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Mauritania, due anni di carcere per tre attivisti contro la schiavitù

Lo scroso 15 gennaio il tribunale di Rosso, nel sud della Mauritania, ha condannato a due anni di carcere Brahim Bilal, Djiby Sow e Biram Ould Dah Ould Abeid (nella foto), tre attivisti contro la schiavitù, dopo averli giudicati colpevoli di manifestazione non autorizzata e appartenenza a un’organizzazione non riconosciuta. Altri sette imputati sono stati assolti. Gli attivisti erano stati arrestati l’11 novembre 2014 a Rosso, al termine di una manifestazione pacifica contro la schiavitù, col pretesto che l’iniziativa non era stata autorizzata.

In Mauritania la discriminazione razziale è profondamente radicata. Il 40 per cento della popolazione è di etnia arabo berbera, vive in condizioni più che dignitose ed esprime l’elite al potere. Gli appartenenti alla maggioranza nera, gli haratin, conducono sin dalla nascita esistenze degradanti, con scarse possibilità di un riscatto sociale ed economico.

Nonostante la legge antischiavitù del 2007, la condizione di schiavo nero al servizio del “maitre”, il padrone, quasi sempre di etnia arabo berbera, è assai diffusa. Gli attivisti contro la schiavitù sono soggetti a costanti minacce, intimidazioni e arresti. Lo stesso Biram Ould Dah Ould Abeid, presidente dell’Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista, vincitore del premio delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2013, ha una lunga storia di persecuzione alle spalle. Per cercare di cambiare le cose, si era candidato alle elezioni presidenziali previste a giugno. Con questa condanna, gliel’hanno impedito.

 

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