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“Le mie prigioni al Cairo”: parla Ibrahim il cittadino irlandese che ha passato 4 anni in carcere in Egitto

“In cella eravamo così stipati che lasciavamo sedere gli anziani e gli ammalati mentre noi giovani stavamo in piedi”. 

Di ricordi delle sue prigioni al Cairo, Ibrahim Halawa ne ha, ancora vivi, tantissimi. Li racconta, nella sala riunioni di Amnesty International Italia, insieme a Somaia, una delle sue tre sorelle.

Ibrahim Halawa è tornato nella sua città, Dublino, il 25 ottobre 2017: assolto da 19 capi d’accusa per i quali era in carcere dall’agosto 2013.

Ibrahim era partito da Dublino insieme alle sorelle Somaia, Fatima e Omaima per andare a trovare i parenti al Cairo.

“Avevo 17 anni, volevo salutare parenti e amici d’infanzia. Non m’interessavo molto di chi saliva al potere e di chi veniva rimosso dal potere”.

Di lì a poco se ne sarebbe interessato. A metà agosto del 2013 due suoi amici vennero uccisi nel corso delle proteste organizzate dalla Fratellanza musulmana contro il colpo di stato del generale al-Sisi. Allora pensò di unirsi alle proteste. Le forze di sicurezza egiziane fecero una strage, almeno 900 morti.

Arrestato con le sorelle insieme a 500 persone, Ibrahim è stato accusato di omicidio, tentato omicidio, disturbo all’ordine pubblico, intralcio alle attività delle istituzioni nazionali, protesta senza autorizzazione, distruzione di beni pubblici, impedimento ai fedeli di pregare nella moschea Al Fath, possesso di armi, attacco alle forze di sicurezza e altro ancora.

Le sorelle Halawa, dopo tre mesi di carcere, furono rilasciate ed espulse in Irlanda.

Al rientro a Dublino, denunciarono le torture subite dal fratello, confermate anche dal giornalista di al-Jazeera Peter Greste, che ha condiviso con lui un periodo di detenzione nel carcere di Tora.

Somaia avviò la campagna per la scarcerazione di Ibrahim. Amnesty International lo dichiarò prigioniero di coscienza. Il nuovo governo di Dublino finalmente si mosse.

Così dopo quattro anni, decine di udienze rinviate, cambi continui di giudici, maltrattamenti e torture, Ibrahim è tornato a casa.

“Non provo rancore, ma posso permettermi questo distacco emotivo perché non sono più in Egitto. Penso ai compagni di prigionia, loro temo non abbiano questa possibilità”.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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