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Le conseguenze economiche del Covid-19: che ne sarà della globalizzazione?

La pandemia da Coronavirus ha avuto effetti drammatici sul sistema economico, scatenando una crisi economica senza precedenti, prima sul lato dell’offerta (a cause della chiusura della attività nelle are poste in lockdown) che poi rapidamente si è trasformata in crisi di domanda (a causa del crollo del reddito, dei posti di lavoro e l’elevata incertezza del futuro).

Fra le vittime della crisi vi è anche una illustre: la globalizzazione. Infatti, in recessione le esportazioni sono generalmente fra i primi indicatori a crollare, e stando alle previsioni del WTO nel 2020 il commercio mondiale potrebbe diminuire tra il 13% e il 32% (WTO 2020). Sul piano dei flussi di capitali si sono verificate ingenti fughe, in modo particolare dai paesi emergenti. Inoltre, molti stati hanno adottato politiche di contrasto al virus quali la chiusura delle frontiere e il bando d’ingresso per gli stranieri. In pochi mesi la libera circolazione di merci (e servizi), dei capitali e delle persone è stata, per diversi motivi, sospesa o limitata.

In molti si domandano: che sarà della globalizzazione cosi come l’abbiamo vissuta finora? Riuscirà il Covid-19 laddove non vi riuscì la grande crisi finanziaria, nell’affondare la globalizzazione? Oppure il processo di globalizzazione, cosi come il capitalismo, riuscirà ad innovarsi assumendo un volto diverso?

Timori concernenti la tenuta del sistema mondiale degli scambi commerciali e dei flussi di denaro, in realtà esistevano già da prima della crisi sanitaria. Il rallentamento della crescita del commercio, le tensioni geopolitiche fra USA e Cina, e l’ascesa di movimenti politici populisti o sovranisti avevano posto dubbi sul futuro della globalizzazione. l’accademico americano Maurice Obstfield, già capo economista al Fondo Monetario, si domandava in una ricerca pubblicata agli inizi del 2020 se fossimo agli albori di una fase di disintegrazione dell’economia internazionale. Obstfield argomenta che la globalizzazione produce intrinsecamente le condizioni economiche (ad esempio le disuguaglianze) e politiche (la crescita del malcontento sociale) che conducono al collasso della stessa, determinando un alternarsi di cicli d’integrazione e cicli di chiusura (Obstfield 2020).

Il termine globalizzazione generalmente riferisce alla crescente integrazione ed interdipendenza di economie, culture, popoli, guidata da tecnologie, commercio, informazioni, investimenti, flussi migratori. In economia con esso convenzionalmente ci si riferisce ai flussi commerciali tra paesi, ed in epoca moderna si individuano almeno tre fasi della sua evoluzione.

La prima avvenne nella seconda metà del diciannovesimo secolo con l’imporsi di un regime di tassi di cambio fissi basato sulla parità aurea, libera circolazione dei capitali e politiche monetarie prive di discrezionalità. Una nuova ondata d’innovazioni tecniche, nel campo dei trasporti, dell’energia e delle telecomunicazioni, aveva visto il sorgere di una forte integrazione commerciale e finanziaria oltre ad ingenti flussi migratori. Ciò condusse al nascere di tensioni geopolitiche e sociali, le quali contribuirono allo scoppio del primo conflitto bellico (Obstfield 2020). Nel periodo intra-bellico si era osservata una tiepida ripresa degli scambi, definitivamente troncata dal crollo della borsa di fine anni ‘20 e la successiva “depressione”. Dopo la seconda guerra, il commercio mondiale tornò a crescere nell’area atlantica, in una seconda ondata della globalizzazione facente perno sul dollaro (sistema di cambi fissi ma regolabili) e i controlli dei capitali. Dopo una fase di stasi iniziata verso la metà degli anni ’70, Il commercio mondiale (cosi come i flussi di capitale) trovò nuova spinta dopo il crollo del muro di Berlino, con una grossa parte di mondo che transita nel sistema capitalistico, ma accelera definitivamente agli inizi del nuovo millennio con l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e la diffusione di internet. Quest’ultima terza ondata, detta della “iper-globalizzazione“, fu caratterizzata da delocalizzazioni ed esternalizzazioni dei processi produttivi dai paesi a capitalismo avanzato verso i paesi emergenti, con le aziende occidentali in cerca di arbitraggi sul costo del lavoro. In termini redistributivi a globalizzazione ha determinato i suoi vincitori (Cina ed altri paesi emergenti, e gli ultra-ricchi dei paesi a capitalismo avanzato) e i suoi vinti (la classe media occidentale) (Lakner and Milanovic, 2013).

La grande crisi del 2008 segnò la fine della Iper-globalizzazione. La crescita del commercio riparte dopo il tonfo successivo alla crisi dei sub-prime, ma non recupera il trend pre-crisi. Discorso analogo vale per i capitali ed in misura minore anche per i flussi migratori e turistici (Herrero, 2019). Il 2017 aveva ridato speranze parziali con una sostenuta crescita del commercio mondiale, ma già dal 2018 nuovi segnali negativi si affacciavano all’orizzonte.

Le considerazioni concernenti la sopravvivenza della globalizzazione hanno due principali dimensioni: una di natura prevalentemente politica (e strategica) un’altra di natura economica.

Riguardo alla seconda dimensione, uno dei motivi per cui la globalizzazione potrebbe sopravvivere alla crisi attuale risiede nella cosiddetta catena del valore globale (in inglese global value chain o GVC). Essa intende alla frammentazione delle produzioni che rendono molte industrie, in modo particolare la manifattura, fortemente interdipendenti fra paesi, rendendo il costo per rompere la catena elevato per molte aziende.

Allo stesso tempo la GVC rappresenta un fattore di rischio, perché molte aziende hanno preso coscienza di come, in uno shock quale quello attuale, le produzione siano state costrette a fermarsi a causa delle mancanza di materie prime o prodotti intermedi provenienti dall’estero. Questa interdipendenza di tipo “operazionale” da fornitori o filiali estere assume un carattere di rischio che potrebbe spingere determinate imprese a ripensare la propria catena produttiva.

Per quanto riguarda la dimensione politica, anche qui vi è un legame con la GCV. Infatti, la pandemia ha messo in luce come l’interdipendenza economica possa mettere a serio rischio la sovranità sanitaria di un paese, tramite l’esempio dei respiratori e delle mascherine. Non appena il virus ha iniziato a diffondersi in Europa e negli Stati Uniti, in entrambi i blocchi mancavano i dispositivi sanitari, perché non vi erano sufficienti produzioni nazionali capaci di fronteggiare lo stop di quelle estere. Gli stessi stati europei hanno iniziato tra di loro a competere per questi prodotti, arrivando ad alzare barriere al commercio. È lecito domandarsi quindi se determinate produzioni, per motivi che potremmo definire strategici, non verranno in futuro rimpatriati ed esclusi dalla competizione internazionale (come già pubblicamente auspicato da alcuni membri di governo europei). Vi è poi il caso del Giappone che nel suo straordinario programma di stimolo progetta di investire 2 miliardi di dollari per rimpatriare le proprie aziende dalla Cina.

Il rimpatrio, o ritorno, delle produzioni, oltre ad usufruire di questa doppia spinta dal lato politico e dal lato economico potrebbe essere favorito dai processi di automazione e robotizzazione nei paesi a capitalismo avanzato (Kilic and Marin, 2020).

Un altro elemento problematico riguarda i flussi migratori e turistici che verranno severamente penalizzati dalle nuove normative sul distanziamento. Viaggiare, ad esempio, potrebbe diventare estremamente costoso laddove fosse possibile, prescindendo dal fatto che la paura legata al rischio sanitario giocherà il suo ruolo nel breve periodo. Il magnante americano Warren Buffett ha venduto le proprie partecipazioni nelle quattro principali compagnie aeree americane, presagendo un futuro non certo roseo per l’intera industria. Per non menzionare che secondo alcuni studi la globalizzazione, o più precisamente la mobilita delle persone, è stata considerata una delle cause della pandemia (Lau et al., 2020).

Infine, molto dipenderà dalla reazione delle grandi potenze, in particolar modo di Cina, Stati Uniti e Europa nell’affrontare la crisi. Da un lato vi è la reazione europea, troppo lenta e troppo debole che rischia di acuire problemi antecedenti nei paesi del sud e trascinare il continente in una nuova spirale deflattiva; dall’altro lo scontro fra USA e Cina la cui risoluzione avrà sicuramente un esito decisivo. Da questo ultimo potrebbero scaturire nuovi vincoli normativi agli scambi commerciali (i dazi), e il progressivo abbandono degli USA dal WTO non sembra suggerire esiti incoraggianti per il futuro della Globalizzazione (Herrero, 2019).

In conclusione è possibile che nell’economia post-covid, la globalizzazione subisca una battuta d’arresto e che, come tanti altri aspetti della vita, non “sarà più la stessa”. L’integrazione e l’interdipendenza economica potrebbero assumere volti diversi amplificando tendenze, già in corso, che qui non sono state menzionate e che riguardano ad esempio la crescente importanza dei servizi (a discapito delle merci) e in modo particolare il ruolo che avranno i data, sviluppo e ricerca, i servizi digitali e i beni intangibili (McKinsey Global Institute, 2019).

Bekkers, E., Keck, A., Koopman, R., & Nee, C. (2020). Trade and COVID-19: The WTO’s 2020 and 2021 Trade Forecast. VoxEU. org, 24.

Herrero, A. G. (2019). From globalization to deglobalization: Zooming into trade. Bruegel Special Report.

Kilic, K., & Marin, D. (2020). How COVID-19 is transforming the world economy. VoxEU. org, 10.

Lakner, C., & Milanovic, B. (2013). Global income distribution: from the fall of the Berlin Wall to the Great Recession. The World Bank.

Lau, H., Khosrawipour, V., Kocbach, P., Mikolajczyk, A., Ichii, H., Zacharksi, M., … & Khosrawipour, T. (2020). The association between international and domestic air traffic and the coronavirus (COVID-19) outbreak. Journal of Microbiology, Immunology and Infection.

Lund, S., Manyika, J., Woetzel, J., Bughin, J., Krishnan, M., Seong, J., & Muir, M. (2019). Globalization in transition: The future of trade and value chains. McKinsey Global Institute.

Obstfeld, M. (2020). Globalization Cycles. Italian Economic Journal, 6(1), 1-12.

 

Foto di Syaibatul Hamdi da Pixabay 

Questo articolo è stato pubblicato qui

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