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Libertà cattolica e libertà laica

Mutilazioni genitali, poligamia e matrimoni combinati di bambine sono pratiche da condannare, ma sono diffuse pressoché ovunque.

 La criminalizzazione dell’adulterio, dell’omosessualità e della critica alla religione, purtroppo frequentissima, in alcuni paesi giunge persino alla pena di morte. Come se non bastasse, nel terzo millennio dobbiamo ancora imbatterci, giusto per fare qualche triste esempio, nella sorveglianza maschile a cui sono soggette le donne saudite, nella legge israeliana che consente alla donna ebrea di divorziare soltanto col consenso del marito (dovendo così spesso rinunciare sia ai propri beni, sia alla custodia dei figli), nell’obbligatorietà del velo in Iran, in diversi stati dell’America latina che condannano a lunghe pene detentive gli aborti spontanei. Aborto che, nelle Filippine, è comunque vietato sempre e a prescindere, ma che spesso è difficilmente accessibile anche in tante altre nazioni a causa del ricorso all’obiezione di coscienza.

In ogni regione del mondo si negano dunque diritti umani legati alla libertà di coscienza, e in ogni regione del mondo la giustificazione data per negarli è quasi sempre una sola: lo pretende la tradizione religiosa. È una situazione inaccettabile, ed è dunque urgente che gli stati dichiarino apertamente che tali tradizioni non devono più essere usate per violare i diritti umani. In particolare quelli delle donne, degli omosessuali e di coloro che sono accusati di “offendere i sentimenti religiosi”.

No, non si tratta degli obiettivi Uaar – anche se sono decisamente condivisibili. Sono invece alcuni estratti del rapporto che Ahmed Shaheed, relatore speciale dell’Onu sulla libertà di religione e convinzione, ha presentato una settimana fa a Ginevra nel corso dell’ultima sessione del consiglio per i diritti umani. La libertà di religione e convinzione, ci tiene a precisare Shaheed, “protegge gli individui, non le religioni”. Parole sante.

Ma non per la Santa sede, ovviamente. L’arcivescovo Ivan Jurkovič, osservatore permanente presso l’Onu a Ginevra, ha infatti immediatamente martirizzato il relatore e il suo rapporto, che ha giudicato “inaccettabile e offensivo”. Secondo il presule sloveno, “numerosi riferimenti” del documento raccomandano che “la libertà di religione, di credo e l’obiezione di coscienza” debbano essere secondarie rispetto ad altri “così detti diritti umani”.

Non è così: semplicemente, piaccia o no agli abitanti dei sacri palazzi, la libertà religiosa non può in alcun modo essere considerata un diritto superiore agli altri. Sembra proprio che anche il Vaticano abbia fatto esplicitamente propria la strategia adottata dall’amministrazione Trump, notoriamente sensibile alle richieste dei fondamentalisti protestanti: sbandierare la “libertà di religione” per cercare di negare diritti umani fondamentali. Altro che uguaglianza: quando papa Bergoglio ha incontrato Kim Davis, l’impiegata condannata per essersi rifiutata di consegnare i documenti alle coppie omosessuali che chiedevano di sposarsi, non le ha certo chiesto di negare i documenti anche alle coppie eterosessuali. L’accenno all’uguaglianza di mons. Jurkovičè soltanto un maldestro tentativo di camuffare la volontà di mantenere la propria ideologia al di sopra della legge, che per definizione dovrebbe essere uguale per tutti. Vogliono essere privilegiati per continuare a discriminare.

Shaheed coglie il punto: la chiesa cattolica ha sempre inteso la “libertà religiosa” come “libertà della chiesa cattolica”. Lo stesso concetto di libero arbitrio, rivendicato ad libitum, descrive una libertà fittizia: perché, come ha scritto papa Wojtyla, “solamente la libertà che si sottomette alla Verità conduce la persona umana al suo vero bene”. E poiché la Verità (rigorosamente maiuscola) è costituita dalla parola di Dio, è indispensabile “sottomettersi liberamente” a essa, e quindi ai capi della chiesa, che sono gli unici a cui compete interpretarla. In un quadro del genere è soltanto la libertà delle gerarchie ecclesiastiche a dominare incontrastata, e i “così detti diritti umani” non trovano più alcun posto: non a caso Joseph Ratzinger ha disprezzato apertamente le aspirazioni degli esseri umani, definendole “voglie”.

Quale enorme contrasto con la libertà laica! Già nel 1789 la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino scolpiva, all’articolo 4, che “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Tali limiti possono essere determinati solo dalla legge”. Ed esclusivamente a vantaggio della libertà stessa, avrebbe chiosato sette decenni dopo John Stuart Mill. Non soltanto l’essere umano è padrone di sé stesso, ma deve essere anche libero da interferenze arbitrarie esterne – siano esse compiute da altri individui, dagli stati o dalle comunità, religiose e no. Vivi e lascia vivere, perché la tua libertà finisce soltanto dove comincia quella degli altri. Le differenze tra libertà cattolica e libertà laica non potrebbero essere più nette.

Ed è bene che emergano platealmente in sede Onu. Laici, donne, gay e lesbiche rimasti un po’ troppo incantati dalla sirena bergogliana farebbero bene a ricordarselo: quando si arriva al dunque, quando sono in gioco i loro e i nostri diritti, la chiesa di Francesco si rivela identica a quella di Benedetto XVI – e ancora troppo simile, a livello teologico, a quella della Controriforma.

Che reagisca così rozzamente è un buon segno: qualcosa sta cambiando, e sta cambiando nella direzione giusta. Ma la strada è ancora lunga. E lo dimostra il fatto che un diplomatico maldiviano musulmano si è rivelato molto più laico del nostro intero arco parlamentare, ormai imbarazzante nella sua conclamata incapacità di contrastare l’abnorme ricorso all’obiezione di coscienza all’aborto e di cancellare il codice penale fascista che criminalizza il vilipendio della religione. Una ragione in più per continuare l’impegno. Anche grazie all’Onu.

Raffaele Carcano

Foto di Public Co da Pixabay 

 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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