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Libero Grassi, l’imprenditore che si ribellò alla mafia

Vent’anni fa moriva Libero Grassi, l’imprenditore siciliano che trovò il coraggio di dire pubblicamente no alla mafia. Fu assassinato sotto casa il 29 agosto del 1991 per essersi opposto al "pizzo", quell'odiosa forma di estorsione che secondo un rapporto appena diffuso da SoS impresa- Confesercenti ha prodotto negli anni successivi un giro di affari di circa 10 miliardi di euro annui, a spese di oltre 160 mila commercianti. Un'attività illecita quasi interamente gestita nel Mezzogiorno da Cosa nostra, ‘Ndrangheta, Camorra e Sacra corona unita, ma che si è rapidamente diffusa nel resto d'Italia e del mondo.

In questi giorni sono molteplici le iniziative per ricordare la figura di Libero Grassi. A partire da quella della Federazione antiracket italiana, fondata da Tano Grasso proprio quando Grassi cominciava a denunciare il sistema di corruzione delle imprese controllate dalla mafia. Una battaglia condotta spesso nel più assoluto isolamento, senza l'appoggio delle istituzioni, e che ne decretò la condanna a morte. Pena che hanno dovuto subire in seguito altri imprenditori coraggiosi, come Giovanni Panunzio a Foggia o Gaetano Giordano a Gela. A riprova che la criminalità organizzata è sempre difficile da sconfiggere, nonostante i periodici arresti più o meno illustri.

Perchè il punto di forza delle mafie, come sottolinea proprio Tano Grasso, non sono tanto gli affiliati alle organizzazioni malavitose quanto le persone comuni che si adeguano ad esse per paura di ritorsioni. A partire dagli stessi imprenditori e commercianti. Il racket riguarda ormai 80 negozi su 100, specialmente laddove le popolazioni locali faticano a riconoscersi nell’autorità dello Stato. E la situazione, a distanza di diversi anni dall'entrata in scena del pizzo e pur in presenza di una legge antiracket varata proprio dopo l'assassinio di Libero Grassi, resta molto critica.

Grassi è morto per ciò che diceva, ma anche perché chi avrebbe dovuto sostenerlo evitò di dire le sue stesse cose. In quegli anni vigeva un clima omertoso e complice che provocò la fine tragica di tante persone, compresi i giudici Falcone e Borsellino. Ma omicidio dopo omicidio, nella società siciliana ha cominciato a diffondersi una sorta di risveglio civile, soprattutto grazie all'impulso dei giovani. Tante sono le associazioni sorte sulla scia dell'indignazione collettiva, come Addiopizzo che si propone di salvaguardare il codice etico fra gli industriali e i commercianti affinchè si riscattino dalle troppe colpe del passato.

E in effetti qualcosa si muove, anche se con molte contraddizioni: se all'epoca di Libero Grassi le denunce erano sporadiche, oggi si contano a decine. Esiste un pezzo di Sicilia e di Meridione, anche fra gli imprenditori, che crede nelle regole e nella libertà. E chi continua a pagare per ottenere protezione da Cosa nostra viene punito dalla stessa Confindustria. La paura poteva essere giustificata vent’anni fa, ma chi scende ancora a patti con il crimine lo fa innanzitutto per calcolo e furbizia, solo per meglio evadere il fisco e trarre benefici da forme di protezione economicamente più convenienti.

E' per questo che la guardia non deve essere abbassata. Oggi la mafia, anche quando non spara e sembra assente, agisce subdolamente nella società e continua ad accrescere la propria influenza. E' tutt'altro che sconfitta e si è fatta essa stessa impresa, con risvolti ancor più pericolosi in quanto riesce ad agire sulla concorrenza evitando la violenza e accattivandosi le simpatie di settori non irrilevanti della borghesia. Un timore che emerge in modo netto dalle parole della vedova di Libero Grassi: "Dobbiamo continuare con la nostra presenza attiva. Non dobbiamo mai dimenticare, ma sempre parlare e parlare e ricordarci i tre valori di Libero: lavoro, libertà, dignità".

Il sacrificio di Grassi, che in principio era visto con sospetto e distacco da quanti non riuscivano a comprendere una reazione tanto dura alla prepotenza di Cosa nostra, è stato capace nel tempo di alimentare la consapevolezza che il racket si combatte sì con strumenti giuridici, ma in primo luogo con la volontà comune di ribellarsi all'illegalità di tutti gli operatori economici; è inoltre riuscito a stimolare le speranze di cambiamento della società nel suo complesso, divenendo insieme un fatto "di categoria e di popolo".

In occasione del ventennale di quel terribile omicidio, la casa editrice Round Robin, in collaborazione con l’associazione antimafia daSud, ha deciso di mandare in stampa il racconto a fumetti "Libero Grassi (Cara mafia, io ti sfido)", che ripercorre l’intera vicenda dell’industriale tessile siciliano dal primo no alle cosche fino alla decisione di uscire allo scoperto per denunciare pubblicamente i suoi estorsori. Indelebili nella memoria restano le parole da lui pronunciate durante il programma televisivo Samarcanda: "Non sono pazzo, non mi piace pagare. Io non divido le mie scelte con i mafiosi!". Di lì a qualche giorno sarebbe stato freddato dalla mano di Salvo Madonia, figlio del boss di Brancaccio.

Si sono quindi consumati i processi e ci sono state le condanne. E' una strada costantemente in salita quella della giustizia e della legalità, ma dalla quale è ormai impossibile tornare indietro. Perché il seme della ribellione morale e culturale di Libero Grassi, e dei tanti altri martiri delle mafie, è naturalmente destinato a germogliare: se "un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità", un popolo che ritrova la sua dignità è più forte di qualsiasi mafia.

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