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Marea nera nel nord Sardegna: disastro di serie B?

Martedì 11 gennaio 2011, Porto Torres, sera. Una nave petroliera, la Emerald, è ormeggiata nel terminal di Fiume Santo, polo chimico del nord Sardegna al confine con il Parco Naturale dell’Asinara. La petroliera sta immettendo olio combustibile, denominato Orimulsion, nelle condotte d’alimentazione di uno dei due gruppi ad olio ancora attivi nell’impianto della società tedesca eOn, una fra le aziende energetiche più grandi al mondo con fatturati annuali superiori agli 80 miliardi di dollari. Quei due gruppi ad olio non dovrebbero più esistere già da alcuni anni, dovrebbero essere stati rimpiazzati da gruppi a carbone, ma invece sono ancora in funzione, legittimati da deleghe della Regione Sardegna, autorizzati ad operare nonostante la loro obsolescenza e pericolosità.

E’ facile intuire le motivazioni che hanno spinto la Regione a non esercitare troppa pressione sull’eOn, quando si leggono cose del genere:

“Per quanto riguarda il vantaggio fiscale proveniente dall’intesa [fra azienda e Regione Sardegna] è utile ricordare, a titolo esemplificativo, che nel mese di giugno sono stati versati da parte di EON, a titolo di anticipo delle imposte IRAP e “Robin tax”, 25,5 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi ai circa 50 milioni di euro versati nel novembre del 2009. A tale cifra deve essere sommato anche quanto versato da EON Italia Spa, la holding del gruppo, che nel mese di Luglio ha versato in Sardegna 13.2 milioni di euro.”

Gli impianti, quindi, lavorano a pieno regime, l’olio scorre nelle tubature, alcuni operai soprintendono all’operazione. Tutto sembra andar bene, due chiacchere di sottofondo, dai, si tratta di un lavoro di routine. Ad un certo punto uno dei due operai solleva lo sguardo sull’acqua e vede una chiazza scura, già enorme, l’odore dell’olio nell’aria, i massi del pontile già anneriti dal materiale che fuoriesce da una falla nella condotta.

Quando risuona l’allarme è tardi, troppo tardi: il mare è stato violentato da 18.000 litri di catrame misto ad olio.

La notte scorre in silenzio, la portata del disastro si vedrà nei giorni seguenti: la marea nera ricopre 18 km di litorale, da Porto Torres a Punta Tramontana, vicino Castelsardo.

L’arenile viene interdetto alla popolazione, nessuno può accedervi se non chi viene impiegato per le bonifiche, che potrà avvicinarsi alla spiaggia solo con protezioni integrali e maschere ai Carboni attivi.

Ufficialmente, sui cartelli apposti nelle discese al mare c’è scritto che l’accesso alla battigia viene impedito per evitare che il catrame, per effetto del calpestamento, venga ulteriormente mischiato alla sabbia, ma il motivo vero è solo uno: quel materiale che ricopre spiaggia e mare è altamente cancerogeno.

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Il litorale dei comuni di Porto Torres, Sassari, Sorso e Castelsardo si popola di uomini vestiti da alieni, coperti da tute integrali bianche, il viso protetto da maschere antigas, gli occhi schermati da protezioni, nemmeno un centimetro di pelle esposta: con le pale sollevano la sabbia contaminata, nera, mischiata al petrolio e la gettano dentro sacchi neri condominiali, al ritmo di 2 pieni per ogni metro quadro di rena.

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L’informazione va a rilento: solo giovedì, due giorni dopo l’accaduto, il Tg3 regionale si degna di darne notizia, minimizzando la vicenda e sostenendo che “parlare di disastro ambientale è quantomeno fuori luogo”.

Sulle testate nazionali neanche l’ombra di un trafiletto, eppure il catrame ha inondato un paradiso terrestre che nei mesi estivi occupa a gran voce le cronache per il gran via vai di vip o presunti tali, per lo più morti di fama. La mente corre veloce alle altre sciagure ambientali di cui la stampa si è però molto occupata: lo sversamento di petrolio nel fiume Lambro, la marea nera nel Golfo del Messico, l’ondata di fanghi tossici in Ungheria. disastri ecologici di cui siamo stati informati con gran dovizia di particolari.

Ovviamente questi episodi non sono paragonabili fra loro dal punto di vista quantitativo ma è comunque desolante constatare che i cormorani catramati di Porto Torres non abbiano il fascino esotico degli uccelli oceanici rivestiti di petrolio.

La mobilitazione della popolazione davanti a quest’ennesimo scempio ai danni dell’isola ha denunciato la pericolosità degli impianti presenti nella zona e ha sollecitato la loro riconversione o, in via definitiva, lo smantellamento a salvaguardia di una delle zone più amate e frequentate della Sardegna. L’integrità del patrimonio ambientale è una priorità per noi sardi che sappiamo bene che il turismo è una delle pochissime voci in attivo nel desolante bilancio produttivo della Regione.

Appare comprensibile, alla luce di questi ultimi fatti, che la produzione della chimica nell’isola sia da alcuni percepita alla stregua dell’occupazione militare che è altrettanto presente in queste terre: impianti imposti dall’alto, dirigenti di multinazionali che non hanno mai messo piede nei luoghi dove sorgono le loro ciminiere, compagnie miliardarie che smobilitano i siti di produzione in pochi giorni, lasciando alla fame centinaia di uomini.

La Sardegna, al centro del Mediterraneo, subisce gli effetti più devastanti della globalizzazione, a livelli thailandesi o cinesi: l’uomo non è più un lavoratore ma un mero ingranaggio della fabbrica e al pari delle strutture o dei macchinari, quando non serve più ai disegni economici del padrone, viene buttato via senza alcun rispetto.

Duole ricordare che oggi, da oltre 330 giorni, decine di uomini sono ancora asserragliati sull’Isola dei Cassintegrati in protesta contro le aziende, Vinyls, ENI, Rockwool, Equipolymers, Legler, tutte legate alla chimica ma anche molte altre, che li hanno messi in mezzo ad una strada, negando loro dignità e speranza.

Quello che noi sardi chiediamo, e ci siamo stancati di dirlo sottovoce, è che queste multinazionali che occupano le nostre terre inizino a rispettarle e a rispettare noi e che, soprattutto, paghino a caro prezzo i loro errori.  Chiediamo e rivogliamo la nostra dignità, che passa anche dal diritto di vivere in un ambiente salubre, non in un territorio con i tassi di incidenza tumorale fra i più alti d’Italia (Fonte: Pubblicazione Registro Tumori Regione Sardegna).

La consapevolezza dell’assenza di rispetto nei nostri confronti da parte della eOn fa sollevare diversi interrogativi: se i sistemi di protezione previsti dalla legge erano realmente attivi come ha fatto l’olio misto a catrame a disperdersi nel Golfo dell’Asinara?

Se l’allarme è stato dato tempestivamente e non con enorme ritardo come appare, perché non è stata disposta la chiusura del bacino per contenere il combustibile dentro le acque portali?

E’ possibile che all’interno di un Parco Nazionale con un Santuario dei Cetacei non ci siano sufficienti sistemi di rilevamento, di allarme e di contenimento?

Inutile chiedere tutela ai politici regionali: nessuno infatti, né di maggioranza né di opposizione si è preoccupato di allertare il Ministro dell’Ambiente Prestigiacomo, che è stata messa a conoscenza dei fatti dagli attivisti di Legambiente. Solo dopo molti giorni, il 20 gennaio, la presidentessa della Provincia di Sassari, Alessandra Giudici, ha chiesto che venga dichiarato lo stato di calamità naturale e solo il prossimo mercoledì 26, a quindici lunghissimi giorni dall’incidente, la Prestigiacomo riferirà in parlamento.

L’unica mossa del Governatore regionale Cappellacci è stata quella di indire, il 18 gennaio, un vertice con l’Assessore regionale all’ambiente Oppi e il direttore generale di eOn Venerucci, a cui non è stato però invitato nessun rappresentante dei comuni coinvolti.

Quattro giorni dopo l’incidente i responsabili di eOn hanno comunicato che sarebbero bastati meno di dieci giorni per far sparire ogni traccia di olio da acque e spiagge, ma non avevano considerato le mareggiate e le correnti che hanno spinto migliaia di metri cubi di catrame all’interno di un altro parco naturale, quello de La Maddalena, all’altro capo dell’isola, contaminando la splendida Valle della Luna, arrivando a lambire perfino le coste sud della Corsica.

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Com’era prevedibile, poi, il catrame è arrivato a Stintino, e la paura che vada a violare l’Asinara si fa sempre più concreta.

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A tutta questa indignazione se n’è aggiunta ancora altra, ieri mattina, quando abbiamo visto con quale stupidità siano state condotte le operazioni di bonifica:

ff (1)Le migliaia di sacchi neri che costellavano le spiagge non sono infatti stati rimossi ma sono stati lasciati sull’arenile, a pochi metri dall’acqua, ed è bastata una mareggiata a trascinarli in mare, aprendoli e ributtando il loro contenuto tossico dove era stato faticosamente e onerosamente prelevato.

La speranza è che questo disastro serva a far alzare la testa a noi sardi, che ci faccia ribellare a chi viene, sfrutta la nostra terra, le nostre braccia, e ci butta via appena trova una terra più disperata da impoverire ancora di più; che ci faccia smettere di implorare un posto di lavoro “costi quel che costi”, soprattutto se il costo si traduce in inquinamento, leucemie, tumori, morte sul lavoro, spregio delle regole, insulto alla dignità.

E’ la speranza che questo ci porti a capire che la Sardegna non può vivere di rendita sulle bellezze che la natura ci ha concesso senza però far nulla per proteggerle e preservarle, aspettando sempre che siano gli altri a giungere in nostro soccorso; l’abbiamo visto con lampante evidenza, a livello nazionale noi non esistiamo, perciò dobbiamo rimboccarci le maniche e far da soli, con il doppio dello sforzo, sì, ma anche con il doppio dell’orgoglio.

Fonti foto: 1: La Nuova Sardegna; 2,3,10: unblogindue.it; 4,5,6,7,8: Stefania Taras; 9: Ufficio Stampa del Comune di Stintino

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.15) 6 febbraio 2011 15:39

    sono stata a Platomana stamattina, di catrame neanche l’ombra.... ma lungo la strada che costeggia il mare era pieno di tanta sporcizia, bottiglie e piatti di plastica, cartacce, incarti di snack.... come fate a prendervela con gli altri se i primi a non rispettare la nostra terra siamo noi ?.... come fate a dire che i sardi devono alzare la testa se riduciamo la nostra isola ad un cassonetto di immondizia? E poi rivolgo una domanda a tutti i perbenisti impegnatissimi in questa rivolta: VOI FATE LA RACCOLTA DIFFERENZIATA? e chiudo qui perchè sono abbastanza indignata!!!

    Bianca

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