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Matteo Salvatore raccontato da Sergio Rubini

Matteo Salvatore lascia perplessi: c’è chi non lo ha mai conosciuto, chi lo ricorda appena, chi ne parla con ammirazione. E’ stato cantautore, un poeta, per correttezza un cantastorie, pietra miliare della formazione artistica di musicisti tra i più affermati del panorama italiano. Uomo fuori dal comune, dopo una giovinezza di miseria e di analfabetismo, si riscattò con la sua chitarra e la forza espressiva delle sue parole. Destinato al successo, la sua carriera si arrestò di colpo con la stessa sregolatezza con cui aveva mosso i primi passi. Lo spettacolo che lo porta ancora sulla scena è una raccolta di suoi lavori, musicati dal vivo dalla Daunia Orchestra, gruppo sinfonico foggiano che ha lavorato alla riscoperta e al recupero delle sonorità insolitamente attuali di Matteo Salvatore. La voce del racconto è di Sergio Rubini, narratore e protagonista dell’autobiografia del cantastorie così come dell’affresco della società pugliese di qualche decennio fa, rustica e drammatica allo stesso tempo.

Il risultato è uno spettacolo godibile” anticipa Sergio Rubini “che racconta un sud che non esiste più, racconta storie che sono nel DNA del popolo pugliese. Dovremmo comprendere e non voler dimenticare il nostro passato, non rinnegando ciò che siamo stati, ma tenendo in vita la tradizione della nostra terra.

Il resto della chiacchierata con Rubini scivola inevitabilmente sul tema di punta di questi ultimi tempi, sull’impegno e tenacia di una regione che impara a mettere in sinergia occasioni e intuizioni perseguite con abilità, una sorta di Rinascimento Pugliese. La presentazione dello spettacolo “Di fame Di denaro Di passioni. Matteo Salvatore raccontato da Sergio Rubini” - nell’ambito della Stagione di prosa 2011/2012 del Comune di Taranto in collaborazione con Teatro TaTA’ – diventa l’occasione per definire un pensiero di rinnovamento diffuso negli ambienti culturali pugliesi originato senza dubbio da una assunzione di responsabilità che ciascuno di noi deve portarsi dietro e che Rubini sintetizza con maestria in tre parole “era il Sud” e in pochi spunti di riflessione.

Questione di lingua

Non ho mai tentato una ricostruzione filologica delle cadenze pugliesi. Non mi sforzo di ricostruire la cartina geografica della Puglia. Nel Salento recito in barese per esempio. Un pugliese viene mediamente identificato con un altro tipo di meridionale, quello di un unico dialetto e contesto, insomma stereotipato in un altro Sud. Per questo ricostruisco una lingua che abbia una connotazione “meridionale”, ma sia comprensibile. La lingua diventa una porta d’accesso per chi pugliese non lo è, magari non è neanche meridionale. Direi, piuttosto, che questo uso della lingua pugliese è una interfaccia tra noi e gli altri e non una chiusura. Anche e soprattutto la lingua diventa il mezzo per la costruzione di una identità meridionale. Nel film “La terra”, per esempio, ho inserito verso la fine un canto bulgaro: molti erano convinti fosse un canto popolare pugliese. Sono convinto che il Sud è un valore in cui è bene riconoscersi. Identificarsi attraverso le differenze acuisce la separazione. Invece occorre riconoscersi in un Sud più grande: il meridione del mondo.

Puglia e cinema

Nel 1989 girai 'La stazione'. A quei tempi un pugliese non era fiero del suo linguaggio e dei suoni di questa terra. La lingua e il contesto pugliese evocavano solo immagini comiche ed un ambiente culturale lontano dalla contemporaneità del resto del Paese. Poi arrivarono anche altri registi e lentamente il talento e le potenzialità di questa regione si sono trasformati in fatti concreti. Non escludo che ci sia lo zampino del cinema se questo anno la Puglia è stata la regione con maggiore affluenza turistica. Già Raffaele Fitto aveva proposto la fondazione dell’Apulia Film Commission: Vendola ha reso realtà questo progetto. I risultati sono evidenti.

Contraddizioni di una terra

Le tradizioni del Sud sono conflittuali. Nei miei lavori non mi interessa dimostrare che la Puglia sia diversa da ciò che è, sarebbe finta se intrisa solo di valori positivi. La descrivo così come è. È la mia terra e la amo molto. Per questo il mio sguardo è critico, ma costruttivo. La Puglia è una realtà particolare, ha un passato violento, ma pulsa di energia. Ha un’anima arcaica e va verso la modernità. Proprio come l’opera di Matteo Salvatore, ricca di queste contraddizioni, che racconta gli anni ’50 e ’60 e il boom economico usando parole antiche e riesce simpatico per la sua ambiguità, affascinante e misterioso per le sue vicende personali anche drammatiche.

Favore di pubblico

I miei film sono stati maggiormente apprezzati fuori dalla Puglia. Ho realizzato che ai pugliesi la commistione di lingua e fatti tra le diverse parti di questa regione non piace. Se io giro un film in Salento e il protagonista recita con inflessione barese, non va bene, per esempio. Non sempre si accetta l’unione di luogo e cultura, non si tollera la ruspante brutalità che fa parte della nostra storia. Invece bisogna conoscerla, saperci fare i conti, senza cercare di trasformare questa realtà.

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