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Le posizioni di SEL su l’intervento in Libia

 

Sul sito di SEL sono state pubblicate delle osservazioni riguardo l’attuale crisi libica e l’eventuale azione militare che la comunità internazionale si appresta ad intraprendere. Le quattro firme (di coloro che più d’altri si interessano e conoscono le questioni internazionali, ovvero l’ex parlamentare europeo Musacchio, l’ex senatore Martone, la giornalista Sgrena e l’ex sottosegretaria agli Esteri Sentinelli) indicano chiaramente il valore del testo pubblicato che, a ben vedere, può essere considerato la posizione ufficiale del partito di fronte all’emergenza.

A parte un panegirico (senza dubbio giusto) sull’ignobile campagna mediatica di casa nostra volta a instillare la paura di un’invasione di migranti e la denuncia dei ritardi e delle manchevolezze del mondo occidentale, è difficile estrapolare una posizione chiara e, soprattutto, una via d’uscita chiara e pragmatica. Insomma, una delusione.

Io capisco che, in questi frangenti, anche le più innocue espressioni come “intervento umanitario” debbano far drizzare le orecchie ed essere analizzate con spirito più che critico da una sinistra che ripudia la guerra come strumento di offesa e , soprattutto, vuole evitare errori del passato più o meno recente. Ma manifestarsi contro “l’imposizione della No Fly Zone e l’adozione di qualsiasi misura necessaria per proteggere i civili, giacché quella che si sta configurando in realtà è un’operazione militare in grande stile piuttosto che un intervento a tutela delle popolazioni civili“, lo trovo insensato, mentre considero ancora più grave la proposta di generiche “misure economiche e negoziali, cessate il fuoco e ricerca di mediazione“.

Premesso che la semplice imposizione della No Fly Zone vede scettico anche il sottoscritto, ma per motivi opposti (tardiva e niente affatto risolutiva, visto che in territori di gran lunga più ridotti - ex Jugoslavia – le mattanze di civili non si sono affatto fermate).

Che vanno valutate, ma certamente non prese per oro colato, le eventuali dichiarazioni di un cessate il fuoco da parte di uomini del raìs, come annunciato poche ore fa dal ministro degli esteri libico (la ricerca di mediazione non deve essere mai abbandonata, ma nel frattempo devono essere battute altre strade);

Che l’attesa può essere nefasta e che l’incubo di vedere Gheddafi riprendersi l’intera Libia non deve materializzarsi;

Che un intervento multilaterale avvallato dall’ONU non dovrà affatto tradursi in occupazione militare del suolo libico e procedere secondo escalation, ma dovrà essere mirato a fermare le milizie fedeli a Gheddafi e l’imposizione di un cessate il fuoco;

la presa di posizione del dipartimento esteri di SEL (posso definirlo così?) è inadeguata. Allo stato attuale delle cose, dire di voler appoggiare e difendere i civili senza un intervento militare sarebbe certamente auspicabile, ma forse non possibile.

Probabilmente da quando ho occhi, testa, e mezzi per capire il mondo, non vi è stata una sola volta in cui un intervento umanitario della comunità internazionale abbia centrato l’obiettivo senza strascichi e conseguenze gravissime. Dall’attuale palude afghana ai vicinissimi Balcani avvelenati dall’uranio impoverito, il mondo e l’Europa non sono ancora stati in grado di rispondere adeguatamente a questo tipo di minacce. Ero giunto anche a pensare, di fronte agli effetti collaterali dei bombardamenti NATO in Oriente, che un’uscita del mio Paese dall’Alleanza Atlantica fosse quanto meno auspicabile. Capisco dunque chi, a sinistra, ha paura di essere di fronte all’ennesimo baratro senza uscita. Ma le inspiegabili critiche verso la risoluzione ONU, e il vedere trasformarsi un sacrosanto appello alla prudenza in inazione, questo proprio mi è difficile da giustificare.

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