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Mediaset: comitato elettorale

Navigando nel web scopro una bella intervista pubblicata dal Corriere riguardante l’addio di Mentana a Mediaset. Certo, la pubblicità al suo primo libro in uscita il 13 maggio ne può solo giovare, ma interessante è la lettera inedita in tempi non sospetti ma già tesi, fra lo stesso Mentana e il Gruppo Mediaset.

Questa lettera inedita scritta a Confalonieri fa emergere il disagio di Enrico Mentana all’interno del Gruppo, ma la cosa che a me ha fatto più impressione è il paragone del Gruppo ad un comitato elettorale di Forza Italia, con la Rai come prossimo obiettivo aggiungo io.

Certo qualcuno potrà dirmi "ma dove pensi di vivere?", oppure "nulla ti viene regalato". Ok, allora il fine giustifica il mezzo? Perché se così è, mi sorge spontanea una riflessione: siamo tutti schiavi del padrone? La libertà tanto faticosamente conquistata dopo i tempi del fascismo è ormai persa?

Potrò sembrare uno stupido ingenuo ma se così è, siamo messi mal. Di seguito pubblico l’intervista tratta dal Corriere e in uscita su Vanity:

"La nostra cena si è conclusa da poche ore. Le dico francamente che è stato un errore invitarmi. Mi sono sentito davvero fuori posto. C’era tutta la prima linea dell’informazione, ma non ho sentito parlare di giornalismo neanche per un minuto. Sembrava una cena di Thanksgiving. Un giorno del ringraziamento elettorale. Tutti attorno a me avevano votato allo stesso modo, ed ognuno sapeva che anche gli altri lo avevano fatto. Era scontato, così come il fatto di complimentarsi a vicenda per il contributo dato a questo buon fine. Non mi sento più di casa in un gruppo che sembra un comitato elettorale, dove tutti ormai la pensano allo stesso modo, e del resto sono stati messi al loro posto proprio per questo. Mi aiuti ad uscire, Presidente! Lo farò in punta di piedi".

Sono le parole della lettera -mai resa nota- che Enrico Mentana scrisse a Fedele Confalonieri la notte tra il 21 e il 22 aprile 2008, dopo una cena con i vertici di Mediaset e tutti i suoi direttori giornalistici, ad una settimana dal trionfo elettorale di Berlusconi. La pubblica nel suo primo libro, "Passionaccia" (Rizzoli) in uscita oggi, 13 maggio 2009.

A Vanity Fair, che gli dedica la copertina -da oggi in edicola- Mentana anticipa un capitolo del libro e risponde a molte domande rimaste senza risposta. Su quella notte ("Dopo aver irriso per oltre un decennio le accuse di chi dipingeva Mediaset come una dépendance di Forza Italia, avevo assistito ad una scena che avrebbe fatto esultare i teorici del conflitto d’interessi"), su come Confalonieri lo convinse a restare e sul perché il 9 febbraio scorso, la sera della morte di Eluana, l’azienda scelse invece la rottura.

Lei scrisse a Confalonieri perché tra di voi c’era un rapporto speciale. Era stato lui a difenderla ogni volta che qualcuno aveva chiesto la sua testa. Perché, allora, lo scorso febbraio ha smesso di stare dalla sua parte?

"Non lo so. Ma sa qual è l’aspetto della nostra “rottura” che mi è dispiaciuto di più? In questi mesi, Confalonieri non si è mai ricordato di un fatto che lo qualifica, nella mia vita, in modo diverso rispetto ad un qualunque altro dirigente Mediaset: è stato uno dei miei testimoni di nozze".

Motivo di più per chiedersi perché.

"Evidentemente o lui o l’azienda hanno ritenuto che la misura fosse colma. Si saranno chiesti: è più importante stare tranquilli o tenerci Mentana?". E si sono dati una risposta nel giro di poche ore. "Il punto è che io mi sono dimesso da direttore editoriale, dopodiché loro mi hanno licenziato da conduttore di Matrix. Mi ha sorpreso la determinazione a troncare –senza dialettica, e senza neppure il coraggio di dirmelo in faccia– un rapporto che durava da 17 anni".

Con Mediaset c’è tuttora un contenzioso aperto.



"Ho presentato una richiesta di reintegro al Tribunale del lavoro. La sentenza dovrebbe arrivare nelle prossime settimane. Dopodiché, anche se dovessi vincere, Mediaset potrebbe “risolvere” immediatamente il contratto. Ma voglio che siano loro a dire che mi mandano via. Mi interessa fare chiarezza in un rapporto che è stato importante: a Mediaset, ho fatto nascere dal niente un telegiornale, l’ho diretto per 13 anni, l’ho portato ad essere il primo del Paese, ho creato una trasmissione, Matrix, che dopo tre anni e mezzo era il più seguito programma informativo in seconda serata. È giusto che tutto questo abbia un finale chiaro".

In 17 anni, quante volte Silvio Berlusconi ha chiesto la sua testa?

"Parecchie. A volte, però, si chiede la testa di qualcuno per non ottenerla. È uno “sfogatoio”, un modo per marcare il territorio".

Del suo impegno politico da ragazzo parla nell’ultimo capitolo del libro. Ricorda gli scontri tra autonomi e polizia, nel maggio 1977 a Milano, che portarono all’uccisione dell’agente Antonio Custra. E svela una notizia inedita riguardo all’inchiesta.

"Nel 1987, un magistrato milanese aveva riaperto le indagini su quell’omicidio, scoprendo che a uccidere Custra era stato Mario Ferrandi, detto Coniglio. Lui stesso fino a quel momento non aveva mai sospettato di aver sparato il proiettile responsabile dell’assassinio, ma, messo di fronte alle perizie, collaborò immediatamente con il giudice istruttore Guido Salvini. Nessuno prima di me ha mai svelato che Ferrandi e Salvini erano stati amici. Loro stessi non lo hanno mai detto. Io lo so perché tutti e tre avevamo fatto militanza insieme in un gruppo anarchico, da liceali, all’inizio degli anni Settanta".

Il video non le manca?

"No. Sarà che mi sentivo a rischio e che, quindi, ero psicologicamente preparato a fermarmi. Soprattutto dopo la vicenda Di Pietro". Che lei invitò spesso in trasmissione – l’ultima volta il 3 febbraio, sei giorni prima del lunedì di Eluana – nonostante le avessero chiesto di non invitarlo più".

Fu Confalonieri in persona a domandarglielo?

"Sì. Del resto, che tra Di Pietro e il pianeta Berlusconi ci sia della ruggine non è un segreto".

Cose che avrebbe voluto e che non è ancora riuscito a fare?

"Avrei voluto condurre una bella puntata di Matrix sulla morte di Eluana".


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