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Matrimonio omosessuale e unioni civili. Il cielo irlandese e il seminterrato italiano

Dopo la Slovenia, della quale avevamo già parlato da queste parti, l’Irlanda (quantomeno, la maggioranza della) festeggia con clamore internazionale il referendum costituzionale che ha portato al riconoscimento dei matrimoni omosessuali, mentre il parlamento groenlandese, passando decisamente più inosservato, ha votato all’unanimità l’adozione delle leggi danesi sulla legalizzazione del matrimonio e dell’adozione per le coppie dello stesso sesso.

Insomma, contando i 28 stati dell’Unione Europea, sono rimasti solo in 9 a non prevedere alcuna forma seppur minima di riconoscimento delle coppie non eterosessuali, uno solo invece in tutta l’Europa Occidentale. Il nostro, ovviamente. Tanto che a guardare una cartina formulata su questa base, l’Italia sembra aver aderito, fuori tempo massimo e su ben altri temi, al patto di Varsavia.

Italia che giusto per fare finta di essere al passo coi tempi proprio in questi giorni vede infuriare, nel senso letterale del termine, il dibattito sul tanto promesso e più volte slittato disegno di legge, il cosiddetto Cirinnà (dal nome della proponente senatrice PD) che introdurrebbe le unioni civili sulla base del modello tedesco anche nel nostro ordinamento. Testo già rivisto e rimaneggiato in commissione Senato, nel quale viene opportunamente evitato ogni paragone o riferimento diretto al matrimonio, pur attribuendone in parte i diritti e i doveri, e che, nel vietare l’adozione, permette invece la stepchild adoption, quella cioè del figlio del proprio partner. Testo abbastanza tiepido, a conti fatti, certo di stampo notarial-burocratico più che di definitiva rottura di un sistema normativo ormai troppo lontano dalla realtà economico-sociale per non essere definito, come minimo, illiberale.

Unioni civili, dicevamo, nulla di più ma pur sempre qualcosa. Sempre che ci si arrivi, peraltro. Se da un lato ad alcuni può ben fare specie come ci si ritrovi oggi a combattere, invano, per un’istituzione quale quella del matrimonio fino a pochi anni fa contestata in radice, vuoi perché espressione di una società borghese e patriarcale vuoi perché simbolo di una concezione di famiglia ritenuta del tutto in via di superamento, dall’altra proprio questo afflato mostra a chiare lettere la condizione di arretratezza dinamica propria del nostro paese. Condizione che porta, inevitabilmente, a plaudire qualsivoglia concessione in un una logica del meno peggio che sembra però poco accordarsi con l’assolutezza propria dei diritti fondamentali dell’individuo. Tra questi, quello di autodeterminare la propria affettività; che connesso al diritto di uguaglianza non fa ben comprendere perché servano due istituti giuridici differenti a regolamentare, semplicemente, una identica coppia di adulti consenzienti.

A ogni modo, persino il meno peggio (e comunque sia lodato, vista la situazione. In fondo, l’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri nel 2007 era in prima fila al family day), cioè il ddl Cirinnà, non ha alcuna certezza di venir approvato, anzi. Quattromila (sì, quattromila) emendamenti più che bipartisan, universali, vi incombono sopra. Certo, in buona parte sono prodotti dalla “classica” tecnica dilatoria per inchiodare alle calende greche qualsivoglia dibattito parlamentare e conseguente possibilità di approvazione di una legge. Ma c’è qualcosa di più. Perché le proposte e le formulazioni fatte dai nostri parlamentari a volte oltre a un evidente insulto all’intelligenza di chiunque, sembrano davvero pescare dal peggior fondo del peggior barile dell’intolleranza integralista.

Brilla il sempre incline alla pacatezza d’animo Giovanardi, che propone di regolamentare “amicizie civilmente rilevanti” fra concubini, ma solo alla presenza di dieci testimoni e sempre che i coniugi non siano entrambi del segno del Toro (no, non è una battuta di chi scrive, è proprio un emendamento Giovanardi).

O il forzista Malan, che sposa, è il caso di dire, la definizione di “unioni renziane”, alla quale il popolare Mario Mauro contrappone invece quella di “associazione senza scopo di lucro reciproco”. Eppure, strano a dirsi (?), anche fra i più insospettabili striscia scontento o quantomeno voglia di tirare, ancora per un po’, il freno a mano. Dall’emendamento Blundo (M5S), che esprime la volontà di appesantimento della procedura con l’obbligo di stessa residenza e di convivenza triennale, ai malumori all’interno dello stesso Pd, partito proponente la legge, dove c’è chi vorrebbe sostituire la stepchild adoption definitiva con l’affido temporaneo.

Perché questo, entusiasmo più o meno effimero e d’importazione a parte, rimane il paese dove si organizzano adunate (non sempre frequentatissime, va detto) nelle piazze come fanno le cosiddette Sentinelle in piedi con lo scopo manifesto di impedire il realizzarsi di un diritto basilare. Diritto che, mai stancarsi di sottolinearlo, qualora venisse riconosciuto nella sua pienezza in alcun modo ne lederebbe sminuirebbe o esaurirebbe alcun altro. Diritto che non è solo (come poi fosse poco) il diritto di amare, ma anche il diritto, brutalmente pragmatico, di ricevere dallo stato del quale si è contribuenti paritetici, un trattamento equivalente a quello di tutti, senza che nessuno si arroghi la pretesa di censurare ciò che è ingiudicabile, come l’orientamento sessuale.

La votazione del disegno di legge, assicura Renzi, è prevista tra luglio e settembre. Non sappiamo ancora se avverrà e meno che mai su quale testo: di certo è che in molti (della classe politica; in molti meno della cosiddetta società civile) si batteranno per mantenere i nostri standard orgogliosamente al ribasso. Abituati a fare il fanalino di coda, spesso sembriamo più banalmente in black out.

Adele Orioli, responsabile iniziative legali Uaar

Questo articolo è stato pubblicato qui

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