• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Economia > Lo Stato Sovrano, l’incertezza del diritto e i privati dalla (...)

Lo Stato Sovrano, l’incertezza del diritto e i privati dalla privacy

 

di Alessio Argiolas*

L’insegnamento della lingua inglese non era (rectius: è) una priorità dell’Istruzione patria, ma da circa quattro lustri il Burosauro dà nomi inglesi ai burosaurini (transparency actbail-in). Tale prassi è invalsa anche per uniformazione terminologica, dovuta al recepimento della normativa sovranazionale. Purtroppo l’Italia chiama olive l’output del processo digestivo delle pecore (confrontate il FOIA italiano con l’equivalente USA).

Prìvaci è la pronuncia italianizzata del termine “privacy”, quando venne massivamente diffusa con l’entrata in vigore dell’arcinota L. 675/96. Allora l’inglesismo “prìvacy” identificava il nuovo adempimento, sovente accompagnato da qualche francesismo.

Colei che ci guarda compassionevolmente dall’alto (la Pubblica Amministrazione), “delegò” al settore privato l’istruzione dei cittadini utenti. Iniziammo a somministrare spiegazioni e informative, indispensabili per comprendere quanto la riservatezza fosse diversa dal separé del gabinetto medico.

La normativa sulla riservatezza è stata aggiornata con l’entrata in vigore, lo scorso 25 maggio, del regolamento (UE) 2016/679, direttamente applicato per l’inerzia del nostro legislatore protratta per 24 mesi. Gli italiani son giunti all’appuntamento (ex art. 99 Reg. 2016/679) senza decreti attuativi, che armonizzassero il regolamento europeo al nostro ordinamento interno.

Ma pochi notano che gli inerti conferiti in discarica hanno un costo ben inferiore dei legislatori e burocrati inerti, i quali hanno rapporti conflittuali anche con la privacy.

In passato urlammo nell’etere contro lo spesometro 2017, ma poiché verba volantevidenziammo che, fino al 23 settembre 2017, bastava inserire un codice fiscale per accedere ai dati di qualsiasi contribuente.

Il problema venne rilevato dal settore privato, mentre l’AdE (simpatico acrostico per Agenzia delle Entrate) preferì non scender nel dettaglio con le spiegazioni, limitandosi a comunicare «Il servizio web è temporaneamente sospeso per manutenzione».

 

Il rispetto del termine del 28 settembre per gli adempimenti divenne impossibile a causa del blocco del sito istituzionale, per il quale venne concessa l’ennesima proroga al 5 ottobre.

Tali rinvii sono spesso dovuti all’inefficienza della macchina amministrativa. Ma il Burosauro ammette raramente i propri errori, spacciando il rinvio dei termini come una bonaria concessione ai contribuenti/utenti.

Sempre in tema di violazioni della privacy, ricordiamo che 12 anni orsono qualche decina di dipendenti AdE vennero inquisiti per il delitto di accesso abusivo al sistema telematico e informatico, con l’aggravante prevista dal comma 2, art. 615 ter Cod. Pen, quando il fatto è stato commesso da un pubblico ufficiale o incaricati di un pubblico servizio. I media sottolinearono solo i casi più eclatanti, come quello inerente la famiglia dell’allora premier Romano Prodi.

In tema di privacy violata durante lo stesso Governo, ricordiamo che nel marzo 2008 l’AdE diffuse su internet le dichiarazioni UNICO 2006 (periodo d‘imposta 2005) di tutti i contribuenti(Provvedimento Direttore AdE 05.03.2008 prot. N. 197587/2007). In proposito il viceministro dell’Economia con delega alle Finanze, Vincenzo Visco, affermò: “È un fatto di trasparenza, di democrazia, non vedo problemi: c’è in tutto il mondo, basta vedere qualsiasi telefilm americano”.

Noi abbiamo pazientemente atteso oltre 10 anni la conclusione del telefilm…italiano (pensiamo positivo perché Il Commissario Montalbano è iniziato nel 1999).

La Cassazione ha pubblicato lunedì 11 l’Ordinanza n. 15075/18, con cui l’AdE è stata condannata a pagare la mini multa di 6.000 €, irrogata il 06.05.2008 dal Garante della Privacy (per violazione dell’art. 13 D.Lgs 196/2003).

L’AdE si oppose strenuamente in giudizio alla mini sanzione(rif. 1.1. Ordinanza), contestando “l’attinenza dei dati relativi ai redditi alla nozione di privacy, stanti le finalità di interesse pubblico cui la circolazione dei dati in possesso dell’Amministrazione finanziaria assolveva”.

Meditate, gente! Almeno Facebook chiede scusa e non emana provvedimenti che esulano dalle proprie competenze.

L’AdE è stata condannata, in via definitiva, non solo per violazione della privacy, ma anche delle leggi che presiedono alla pubblicazione degli elenchi delle dichiarazioni redditi ed I.V.A. (rif. Ordinanza 9.3.1 e 9.3.2), onde evitare l’accesso puramente strumentale.

La formulazione delle norme sulla divulgazione delle dichiarazioni dei redditi ed IVA (artt. 69 d.P.R. 600/73 e 66-bis d.P.R. 633/72) imponeva il rispetto di precisi criteri temporali (estrarre un solo anno) e territoriali (ciascun comune interessato).

La formulazione delle norme sulla divulgazione delle dichiarazioni dei redditi ed IVA (artt. 69 d.P.R. 600/73 e 66-bis d.P.R. 633/72) imponeva il rispetto (rif. Ordinanza 9.3.1) di precisi criteri:
– Temporali: “dovevano essere depositati solo presso i comuni interessati e i competenti uffici dell’Agenzia delle Entrate”;
– Territoriali: “dovevano essere formati anno per anno e resi accessibili, ai fini della consultazione, da parte di chiunque, solo per un anno”.

L’AdE ha tentato di invocare il decreto legge 112/08, datato 25 giugno 2008 e quindi inesistentequando venne commesso l’illecito, ed inoltre inerente la mera consultazione online e non certo la diffusione dei dati.

Un’associazione di consumatori (Codacons) presentò un distinto ricorso per chiedere la condanna dell’AdE (e in subordine del MEF in solido), al pagamento di 20 miliardi di euro a titolo risarcitorio per i danni, patrimoniali e non, cagionati ai contribuenti.

Faccio notare che la Cassazione condivide le osservazioni del Pubblico ministero e della Corte d’Appello, la quale sentenziò il difetto di legittimazione (ad causam) dell’Associazione di consumatori, perché inidonea “ad agire a tutela dei contribuenti” (rif. 8.1 Ordinanza) “che non rientrano nella categoria degli utenti, né in quella dei consumatori”.

Dopo anni di esperienza nel settore, consiglierei l‘inclusione del contribuente nella categoria sudditi o schiavi.

L’Associazione consumatori nonsarebbe legittimata, in quanto il diritto alla riservatezza è personale e come tale INsuscettibile di un’azione di categoria (class action ex art. 140-bis D.Lvo 206/2005), la quale è esperibile per illeciti commessi dal 25.03.2012 (entrata in vigore del cd. “codice del consumo”), ben 4 anni dopo la diffusione web delle dichiarazioni.

In realtà si è sancita la “vittoria di Pirro della Privacy”, perché l’Associazione consumatori in Appello venne condannata alle spese giudiziali, sostenute da AdE e MEF, mentre le spese del giudizio di legittimità son state compensate tra le parti e tutti son stati condannati a pagare il doppio di contributo unificato (ex comma 1-bis art. 13 d.P.R. 115/2002).

Ma proprio qui è il problema vero.

Se AdE e MEF fossero risultati soccombenti in giudizio, condannati a pagare euro 20 Miliardi (venti virgola zero zero), oltre alle spese di giudizio proprie e del vincitore, chi avrebbe dovuto realmente sborsare i denari?

Le spese compensate fra le parti significa che i Prof Avvocati vengono pagati dalla branca della P.A. dagli stessi difesa: ergo chi deve realmente sborsare i denari? La risposta è sempre e solo una: tutti noi!!

E non ci provino i benpensanti ad obiettare: ma in fondo alla difesa spesso provvede l’Avvocatura Generale dello Stato, perché conosciamo “quanto basta” la classificazione dei costi su base funzionale, mentre per evitar sommosse non quantifichiamo le esternalità negative.

Torniamo ora al titolo del presente contributo.

“Prìvaci” è imperativo presente del verbo privare.

 

Un’invocazione dei sudditi al burosauro:

“O Stato,
NOSTRO sovrano,
Prìvaci ancora di quanto è prezioso,
la nostra riservatezza,
Qual parte dell’inviolabilità della nostra persona.
Sii confidente nel suddito
silente e rassegnato
nel pagare i tuoi debiti
contratti per i tuoi incessanti errori”

________________________________

*Alessio Argiolas – Piansi per la prima volta a Cagliari il 13 giugno 1970, appena mi accorsi che ero in ritardo di 62 giorni per assistere a Cagliari-Bari 2-0 (Riva 39’ e Gori 88’): risultato che assegnava matematicamente lo scudetto al Cagliari. Compresi subito che non ero nato con la camicia e mi dovetti rimboccar le maniche (con l’aggravio di dover lavorare sodo per potermene, prima, munire).

Ho conseguito a Cagliari sia la Maturità Classica, sia la Laurea Magistrale in Economia e Commercio (110 sine laude).

Dopo opportuna gavetta, da quattro lustri e 1/2 son titolare (prima squadra) di Studio Professionale.

Competenze sugli strumenti d’incentivazione all’iniziativa economica privata, controllo di gestione, giurista d’impresa e Dottore Tributarista.

Negli ultimi otto anni, grazie alle “semplificazioni”, sto affinando il modulo organizzativo per evitare la trasformazione della mia libera professione in prostituzione (madre putativa di tutte le libere professioni e di alcuni professionisti). Se avete pensato che la prostituzione sia madre anche di taluni NON professionisti, allora anche Voi avete DNA Sardo!!!

Nelle migliori trasmissioni in materie economico-finanziarie (I Conti della Belva e La versione di Oscar), mi onorano di farmi intervenire come “opinionista in erba” (onde evitar fraintendimenti non ho mai assunto droghe o fumato tabacco).

Questo articolo è stato pubblicato qui

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox


Pubblicità




Pubblicità



Palmares

Pubblicità