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Le conseguenze economiche del coronavirus

Alla fine, dopo la crisi cinese e com’era facilmente prevedibile nell’era più globalizzata di sempre, il Covid-19 approda nel “Vecchio continente”. Infatti, era difficile pensare che le misure di contenimento messe in atto dal Governo cinese impedissero una sua diffusione su scala globale.

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Il primo caso italiano è quello di un trentottenne residente in provincia di Lodi che è risultato positivo al virus il 20 febbraio scorso. Nei giorni successivi l’Italia è diventata il terzo Paese al mondo per numero di contagi dietro solamente a Cina e a Corea del Sud. Successivamente il contagio si è spinto anche al di là delle Alpi e ha colpito i maggiori paesi europei, anche se, con intensità più contenuta (almeno sino ad ora).

Di fronte ai rischi di un isterismo collettivo vorrei citare una frase del Presidente Sergio Mattarella che in giorni come questi deve guidarci come una lanterna in un sentiero oscuro: “La conoscenza aiuta la responsabilità e costituisce un forte antidoto a paure irrazionali e immotivate che inducono a comportamenti senza ragione e senza beneficio”

Fortunatamente e diversamente da quanto l’isterismo collettivo sembra far trapelare, in ogni caso, il tasso di mortalità del Covid-19 è in media del 2-3%, variabile lungo la distribuzione della popolazione per età con tassi quasi nulli per gli individui sotto i nove anni e crescenti al crescere dell’età, esattamente come accade con la normale influenza. Questo non significa che l’epidemia non debba essere trattata con l’attenzione che merita, infatti, come spiegano gli esperti, mentre per la normale influenza disponiamo di anticorpi ben rodati e di vaccini in grado di proteggere i soggetti più deboli, il Coronavirus ci trova vulnerabili e, a ragione di ciò, presenta elevata potenzialità di contagio.

È proprio a causa del summenzionato rischio di contagio che il Governo italiano ha imposto forti misure di contenimento, come il divieto di uscita e di accesso, nelle cosiddette “zone rosse”, località epicentro dei focolai, con lo scopo di limitare l’epidemia ed evitare il sovraccarico delle strutture ospedaliere.

Lo scenario economico italiano ed europeo

Molti osservatori iniziano a chiedersi quale sarà l’impatto dell’epidemia sull’economia italiana e, più in generale, sull’economia europea. Se non ci sono dubbi sul segno dell’effetto del virus, che sarà molto probabilmente negativo, vi è all’opposto molta incertezza sulla dimensione dell’impatto economico che è legato a un elevato numero di variabili, come la durata dell’epidemia e le varie misure che i governi metteranno in campo per limitare i contagi.

Indipendentemente da queste congetture è sicuramente utile l’esercizio di mettere a fuoco la situazione economica odierna, esercizio che può consentirci di avere una buona prospettiva per analizzare il fenomeno e comprendere gli sviluppi successivi.

La situazione economica italiana non è delle migliori con un tasso di crescita del Pil pari allo 0,2% nel 2019 e che, secondo le stime, dovrebbe avere un lieve rialzo tra lo 0,3% e lo 0,5% nel 2020. Il rallentamento interessa anche gli altri principali paesi europei, con gli altri due big, Francia e Germania, che dovrebbero crescere, secondo la Commissione Europea, solamente dell’1,1% con una crescita del Pil dell’eurozona pari all’1,2% nel 2019 e che si stima resti tale anche nel 2020.

Inoltre e diversamente dai nostri partner europei, l’Italia si trova a dover far fronte ad un elevato debito pubblico, pari a circa il 135% del Pil nel 2019, debito la cui sostenibilità è fortemente legata al tasso di crescita del reddito e agli umori dei mercati che – come stiamo vedendo in queste ore con lo spread tra Btp e Bund che ha toccato un massimo di 180 ptb – sono molto sensibili a qualsiasi evento che ne metta in dubbio la sostenibilità stessa o che dia comunque l’impressione di farlo.

Gli effetti economici del Covid-19 in Italia…

È in questo contesto che l’ombra Covid-19 inizia ad aleggiare su un’economia, quella italiana, già “anemica” di per sé. Proprio per questo secondo alcuni, esso potrebbe dare il colpo di grazia alla crescita e portare il sistema economico della penisola di nuovo in recessione con un impatto stimato che va da 0,1 a 1 punto di Pil.

Guardando alle borse, esse hanno riaperto lunedì 24 febbraio, quando la diffusione del virus è diventata certezza, facendo registrare risultati molto negativi con l’indice Ftse Mib che ha chiuso a – 5,43%. Le vendite sono continuate anche nei giorni successivi e se incertezza e pessimismo dovessero continuare a farla da padroni anche nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, si potrebbero verificare degli “effetti ricchezza” tali da comprimere consumi e investimenti reali con conseguenze negative su domanda aggregata e reddito nazionale. Tuttavia, l’intensità e la dimensione dei sopraindicati effetti è strettamente legata alla durata e all’intensità del contagio, o meglio, a come i mercati lo percepiscono e quindi soggetta ad un’aleatorietà tale da non consentire una stima concreta e significativa dei risultati.

Un’altra variabile cruciale sono le politiche di contenimento dell’epidemia che saranno messe in campo dal Governo italiano. Se è vero, infatti, che tali pratiche hanno il pregio e il pragmatismo di contenere e ridimensionare il potenziale contagio, è altresì vero che rischiano alla lunga di mettere i bastoni tra le ruote al comparto produttivo italiano frenando la produzione. Anche queste sono legate alla durata e all’intensità del contagio e per questo per fornire una misura degli impatti sull’economia è bene attendere l’evolversi della situazione.

Il danno economico all’Italia riguarderà sicuramente anche il turismo: i cinesi rappresentano una quota importante delle presenze turistiche in Italia, con quasi 300 mila arrivi nel 2014 e più di 450 mila attesi nel 2020, un numero che ora è destinato a crollare proprio a causa del coronavirus (M. Lisciandro e M. Taddei).

Infine, l’aspetto che a mio avviso sarà quello più rilevante è quello inerente al rallentamento cinese. Alcuni paragonano l’emergenza Covid-19 alla Sars che nel 2003 colpì l’economia cinese. Per fare un corretto confronto è bene ricordare che diciassette anni fa il prodotto cinese, anche se presentava già tassi di crescita portentosi, era otto volte inferiore rispetto ad oggi, passando dal 4% al 16% del reddito mondiale. Inoltre, il grado di apertura del “gigante asiatico” era molto più modesto rispetto all’attuale. Tutto ciò fa ragionevolmente presuppore che gli effetti del Coronavirus saranno di gran lunga superiori rispetto alla Sars.

… e in Europa

Ovviamente anche l’Unione Europea e l’Eurozona nel loro complesso possono aspettarsi conseguenze negative derivanti soprattutto dal rallentamento cinese. Come abbiamo visto anche la crescita dell’area euro è già di per sé abbastanza limitata (anche se superiore a quella italiana), soprattutto quella del Paese che è considerato la “locomotiva” europea: la Germania. Se la crescita tedesca era già stata fortemente intaccata dalle incertezze relative alla guerra commerciale e alla Brexit, con la nuova epidemia le cose non possono di certo migliorare. Si pensi solo al comparto auto che con un buon grado di approssimazione risentirà dell’epidemia sia dal lato della domanda sia da quello dell’offerta. Dal lato della domanda è indubbio che si vedranno ben presto i riflessi del calo della domanda dei mercati cinesi, da quello dell’offerta le chiusure coatte degli stabilimenti nella regione dell’Hubei in Cina hanno il potenziale di danneggiare le filiere produttive delle case automobilistiche. Anche un osservatore poco attento può a questo punto tirare le somme e comprendere la portata di un rallentamento del settore auto per l’economia tedesca ed europea.

Riflessioni di politica economica: del bilancio comune europeo nemmeno l’ombra

Quel che emerge dall’analisi condotta fino ad ora, è che la portata delle conseguenze economiche che ci si possono attendere dalla diffusione del Covid-19 non sono regionali ma bensì globali. Proprio per questo le risposte di policy, indispensabili per evitare che l’economia europea si affossi ulteriormente, non possono essere mere risposte nazionali ma devono essere coordinate a livello sovrannazionale dalle istituzioni europee.

Se questo è vero, entra in gioco un altro ragionamento essenziale che riguarda, stavolta, l’architettura istituzionale europea. Infatti, il Coronavirus ci offre un buon esempio di quello che nei manuali di teoria economica è chiamato shock esogeno e, in tema di unione monetaria, le teorie AVO (aree valutarie ottimali) ci dicono chiaramente che, quando i Paesi appartenenti ad un area valutaria presentano alti gradi di asimmetria, in presenza di tali eventi il Benchmark sarebbe quello di essere dotati di un bilancio comune a tutta l’unione. Lo scopo principale di tale meccanismo è di consentire dei trasferimenti di reddito dai paesi meno in difficoltà a quelli più in difficoltà. In alternativa, un second best è quello di avere un buon grado di flessibilità dei bilanci nazionali al fine di implementare politiche anti cicliche. 

Attualmente, pur essendo caratterizzata da elevati gradi di asimmetria, l’Eurozona non ha a diposizione nessuno dei suddetti meccanismi. La flessibilità nei bilanci nazionali è misera e vincolata dal Psc (Patto di stabilità e crescita) e in tema di bilancio centralizzato esso non esiste per l’area euro e il bilancio per l’intera unione europea è solamente l’1% del Pil. Il dibattito che si è svolto nei giorni scorsi a Bruxelles si è arenato sul tentativo di incrementare il bilancio Ue dello 0,1% quando numerosi economisti, tra cui Alberto Quadrio Curzio in un suo recente articolo sull’Huffington Post, fanno notare come sarebbe indispensabile un bilancio per almeno il 20% del Pil. Insomma, anche stavolta, del bilancio europeo non si vede nemmeno l’ombra.

Questo articolo è stato pubblicato qui

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