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Egitto, scioperi della fame di massa dentro e fuori le prigioni

Mohamed Soltan, un attivista che ha anche nazionalità statunitense, è tra gli 86 detenuti in sciopero della fame nelle carceri e nelle stazioni di polizia dell’Egitto. Protestano per le condizioni di prigionia, la durata della detenzione preventiva e le condanne, inflitte a loro dire al termine di processi iniqui o sulla base della draconiana legislazione contro le proteste. In tutto, le persone finite in carcere dopo il colpo di stato del luglio 2013 sono oltre 16.000 (una repressione a tutto tondo che non ha però risolto il problema del terrorismo).

Soltan, che ha superato i 230 giorni di sciopero della fame, è in condizioni critiche. La sua famiglia ha accusato le autorità di averlo posto in isolamento nel carcere di massima sicurezza di al-Aqrab e di avergli negato cure mediche che, a questo punto, diventano decisive per la sua vita.

La sua vicenda inizia nell’agosto 2013, quando l’esercito stronca le proteste dei sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi. L’intervento dei militari in piazza Rabaa Al Adeweya, dove la Fratellanza musulmana aveva eretto la sua tendopoli, provoca centinaia di morti.

In piazza c’è anche Soltan. Collabora con un “gruppo stampa” che segue e denunciale violazioni dei diritti umani commesse dalle forze armate egiziane contro i sostenitori di Morsi.

Viene arrestato il 25 agosto al Cairo, in casa del padre, Salah Soltan, una figura di spicco della Fratellanza musulmana. In assenza del padre, portano via lui.

In carcere, Mohamed Soltan viene accusato di aver diffuso informazioni false allo scopo di destabilizzare il paese.

Le autorità egiziane, ricorda Amnesty International, hanno l’obbligo di garantire il diritto alla salute di tutti i detenuti, compresi quelli in sciopero della fame. Un diritto violato non solo nel caso di Mohamed Soltan ma anche in quello di Ibrahim El Yamany, che ha superato i 150 giorni di sciopero della fame. È stato arrestato, anche lui nell’agosto 2013, per aver dato una mano in un ospedale da campo allestito dalla Fratellanza musulmana in un’altra tendopoli nei pressi della moschea Al Fath. Deve rispondere di appartenenza a gruppo illegale, manifestazione non autorizzata e uso della violenza.

In sciopero della fame non ci sono solo i fratelli musulmani. Rifiutano il cibo, tra gli altri, anche il blogger Ahmed Douma (condannato a tre anni per aver sfidato le leggi contro le manifestazioni) e Sanaa Seif, sorella del noto attivista Alaa Abdel Fattah (rilasciato su cauzione pochi giorni fa): il 28 agosto, Sanaa ha avviato la protesta contro la decisione delle autorità d’impedirle di stare col padre, il celebre avvocato per i diritti umani Ahmed Seif al-Islam, nei suoi ultimi giorni di vita.

In solidarietà con la protesta in carcere e per chiedere l’annullamento della legge sulle manifestazioni, 54 attivisti e difensori dei diritti umani hanno intrapreso a loro volta lo sciopero della fame: tra loro Mona Seif, sorella di Sanaa Seif, e Aida Seif El Dawla, direttrice del Centro Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza. Numerosi giornalisti lo stanno facendo a staffetta.

 

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