• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Medio Oriente: due miti sfatati

Medio Oriente: due miti sfatati

Cade il negazionismo arabo e cade la pretesa ebraica sulla terra per via della promessa divina.

Le parole del leader palestinese Abu Mazen sullo sterminio degli ebrei europei - ampiamente amplificato dalla stampa internazionale - sfata un mito duro a morire nel mondo islamico. Il mito negazionista che riteneva l’olocausto un’invenzione sionista finalizzata a giustificare con falsità storiche grossolane la pretesa di creare uno stato ebraico sul territorio del mandato britannico.

Un negazionismo di cui si rese responsabile lo stesso Abu Mazen nella sua tesi di laurea, ci ricorda Thane Rosenbaum su Haaretz.

Solo un grande intellettuale palestinese come Edward Said, se non sbaglio, parlò del suo popolo come "vittima delle vittime" mentre alcuni ex gerarchi nazisti trovavano ospitalità in Egitto e in Siria.

Contemporaneamente la stampa italiana (Da Gerico a Re Salomone la Bibbia smentita dagli archeologi israeliani", su Repubblica) riporta le parole di un archeologo israeliano che sfata un altro mito, quello dell’esistenza nell’antichità, in quello stesso territorio, del grande regno ebraico fondato da Saul, portato alla massima potenza da David e al suo massimo splendore culturale e sapienziale dal saggio Re Salomone, e sfata inoltre il mito biblico della conquista della terra di Canaan da parte del popolo ebraico fuggito dalla schiavitù egiziana. La "terra promessa" da Dio al suo popolo durante l'esodo.

Il “non è” arabo riguardava un fatto storico tragico, recente e indiscutibile; lo speculare “così fu” ebraico riguarda un fatto antico, mitico (cioè inesistente), che è servito a qualcuno per accampare diritti storici - di origine nientemeno che divina - su un territorio dove viveva un altro popolo. Che fosse una favola dalle radici storiche inconsistenti, era peraltro noto da tempo agli storici specialisti di studi biblici.

Due miti che cadono e con loro cadono gli speculari usi politici che ne sono stati fatti.

Il popolo ebraico non ha diritti divini sulla “terra promessa” per il semplice fatto che nessuno gliel’ha mai promessa; il popolo palestinese - e più ampiamente quello arabo e più ancora la grande comunità islamica - devono invece decidersi ad aprire gli occhi sul fatto che la Shoah è stato “il più grande crimine contro l’umanità perpetrato nella storia”. Parola di Abu Mazen.

E che loro stessi, si potrebbe aggiungere, non sono del tutto innocenti verso l’esito drammatico di quel grande crimine, perché le élite politiche palestinesi degli anni ’30 e ’40 collaborarono attivamente con le forze dell’Asse, in nome di un antiebraismo viscerale e di una lotta nazionalista contro gli occupanti inglesi (ma anche l’India di Gandhi era occupata dagli inglesi senza che gli indiani abbiano fiancheggiato, se non in minima misura, il nazismo).

Oggi i sostenitori del mito negazionista e dello speculare mito biblico - due deliri uguali e contrari benché di ben diverso “peso” specifico - devono ammettere di aver delirato.

Non più scuse quindi per gli arabi che accusano lo stato ebraico di essere nato per un progetto colonialista, nel più puro stile ottocentesco; e non più scuse per quei coloni che reclamano il possesso di Giudea e Samaria, cioè l’intero territorio di una mai esistita Grande Israele estesa dalle rive del Mediterraneo a quelle del Giordano.

Israele è nato, e bastava studiarsi un po’ i flussi migratori verso la Palestina per capirlo, come rifugio per la comunità ebraica europea in fuga prima dalla Russia zarista dove i pogrom falcidiavano vite a scadenze sempre più ravvicinate; poi dalla Germania delle leggi razziali e infine dall’intera Europa in via di nazistificazione. Perciò il riconoscimento odierno del leader palestinese è così importante.

Alla fine delle quattro guerre che Israele ha fatto da quando è nato (tre subìte e una in buona misura provocata) il labile confine - che non era un confine ma semplicemente la linea dell’armistizio del ’48 poi violata più volte - non ha più molto senso. L'eventuale fallimento delle trattative di pace, unica possibilità per quella linea ormai appena tratteggiata sulla terra e quasi invisibile, rischierebbe di trasformare Israele in uno stato di apartheid, secondo le parole del vicepresidente americano John Kerry. Il che significa due cose: la prima è che se c’è il rischio vuol dire che non c’è ancora la realtà che l'apartheid, giustamente paventato, esista già. E la seconda è che il rischio che esso diventi realtà è reale.

Come si sa ormai da tempo Israele può essere ebraico, grande (dal mare al Giordano) o democratico. Ma tutte e tre queste opzioni non possono coesistere.

Molti propendono per salvare due di queste caratteristiche: ebraico, perché se esistono stati “arabi” e “islamici” (con al loro interno minoranze non arabe o non islamiche) non si vede per quale misterioso motivo non possa esistere uno stato “ebraico” (con al suo interno minoranze non ebraiche); e democratico perché è meglio uno stato democratico di uno totalitario, cioè uno stato che tuteli i diritti delle minoranze - come nei fatti accade ora nel territorio metropolitano di Israele - piuttosto di uno stato che relega le sue minoranze in un minus giuridico.

La terza caratteristica non è al momento ipotizzabile: una Grande Israele non potrebbe che essere o uno stato unico arabo-ebraico (cioè tendenzialmente non ebraico per via del diverso tasso di natalità fra le due comunità), prospettiva che poteva essere perseguita forse negli anni '20, ma non dopo un conflitto ormai secolare. Oppure rischierebbe di diventare uno stato totalitario.

Quindi non può essere; l'unica prospettiva è tuttora quella dei due stati anche se sono molte le forze che spingono verso lo stato unico in entrambi gli schieramenti.

Speriamo che le trattative vadano avanti; anche se l’unica possibilità che questo accada è ancora una volta speculare: i falchi dell’oltranzismo colonialista ebraico devono essere forzatamente messi in grado di non ostacolare il compromesso possibile e i falchi (leggi Hamas) di quello palestinese, recentemente (e improvvisamente) "riconciliatisi" con l'ala moderata di Abu Mazen, devono abrogare dal loro statuto fondativo la finalità di “porre nel nulla” l’entità sionista.

Gli uni potrebbero distruggere la democrazia israeliana, gli altri condurre il loro stesso popolo verso l’ennesima catastrofe come tutte le classi dirigenti palestinesi sono riuscite a fare dagli anni ’20 fino ad oggi.

Che i due presupposti necessari si verifichino entrambi ed in contemporanea appare poco probabile, anche se un'America spazientita da una parte e il collasso della Fratellanza musulmana dall'altro potrebbero giocare a favore di un abbassamento dei toni fra i contendenti.

Ma il sostanziale silenzio della dirigenza israeliana sulla crisi ucraina lascia perplessi. Qualcosa si muove sotto la superficie e non è chiaro cosa sia; potrebbe essere un tonno, potrebbe essere uno squalo. O un tonno che si limita ad avvertire, pacificamente, l'alleato americano che qualcosa non va o lo squalo che si prepara ad attaccare l'antica alleanza spostandosi in altri campi politici.

 

A margine: quando si parla di "popolo ebraico" spesso ci si ricorda di Shlomo Sand e del suo libro "L'invenzione del popolo ebraico". Un libro interessante che propone storicamente la scoperta dell'acqua calda: gli ebrei non sono i discendenti di quelli che vissero in esilio a Babilonia e che poi ricostruirono Gerusalemme, ma sono un popolo di convertiti alla religione ebraica nel corso dei secoli successivi. Da cui si dedurrebbe che non ci sono le condizioni storiche per rivendicare uno stato "ebraico" su quella terra.

Ho una notizia anch'io: in Egitto vive una popolazione in cui si sono mescolati geni degli antichi egizi, di greci, romani, ebrei, arabi, yemeniti e popolazioni dell'Africa subsahariana (e altri ancora). Ma dopo la conversione all'Islàm nel settimo o ottavo secolo sono diventati tutti "arabi". E lo stato si chiama ufficialmente "Repubblica Araba d'Egitto": vogliamo chiamarla l'invenzione del popolo arabo?

 

Foto: Mike & Christine Gartner/Flickr e Wikipedia

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità