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Manlio Cancogni: Capitale corrotta, Nazione infetta

E’ morto lo scrittore Manlio Cancogni. Io non sapevo che fosse stato anche un giornalista e che avesse scritto la famosa inchiesta “Capitale corrotta, nazione infetta”, pubblicata da “L’Espresso” nel lontano 1955.

Ho ritenuto opportuno, per ricordarlo, riportare alcune parti di quell’inchiesta, anche perché contiene delle analogie con la situazione attuale di Roma.

L’inchiesta però è piuttosto lunga e chi intendesse leggerla integralmente può utilizzare questo link

“Presto il sindaco Rebecchini ci lascerà. Andrà a Madrid, ambasciatore presso il governo di Franco. Al suo posto si presenterà una personalità politica di maggiore prestigio, forse un ministro. Questi sono progetti dei democristiani di Roma, preoccupati per l’avvicinarsi delle elezioni comunali che si annunciano così pericolose per la giunta che amministra la capitale.

Durante l’amministrazione Rebecchini il Comune ha fatto centoventi miliardi di debiti che costano dieci miliardi d’interessi l’anno, per pagare i quali non è sufficiente l’intero gettito annuale delle imposte dirette. Il deficit annuo si aggira intorno ai dieci miliardi.

Tutte le aziende autonome, come l’Atac, ad esempio, sono diventate passive. In compenso, quelle private, come la Pia Acqua Marcia, hanno continuato a realizzare utili enormi e le aree fabbricabili hanno avuto incrementi di valore di sessanta, settanta miliardi l’anno.

Gli abusi, le manchevolezze dell’amministrazione Rebecchini avrebbero portato in qualsiasi altro comune alla nomina di un commissario prefettizio. A Roma non è avvenuto oltre che per il volere del partito di maggioranza, perché i principali gruppi speculatori della capitale desiderano la permanenza dell’attuale consiglio in Campidoglio.

Nessuno potrebbe garantir loro vita più facile di quella che hanno avuto fino ad oggi. Nell’attuale inchiesta non si vuole parlare tuttavia né del sindaco né del disservizio del Campidoglio. Vogliamo invece fare un quadro delle speculazioni che il sindaco e il Campidoglio hanno permesso e incoraggiato. La più grave di tutte, chiave di volta dell’intero sistema, è quella sulle aree fabbricabili. La vita dell’intera popolazione ne è compromessa…

Il quadro è sufficiente a mostrare che le grandi potenze della capitale, e cioè l’Immobiliare, la Beni Stabili, la Pia Acqua Marcia, la Roma Gas e la Romana di Elettricità, sono collegate fra loro (e tutte hanno legami col Vaticano) con un unico scopo (che negli statuti viene chiamato fine sociale): il controllo economico di Roma.

Abbiamo finora accennato soltanto all’attività dell’Immobiliare perché il suo esempio è classico e perché essa non fa mistero dei suoi programmi. In una recente seduta dell’assemblea dei soci fu fatta una dichiarazione sufficiente a chiarire i rapporti fra questa società privata e la legge.

Fu detto: ‘Il comune di Roma dovrà in avvenire mostrarsi più comprensivo nei riguardi dell’Immobiliare lasciandola libera di applicare il piano regolatore secondo le sue vedute. L’Immobiliare possiede tutti i mezzi, architetti, tecnici, urbanisti, ecc. ecc. per dare a Roma lo sviluppo che compete a una città delle sue tradizioni’.

Gli altri grossi proprietari non hanno altrettanto potere, ma sanno anche essi agire con sufficiente abilità.

I più ragguardevoli sono: il marchese Alessandro Gerini con sei milioni di metri quadrati, la sorella del marchese, Isabella, con due milioni e mezzo, i principi Lancellotti con sette milioni…

Con questi metodi, sollecitati dalla speculazione sulle aree, l’edilizia romana non ha cessato di svilupparsi. Dai 26.673 vani costruiti nel ’50 si è passati ai 41.881 del ’52 e ai 75.127 del ’54. La media annua in questo periodo è stata di 46.762. la più alta in tutta Italia.

Sono alloggi i cui fitti vanno da un minimo di 30-35.000 lire per appartamenti di tre vani dove la fabbricazione ha carattere intensivo, a massimi che toccano le 100.000 nelle palazzine o nei villini delle zone favorite.

Abbiamo detto l’edilizia romana, ma avremmo dovuto precisare: l’edilizia romana privata. La situazione di quella pubblica infatti è molto meno brillante.

In sette anni l’Ina-Case che dovrebbe assicurare ai meno abbienti fitti economici mai superiori alle 10.000 lire al mese ha allestito soltanto 6300 alloggi pari a 31.110 vani. L’Istituto Case Popolari non ha nemmeno raggiunto queste cifre. E tuttavia è proprio in questo campo che la richiesta è enorme. Vi sono nella città 66.467 alloggi con un indice di affollamento superiore alle due persone per vano. Vi vive il trenta per cento della popolazione. In 25.000 alloggi l’affollamento supera le tre persone per vano. Poi ci sono le 28.000 famiglie che vivono nelle baracche, spesso in vista, come accade per il campo Parioli, delle zone di lusso dove più sfrenata è stata la speculazione sulle aree che li condanna a quella vita miserabile.

Volendo risolvere in dieci anni il problema della casa per i romani (oltre all’eliminazione delle baracche e alla riduzione dell’affollamento è necessario sostituire le case logore e provvedere alle 35.000 persone che ogni anno affluiscono nella capitale) l’ufficio statistica del Comune ha calcolato che bisognerebbe costruire 80.000 vani all’anno. L’edilizia privata è quasi arrivata, nel ’54, a questa cifra. Ma essa offre un prodotto che si rivolge a tutt’altro mercato. E, monopolizzando a suo profitto le aree, impedisce che un’edilizia economica abbia il suo naturale sviluppo.

Utilizzando certi articoli del Testo Unico dell’Edilizia popolare il Comune avrebbe potuto porre la questione dell’esproprio. Ma anziché espropriare il Comune preferisce vendere ai privati anche quel poco che ha…

Proprietari di aree ed edili sono dunque gli incontrastati padroni della città e ne regolano la sorte e l’avvenire a loro arbitrio.

Il comune di Roma è stato dal ’50 ad oggi zona di speculazione fondiaria e edilizia e tale deve restare.

Questo è in sintesi il quadro di ciò che è avvenuto nei sette anni dell’amministrazione Rebecchini.

Durante questo tempo il sindaco non ha cessato di sorridere. Egli pare non avverta nemmeno il pericolo che gli si sta scavando, e non retoricamente, il terreno sotto i piedi. Le perdite d’acqua dovute all’invecchiamento delle condutture, la rottura di molte fognature dovuta all’incuria dell’amministrazione hanno formato nel sottosuolo fra il Pantheon e il Campidoglio una palude che un giorno potrebbe inghiottire gli edifici di quei quartieri e le persone che vi abitano”.

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