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Maltempo: Dolomiti bellunesi in ginocchio

Racconto di una situazione drammatica ma trascurata dai media nazionali, che hanno gli occhi puntati sui grandi centri. Eppure l'emergenza è stata gestita molto bene, prestando attenzione alla comunicazione del rischio.

In molti lo stanno dicendo, su blog e sui social network: in questi giorni di emergenza nazionale ci sono zone non raccontate, lasciate in disparte dall’informazione a livello nazionale, ed è un errore. Non solo di principio, perché senza renderci conto – o forse sì – continuiamo ad alimentare come giornalisti un’ottica urbanocentrica, dove la provincia non fa né clic né tendenza. Soprattutto un errore dal punto di vista dell’educazione alla gestione del rischio idrogeologico.

Parlo della (mia) provincia di Belluno, che con la modestia che è propria di una certa montagna sta mostrando come si fa fronte tutti insieme all’emergenza, risolvendo i problemi in breve tempo e coinvolgendo la popolazione per prevenire il rischio.

L’incendio nei boschi dell’Agordino

Dal 24 ottobre a oggi la Provincia di Belluno ha affrontato due problemi serissimi. Prima è arrivato un incendio che ha sfigurato i boschi dell’Agordino – complice probabilmente un albero caduto sui tralicci – dove turisti da tutta Italia vengono a passare le vacanze in estate e in inverno. Non a fine ottobre, in effetti. E viene da chiedersi se forse non sia questo uno dei motivi impliciti di uno scarso interesse dei media. A fine ottobre in alta montagna ci sono solo quattro montanari.

L’incendio ha travolto paesi interi, centinaia di persone sono rimaste senza casa, e lei, la Natura, è stata senza dubbio la più ferita. Non ci sono state vittime, anche perché nessuno ha osato fare passi falsi. Bisogna avere timore della Montagna quando è fragile per evitare di dover intonare una volta di troppo un canto a quel “dio del cielo, signore delle cime” che tutti conosciamo.

Ma non ci sono stati danni a persone anche perché da subito le istituzioni hanno operato in modo impeccabile, nonostante il vento devastante rendesse molto difficili le operazioni di spegnimento delle fiamme, impedendo di scaricare dall’alto acqua con gli elicotteri, in difficoltà anche ad alzarsi in volo. E il blackout che è seguito non ha aiutato.

Ancora a Belluno ci si stava leccando le ferite che è arrivato il maltempo. Sono caduti molti alberi e ha esondato la Piave come mai era successo dal 1966, grazie alla manutenzione svolta di prassi nonostante non vi siano sussidi speciali per la montagna. La provincia di Belluno appartiene al Veneto e non ha mai avuto diritto allo statuto speciale come il Trentino-Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia.

Una filastrocca, molto nota in queste zone, dice “Póre Belun, te se proprio de nisun!” (Povera Belluno, non sei proprio di nessuno!).

Veneziani, gran Signori;
Padovani, gran dotori;
Visentini, magna gati;
Veronesi … tuti mati;
Trevisani, pan e tripe;
Rovigòti, baco e pipe;
E Belun? Póre Belun,


te se proprio de nisun!”

Il maltempo del 30 ottobre 2018

La mattina del 30 ottobre i bellunesi si sono svegliati vedendo una devastazione dalla portata mai vista da molti molti anni. Alberi caduti e tralicci sradicati, corrente elettrica saltata per metà delle utenze della Provincia e dal Corriere delle Alpi si apprende che la situazione è ancora particolarmente seria in Agordino e in Comelico. Arrivati all’1 novembre, erano ancora 26 mila le utenze senza luce.

In tanti ho sentito affermare sottovoce – perché certe cose non si ricordano a gran voce, ci hanno insegnato così – che quella voce della Piave non la sentivano da quel risveglio strano del 10 ottobre 1963. Non c’erano i social network e a 15 km da Longarone, all’albeggiare, quasi nessuno sapeva quello che era successo la sera prima sul Vajont e cosa significava quella strana piena rumorosa. Poi quello strano buio, innaturale, come quello di 55 anni fa. Questa nuova onda a Longarone si è portata via anche il “Leccio della Malcom”, noto per aver resistito, unico baluardo vegetale, all’altra di onda, quella della morte.

Non solo la luce, ma anche l’acqua manca ancora in molte case, e quando c’è non è comunque potabile. Continuano le frane, gli smottamenti, gli allagamenti. E in alcune zone della Provincia scarseggiano i generi alimentari, per la difficoltà di far arrivare i camion con i rifornimenti.

Ci sono strade bloccate da tronchi, tetti disarcionati volati a metri di distanza, anche nel capoluogo. Auto distrutte da tegole imbizzarrite, bidoni delle immondizie rotolati addosso alle case, pensiline degli autobus accartocciate. Persone evacuate in diversi comuni montani e alcune anche nel capoluogo. C’è stato anche un crollo, una struttura è finita nel torrente Cordevole, a Mas di Sedico, vicino a Belluno.

Ci sono stati anche tre morti, ma non l’abbiamo urlato. Un uomo colpito da un albero mentre era nella sua auto, a Feltre, un altro è stato travolto dalla piena di un torrente a Falcade e a Selva di Cadore è morta una donna di 81 anni, schiacciata da un albero anch’essa.

Allarme rosso per la più grande frana dell’arco alpino, a Tessina, Chies d’Alpago. Secondo quanto si apprende dal Corriere del Veneto si tratta di un fenomeno che si estende per oltre due chilometri. Ieri sera si sono mossi circa due milioni di metri cubi di terra nella sinistra idraulica del Tessina. E ancora, sopra l’abitato di Soverzene due giorni fa proprio il maltempo ha causato un altro incendio, fortunatamente domato prima che dilagasse.

Fotografia Corriere Delle Alpi

La gestione di un’emergenza

Di fronte a un’emergenza di tale portata, è mirabile come si sia riusciti a contenere i danni e a risolvere moltissimi problemi, grazie anche a gruppi di volontari giunti da altre regioni. In sole 48 ore sono state riaperte molte strade della Provincia seriamente danneggiate, è stata riportata la luce in grossa parte delle case, nonostante tralicci – di nuovo – accartocciati su se stessi. Sono state prese le decisioni giuste, nel momento giusto, come aver predisposto la chiusura delle fabbriche della zona industriale di Longarone, il motore dell’economia bellunese.

Lì sorgono quasi tutte le principali fabbriche della zona. Banale, direte voi. No, non lo è, ma è stata la scelta corretta, per far sì che sulle strade ci fossero meno persone possibile e per agevolare il transito dei mezzi di soccorso.

Le istituzioni sono stati instancabili, e la gente questo lo sa. Basta aprire le pagine Facebook dei sindaci come Jacopo Massaro, degli amministratori comunali e del Presidente della Provincia Roberto Padrin per toccare con mano la solidarietà, la stima della popolazione verso quello che le istituzioni stanno facendo. Non accade quasi mai, e per questo va raccontato.

Parlare con la popolazione durante la crisi

I montanari hanno comunicato, e stanno ancora comunicando, benissimo con la popolazione. Sia il Presidente della Provincia, che è anche sindaco di Longarone, un comune seriamente colpito dal maltempo, che il sindaco di Belluno Jacopo Massaro hanno condiviso dai loro profili aggiornamenti ogni poche ore sullo stato dell’emergenza.

Il sindaco Massaro sta postando da giorni dei video su Facebook dalla sede del COC – Centro Operativo Comunale, dove racconta che cosa sta accadendo e che cosa si sta facendo per risolvere i problemi, rispondendo alle domande, ai timori della gente.

Ma soprattutto, la comunicazione è iniziata prima dell’emergenza. I primi post delle istituzioni sono datati 26 ottobre, dove venivano date indicazioni chiare alla popolazione su cosa non fare e su dove non recarsi, sulle strade a rischio. Il risultato è che nell’immensità del disastro potevano esserci molte più vittime, molti più feriti gravi, nonostante tre siano ancora un numero davanti cui abbassare il capo.

L’emergenza non è finita, l’Agordino in particolare è ancora in ginocchio, e ci vorrà molto tempo per ripristinare tutte le strade ancora oggi chiuse (l’elenco lo aggiorna il Corriere delle Alpi). Dopo la giornata di respiro di ieri, oggi la pioggia ha ripreso a scorrere in maniera massiccia e a ingrossare i fiumi. Ma l’esempio di operosità e dignità che la Provincia di Belluno sta dimostrando nell’ultima settimana è un monito per tutti.

E ricorda a noi giornalisti una volta di più che lo storytelling del nostro paese deve ripartire dalle periferie. E alla montagna in particolare non interessa essere raccontata su pagine patinate, ma essere presa sul serio.

Segui Cristina Da Rold su Twitter

Questo articolo è stato pubblicato qui

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