti a un camino spento”, confessaMiglio. Trattativa abortita per l’opposizione dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che nonostante le insistenze di Andreotti nega al professore la nomina a senatore a vita.

Nella stessa intervista, Miglio parla anche di mafia: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ’ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”. Ecco il progetto di Miglio: “Costituzionalizzare” la mafia, affidandole in gestione il Sud.

Sarebbe questo il “fine costituzionalista”? Uno che vuole costituzionalizzare la mafia? La prossima volta, gentile Grasso, continui a scrivere di televisione. E’ meglio.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.63) 21 novembre 2010 20:00

    La foglia di fico. Dato di fatto è che la Lombardia è una regione ricca che produce grande ricchezza. Dato assodato è che le organizzazioni mafiose muovono enormi interessi e capitali operando all’interno del sistema politico, amministrativo, finanziario ed imprenditoriale presente sul territorio.
    Assumere che l’apparato (presidio territoriale) di una qualsiasi forza politica sia di per sé “immune ed impermeabile” all’infiltrazione mafiosa è un teorema politico sconfessato dalla realtà dei fatti. E’ come non vedere quello che non si vuol far vedere.
    C’è differenza tra la mafia del sud in coppola e lupara e la mafia del nord in giacca e cravatta?
    Se non fosse un tema inquietante sentiremmo gli accenti di un Dossier Arroganza ….

  • Di Martino Ferrari (---.---.---.156) 22 novembre 2010 18:22
    Martino Ferrari

    Concordo pienamente. Inoltre la mafia in giacca e cravatta è molto più pericolosa di quella con la lupara. Si mimetizza, cresce senza che ce ne accorgiamo.

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