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Le voci d’un condominio freddo-borghese in ’L’eleganza del riccio’ di Muriel Barbery

Ma cosa fare
dinanzi a un mai più
se non cercare
ininterrottamente
nelle furtive note?

[...]
Stasera, ripensandoci, con il cuore e lo stomaco in subbuglio, mi dico che forse in fondo la vita è così: molta disperazione, ma anche qualche istante di bellezza dove il tempo non è più lo stesso. E' come se le note musicali creassero una specie di parentesi temporale, una sospensione, un altrove in questo luogo, un sempre nel mai.
Sì, è proprio così, un sempre nel mai.

 *******


'L'eleganza del riccio' di Muriel Barbery, titolo originale 'L'élégance du hérisson', prima pubblicazione per Gallimard nel 2006, esce in Italia per E/O l'anno successivo, attualmente alla quarantasettesima ristama (o oltre, la mia copia è del marzo 2010).

Da leggere prima di vedere il film, possibilmente.
Il film, Il riccio, del 2008 per la regia e la sceneggiatura di Mona Achache, il soggetto è della Barbery, ha una sua identità che partendo dalle numerose voci di questo libro elabora una linea narrativa principale pur mantenendo le presenze dominanti di Palomar e Madame Michel.

Barbery ricostruisce con pazienza, precisione e intensità un micromondo estremamente realistico, sottolineandone però eccessi, follie, borderline, contraddizioni sociali e intime.

E' un romanzo articolato, reso ancora più vibrante dalle numerose voci dirette che lo costruiscono. La scelta di variare le modalità narrative con una precisa cadenza, quasi una scacchiera, non è originale ma è un bene che l'autrice non sia italiana (avrebbe incontrato molto resistenze, secondo me, a mantenere questa struttura, perfino la grafica scelta dall'edizione italiana per E/O mi sembra palese evidenza dell'imbarazzo editoriale per un testo pluripremiato nel mondo che rivendica linguaggi e strutture non lineari perfino nella presenza formale). Questa sorta di accordi multipli tra voci nell'edizione italiana E/O è stata tradotta dal francese da Emanuelle Caillat e Cinzia Poli (esattamente: Caillat ha tradotto il personaggio di Paloma e Poli ha tradotto il personaggio di Renée).

Una storia semplice, nel complesso, l'occhio e la voce di Palomar semplificano registrazioni complicandole nella percezione del lettore adulto.
Barbery miscela specificità della trama con generalismi sociali dosandone equilibri, nessun fuoco d'artificio in senso stretto, i colpi di scena sono sussurrati, lasciati a una lenta digestione. Eppure l'attrazione di questo libro probabilmente sta proprio nell'essere semplice e complesso, sta su diversi piani di comprensione.

Lo stile di Barbery è fresco, plasmato sulla voce narrante, non cerca la rapidità piuttosto un ritmo ad ampio respiro fatto di periodare articolati, a tratti decisamente lunghi ma quasi mai faticosi o pesanti.

Molte le citazioni eccellenti tra filosofi, narratori, pensatori del passato, quasi a voler fare il verso alle recenti analisi sociali che nelle masse trovano il dominio delle mediocrità, della neo cultura mediatica, dell'assenza di radici e storia; quasi a voler mostrare come nei micromondi più silenziosi e dispersi, resistono isole dove si legge, si pensa, ci si interroga. Si vive e si muore ma mai veramente in silenzio.

Indubbiamente è la giovane, acuta e ironica Palomar, è la sua capacità di essere fuori dagli schemi della borghesia francese ed esserne candidamente fiera, a colpire e probabilmente a far emergere distintamente questo libro. Le dinamiche che s'innescano attraverso una narrazione dalla visuale più bassa e più alta di un bambino potenziano esponenzialmente significati e attenzioni (specialmente nell'adulto). Altri narratori si sono misurati con questo tipo di scrittura, scegliere un linguaggio pre adulto per affondare come - forse - le stesse parole pronunciate dall'adulto non potrebbero: Barbery ci riesce con pazienza e fotografie multiple, panoramiche con dettagli sugli angoli periferici.

***

Come tutti sanno, la diplomazia fallisce sempre quando i rapporti di forza sono equilibrati. No si è mai visto che il più forte accetti le proposte diplomatiche dell'altro. Così i negozianti che cominciano all'unisono con un "Ah, ma credo di essere stata più veloce io di lei, signora" non hanno grande esito. Quando arrivo accanto alla mamma, siamo a "io non la lascio" e non è difficile credere alle due contendenti.
Ovviamente ho perso la mamma: quando l'ho raggiunta, si è ricordata di essere una rispettabile madre di famiglia e che non poteva spedire la sua mano sinistra slla faccia dell'altra senza perdere la sua dignità davanti a me. Quindi ha ritorvato l'uso della mano destra e ha lasciato le mutande. Risultato delle compere: una è andata via con le mutande, l'altra con il reggiseno.
(pag.211)

***

Alle ventuno, quindi, inserisco nel videoregistratore la cassetta di un film di Ozu, Le sorelle Munekata. E' il mio decimo Ozu del mese. Perché? Perché Ozu è un genio che mi salva dal destino biologico.
Tutto è cominciato il giorno in cui ho confidato ad Angèle, la giovane bibliotecaria, che mi piacevano molto i primi film di Win Wenders e lei mi ha detto: "Ah, e Tokyo-Ga l'ha visto?". E quando uno ha visto Tokyo-Ga, che è un documentario straordinario dedicato a Ozu, chiaramente ha voglia di scoprire Ozu. Dunque ho scoperto Ozu, e per la prima volta in vita mia l'Arte cinematografica mi ha fatto ridere e piangere, com'è tipico del divertimento vero e proprio.
(pag.92)

***

 

Link

Il libro su wikipedia, e il film.

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L'immagine è tratta dal film, l'attrice Josiane Balasko che interpreta la portinaia Renée Michel e Togo Igawa, il nuovo inquilino Kakuro Ozu.

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