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Marvi Santamaria e Match and the City: quello che le donne dicono… sul sesso

Sarà l’accento siciliano, sarà che con lei nessun argomento è tabù, sarà che porta il sole e il mare della sua terra nel suo essere, ma Marvi Santamaria, ti avvolge e conquista. Si racconta con grazia e sincerità.

 È contro gli stereotipi, i sentito dire, le verità preconfezionate. Si definisce siciliana anomala: non ama il cibo piccante, è quasi vegetariana, non impazzisce per i cannoli con la ricotta e quando si è trasferita al nord, nella fredda Milano, l’ha subito amata e subito si è sentita accolta.

Marvi Santamaria così si racconta: “Classe ’88, siciliana trapiantata a Milano per lavorare come Social Media Manager. Nel tempo libero, una sex-blogger a metà tra Samantha Jones e Bridget Jones, con un nome strano e un’ ossessione per il viola. Racconto storie di ordinaria sessualità (e disagio) nate dalle dating app, un match dopo l’altro”.

Un solo cognome Jones, per due donne molto diverse, per definirti con ironia e precisione.

Sì, mi rispecchio nelle due Jones, come Samantha l’irriverente protagonista di Sex and the city, sono autonoma, libera, eppure profonda. Samantha alla fine della serie lascia il suo toy boy per pensare a se stessa, dopo aver affrontato e combattuto la malattia. In Bridget mi ritrovo per la goffaggine. Penso che ci sia una Bridget Jones in ciascuna di noi. Quei momenti di tristezza che si affondano in una vasca di gelato, sprofondate nel letto con il trucco che cola. Eccomi dunque. Per lavoro mi occupo di Social Media mentre nel tempo libero sono una sex blogger. Ho creato il blog Match And the city e una pagina fb, per parlare di sesso, lifestyle, tendenze, costumi.

 Partiamo dall’inizio: tu sei siciliana trapiantata da 5 anni a Milano.

Sì. La scelta più azzeccata che abbia mai fatto. Sono arrivata a Milano quasi per caso. Dopo essermi laureata in Sicilia ho iniziato a mandare curriculum ovunque, anche al mitico Nord. Per cercare lavoro. Nessuno mi chiamava, anzi, nessuno proprio mi rispondeva. Così ho deciso di proseguire gli studi con un master e ho trovato quello di Iab Italia, alla Cattolica. Un master su selezione, prendono solo una ventina di persone l’anno. Allora la selezione avveniva su base motivazionale, negli ultimi anni valutano anche le competenze e prediligono persone con esperienze lavorative. Sottolineo questo perché, se allora mi hanno preso, credo sia stato perché la mia storia li ha convinti. Al colloquio di selezione ho raccontato che, terminata una relazione, avevo deciso di lasciare la mia famiglia e la mia terra per costruirmi un futuro, seguendo la mia grande passione per il digital. Il trasferimento è arrivato all’improvviso. Non avevo mai sognato di partire e andare via, non era nei miei piani. A casa stavo proprio bene. E invece… in estate ho chiuso una relazione durata tantissimi anni e a ottobre ero già sui banchi del master. Dico sempre che è stata la scelta migliore della mia vita.

Non avevo mai sognato di partire e andare via, non era nei miei piani. A casa stavo proprio bene. E invece… in estate ho chiuso una relazione durata tantissimi anni e a ottobre ero già sui banchi del master. Dico sempre che è stata la scelta migliore della mia vita.

 

La fine della tua relazione ha inciso sulla tua scelta di lasciare tutto?

La mia era una relazione di violenza psicologica. A mia discolpa posso dire che ero molto giovane, non avevo strumenti per capire, non sapevo chi ero e cosa volevo, e non mi rendevo conto fino in fondo di ciò che stavo vivendo. Poi sono arrivata a un punto di non ritorno e allora ho capito che se non volevo sprofondare dovevo afferrarmi per i capelli e tirarmi su. E così è stato. Mi sono svegliata con l’urgenza di cambiare, sentivo che qualcuno stava scrivendo la mia storia, vivendo la mia vita. E questo non mi andava più bene. Non è stato facile lasciare, ho faticato parecchio, anche lasciare è difficile, perché infliggi una grande sofferenza a chi lasci. Al di là di ciò che hai subito. Poco dopo è arrivato il trasferimento a Milano.

Poi sono arrivata a un punto di non ritorno e allora ho capito che se non volevo sprofondare dovevo afferrarmi per i capelli e tirarmi su. E così è stato.

Fredda, difficile, straniante?

No. Passati i primi due giorni, da Milano mi sono sentita accolta e l’ho subito amata. Al contrario degli stereotipi che si sentono sul meridionale che sale al nord a lavorare e viene respinto, io credo che Milano offra mille possibilità. Certo te le fa sudare e ti ricorda ogni giorno che bisogna faticare per ottenere le cose. Non tornerei al sud a lavorare, non perché non ami la mia terra, ma perché le opportunità che ho qui la mia terra non me le offre. Se dovessi partire alzerei l’asticella e andrei all’estero.

Non tornerei al sud a lavorare, non perché non ami la mia terra, ma perché le opportunità che ho qui la mia terra non me le offre.

Con Milano è arrivato un mondo nuovo, una vita in cui provare e sperimentare di tutto…

Proprio così. All’inizio ho vissuto, sentito, assaggiato, aggredito Milano come se fosse un folle luna parck in cui provare cose a cui non ero abituata, che non conoscevo. E lo facevo con l’ingenuità e l’incoscienza della ragazzina diciottenne. Perché era la prima volta che mi trovavo lontano da casa, da tutto e da tutti. Insomma, a Milano la mia vita ha subito un totale restart. Grazie a un amico, un compagno del master, ho scoperto l’esistenza di una nuova applicazione che impazzava, Tinder, un’app per conoscere e chattare con sconosciuti. Io, che sono sempre stata una nerd e ho sempre avuto una passione per le chat, ho scaricato Tinder per capire come funzionava. E sono salita sulla giostra più divertente, pensavo, che avessi mai incrociato. Ho iniziato a esplorare e uscire con decine di persone. Per poi scoprire che alla quantità non corrisponde sempre quantità.

Cos’ è Tinder e cosa sono le dating app.

Sono applicazioni da scaricare che ti permettono di entrare in contatto, dopo essersi registrati, con sconosciuti, con diverse finalità. Solitamente per uscire e da lì decidere, ciascuno è poi libero di giocarsela come vuole, se unicamente per sesso o per qualche cosa di più importante. Nella maggior parte delle app deve avvenire un match, una compatibilità reciproca, perché avvenga l’incontro e i due profili possano chattare.

 

Da qui il tuo progetto: Match and the city.

Sì, come dicevo prima, con l’arrivo a Milano avevo collezionato tre anni di frequentazioni intensive a ritmi folli di ragazzi e uomini. L’effetto inebriante della nuova vita e della nuova città, una giostra che girava a un ritmo vorticoso e io stavo là, attaccata a girare, accumulare gioie ma anche tanto disagio. E non avevo nessuno con cui confrontarmi, non la famiglia, a cui non mi sentivo ancora di raccontare che utilizzavo le dating app per trovare ragazzi con cui uscire, e le amiche che utilizzavano Tinder erano poche. Ho vissuto la mia sofferenza in totale solitudine. Quando, dopo l’incontro di una sera, il ragazzo con cui ero uscita spariva, ne soffrivo immensamente. Mi sentivo abbandonata. Non capivo che quello faceva parte del gioco. Tinder è la giostra che gira, altro giro, altro incontro. Ma io non avevo gli strumenti per capire.

L’effetto inebriante della nuova vita e della nuova città, una giostra che girava a un ritmo vorticoso e io stavo là, attaccata a girare, accumulare gioie ma anche tanto disagio.

Ora so che tante donne ancora vivono così la delusione degli incontri. Da questo accumulo di disagio mi sono chiesta se ci fossero gruppi di donne che si occupassero di Tinder e di dating app, donne con cui confrontarsi sugli incontri, sulle sofferenze, sul divertimento, sul sesso. Non ho trovato nulla: siti, pagine fb, gruppi verticali sulle dating app in Italia non ce n’erano. Solo gruppi stranieri. Il più famoso è Tinder’s nightmares, da cui è anche stato tratto un libro. 

E così ho deciso di creare un blog e la pagina e il gruppo fb: luoghi virtuali in cui le donne possono raccontare i propri incontri e non solo, in uno spazio sicuro. Tutto in anonimo, non voglio la gogna dei profili maschili, perché noi donne non vorremo essere raccontate così. Arrivano decine di post ogni giorno, controllati e moderati da me. E quest’anno, a novembre, è arrivato il podcast, prodotto da Querty, un network di podcast italiani, di valore culturale. Il mio è un podcast corale, raccolgo storie di donne con nota vocale, tramite telegram, che poi commento e aggiungo il parere di una psicologa. È un format che funziona e piace molto.

Grande successo dunque, per il tuo progetto, arrivato anche grazie al fatto che hai deciso di svelare la tua identità.

Sì, inizialmente non mi sono esposta, pensavo che la mia famiglia o i colleghi non avrebbero capito fino in fondo il mio blog. Che non fossero pronti a comprendere ciò che facevo. Svelare la mia identità dietro a Match and the City significava svelare che per anni ho usato le app e che avevo una vita sessuale. Pensiamo che i genitori immaginino i figli come esseri asessuati. Alla fine è andata bene. I miei genitori, nonostante vivano nel profondo sud della Sicilia, sono persone aperte, un po’ hippy, liberi e privi di schemi mentali, di sesso abbiamo sempre parlato. Dunque è stato molto naturale fare coming out. E per farlo ho deciso che avrei organizzato un evento, la scorsa estate. Un aperitivo con speed date in Portineria 14, a Milano. Un locale bellissimo che mi ha supportato tanto.

La serata è stata un successo, sono venute parecchie persone. Insomma, ho capito la forza di quello che stavo facendo quando ho realizzato che per l’evento di una sconosciuta erano arrivate più di 60 persone. Da lì c’è stata la svolta.

Cosa ti ha dato Match and the City e gli incontri e scontri con tante donne e tanta umanità?

Ho scoperto che è bellissimo e molto facile fare rete. Le persone, se intercetti un bisogno comune, ti seguono. Io ho intercettato il bisogno di parlare di sesso e delle dating app in maniera accogliente e non giudicante. Ho capito che le donne amano fare sesso e amano parlarne. Poi certo ho realizzato quanto siano ancora forti e radicati gli stereotipi sessisti, maschilisti, che imperversano nella nostra società. Ancora non riesco a non vivere sul personale gli attacchi che quasi quotidianamente arrivano. Ma questa presa di coscienza mi ha permesso di mettermi in gioco come donna, femminista, per lottare contro gli stereotipi di genere. Quindi il blog è stato ed è terapeutico. Mi ha liberato e spero liberi altre donne, dal peso del giudizio, dalla paura di dire ciò che si pensa, ciò che si ama o come si sceglie di vivere.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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