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Le sfide impossibili del governo giallorosa

Alla fine il vascello è partito, con una buona dose di ottimismo e le vele gonfiate dal sospiro di sollievo dei molti convinti di averla sfangata per un pelo.

Sfangata da un possibile governo (se si fosse andati al voto) di una destra estrema come mai prima nella storia repubblicana. Un governo nel cui sottobosco avrebbero continuato a prosperare i camerati di Casa Pound, i nostalgici neofascisti di Forza Nuova, i cattolici ultrareazionari di Christus Rex, i bigotti tradizionalisti dei Family Day (i cui sponsor politici di famiglie “tradizionali” ne hanno tutti due o tre) e i vari amici degli amici delle famiglie malavitose che non resistono al selfie che poi inguaia il politico di riferimento, ingenuo o complice che sia.

Sfangata da un governo il cui vero leader era viaggiatore abituale sulla tratta Italia-Mosca insieme a quel Gianluca Savoini, presidente e fondatore dell’Associazione Lombardia-Russia, finito nella melmosissima questione di un (presunto) finanziamento illecito insieme a un paio di intermediari italiani e a tre russi, due dei quali, Andrey Kharchenko e Ilya Yakunin, vicini all’ideologo dell’eurasiatismo Alexandr Dugin (cioè alla testa pensante dell’articolato e complesso mondo reazionario contemporaneo) che – come scrivevo anni fa – prima di mettersi in proprio faceva parte di un think tank russo, chiamato Katehon, dove “l’odore dei servizi” si sentiva bello forte.

Sfangata anche dal rischio, tutt’altro che aleatorio che la componente destrorsa del Movimento Cinquestelle, quella che amoreggiava in Francia con i gilet gialli di tendenza golpista, riuscisse a boicottare l’accordo a sinistra (se vi piace il termine) o, forse più semplicemente, “europeista”, per ritornare armi e bagagli nelle braccia dell’ex partner sovranista.

Ma, come era facile arguire fin da subito, né Di Maio né, sull’altro fronte, Zingaretti avevano la forza politica di opporsi ai veri leader occulti dei due rispettivi partiti, Grillo e Renzi, fautori e sostenitori (fino a piegare le ultime resistenze), del varo della corazzata (sic) giallorosa. In sintesi un’operazione unicamente ascrivibile all’inaspettata simbiosi grillorenzica

E dopo aver sfangato questo e quello, i trabocchetti esterni e quelli interni, i tiraemolla grillini e le ritrosìe piddine (con qualche disertore sul campo – con motivazioni, peraltro, niente affatto banali – del calibro di un Calenda) il governo parte, in salita, con un presidente del Consiglio che ha ricevuto il beneplacito europeo e un endorsement del tutto inaspettato dal presidente americano.

Pericolo scongiurato dunque?

Non proprio. Perché, molto banalmente, i problemi sono ancora tutti lì.

In primis proprio il problema sovranista (e i suoi agganci sempre più evidenti con la politica russa di contrasto al progetto di unione europea) che sta diventando così preoccupante da far titolare un pezzo di Andrea Purgatori su La Lettura “La Guerra fredda non è finita”; dove il giornalista, meritoriamente, ricorda che l’inciampo leghista all’hotel Metropol pare sia dovuto all’esperta manina del BND, il servizio di intelligence tedesco (come peraltro – pur senza alcuna informazione diretta – aveva immaginato anche chi scrive).

Il che sarebbe stato il loro secondo colpo piazzato nelle costole del fronte sovranista dopo che il leader del partito austriaco omologo della Lega era caduto in un clamoroso trabocchetto facendosi filmare mentre prometteva favori in cambio di rubli. Segno che i servizi tedeschi prendono molto sul serio il problema sollevato da queste tresche con i russi.

Un altro colpo al trend sovranista, che fino a poche settimane fa sembrava viaggiare a vele spiegate anche grazie ai servigi di Steve Bannon e della Cambridge Analytica, arriva dall'Inghilterra di Boris Johnson, abbandonato da molti parlamentari del suo partito per la sua decisione di andare verso una Brexit senza accordi con l’UE.

Per altri versi il sovranismo non è affatto defunto né in Germania né Gran Bretagna e né in Italia dove vivacchia anche, benché rintuzzato e ridotto a un 20% di voti contrari su Rousseau, nelle pieghe del populismo astioso dei grillini di destra (di cui i due leader più popolari Di Maio e Di Battista – il primo relegato in un recinto ministeriale dove difficilmente potrà nuocere, mentre il secondo ha fatto perdere le sue tracce di nuovo – sono portatori se non altro per tradizione familiare). Residuali tracce di sovranismo si trovano anche nelle frange molecolari della sinistra radicale, ma è davvero questione di poco conto.

In sintesi quasi l’intero parco di sovranisti e di nazionalisti antieuropeisti nostrani sarebbe ormai confinato nell’area della destra leghista e neofascista. Che però, stando ai sondaggi, è tuttora bella corposa (attorno al 40%) nonostante la perdita di appeal per manifesta crisi suicidale del suo leader (con i suoi delusi seguaci - ma non solo loro! - a chiedersi se è impazzito o solo travolto da un eccesso di moijto, se staccare la spina è stata una sua scelta intelligente e motivata o, al contrario, un'imposizione subìta, se a determinarla sono stati i poteri forti della finanza o quelli che si fanno sentire dall'ombra del deep state... e così via farfugliando).

Ora il problema è di come far contare in Europa questa fortunosa “vittoria” italiana sul sovranismo autoctono, cercando di far pesare la nostra esperienza traumatica sui recalcitranti governi europei, in primis su francesi e tedeschi, serrati da vicino da altrettante forze politiche antieuropeiste di estrema destra e xenofobe, tuttora in crescita e che non possono essere tenute a bada solo confidando in qualche miracolo di là da venire.

Servono misure corpose e significative per fronteggiare i temi che portano acqua alla reazione, in particolare su economia e immigrazione.

E se l’economia soffrirà a breve della crisi tedesca si può anche pensare a un più che probabile allentamento del rigore teutonico fin qui perseguito (e già Mattarella da Cernobbio ha fatto suonare la campanella richiamando alla necessità improrogabile di rivedere il patto di stabilità), pur in un quadro economico ascrivibile al neoliberismo (altro punto di instabilità globale su cui ho già detto quel poco che ero in grado di dire).

Sull’immigrazione la questione invece si farà, se possibile, ancora più scottante: l’Italia chiederà di rivedere l’accordo di Dublino (per la cui modifica i ministri degli interni dei paesi europei – in perenne assenza di Salvini – si sono già riuniti più volte) e troverà più comprensione in Europa, ma difficile sperare, se i flussi migratori dovessero riprendere in grande stile, che possano essere proprio francesi e tedeschi ad aiutarci nella distribuzione dei migranti, vista la crescita dei partiti xenofobi come la Le Pen e l’AfD alle ultime tornate elettorali.

Sarà quindi ancora questo il problema che, se non viene affrontato all’origine, diventerà ingestibile nel giro di pochi decenni, se si tiene conto che il raddoppio della popolazione africana avverrà entro il 2050.

Non si tratta di ripetere a pappagallo il solito refrain del “aiutiamoli a casa loro”, ma di impostare su scala europea, cioè con la forza del primo continente al mondo per potenza economica, una serie di misure intelligenti ed efficaci per far sì che si abbassi la pressione migratoria, non (ripeto: NON) mettendo in campo maggiori misure militari contro quei poveri disgraziati sui gommoni, come pretendeva di fare sciaguratamente l'ottuso leader leghista, né prendendo accordi con i torturatori libici, nigerini, maliani o ciadiani perché si tengano i migranti nei loro lager, ma facendo davvero in modo che le condizioni di vita nei paesi di origine diventino meno prive di speranza.

E, soprattutto, pressando i paesi africani affinché si decidano a contenere il tasso di crescita demografica che li sta facendo esplodere, con un piano di interventi sociali e culturali finalizzati al controllo delle nascite e a modificare la radicata convinzione patriarcale che la virilità di un uomo si riconosca dal numero di figli partoriti nel tempo dalle numerose mogli-fattrici delle famiglie tradizionali. Uno scontro con radicate culture tribali e con le religioni - cattolicesimo e islàm - più sorde al contenimento procreativo. L'ha fatto la Cina, potrebbe in teoria farlo l'Africa, se mi perdonate l'ingenuità.

Non è difficile capire che il governo in carica ha di fronte a sé problematiche a dir poco impressionanti, ma se sbaglia il sovranismo leghista sarà lì, pronto a mangiarsi governo e democrazia in un sol boccone. Perché uno spettro si aggira per l'Europa e non si chiama comunismo.

Foto: Presidenza del Consiglio dei Ministri /Wikipedia

 

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