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Le bandiere nel calcio esistono ancora?

Tutti voi sapete cosa sono i luoghi comuni, vero? Quali sono quelli che usiamo spesso? Non ci sono più le mezze stagioni, qui una volta era tutta campagna, e da lunedì mi metto a dieta... di queste frasi ne sentiamo e ne diciamo una moltitudine. E se i primi esempi che ho fatto riguardano la vita di tutti i giorni, quali sono invece quelli che riguardano il calcio? Ho sempre sognato di arrivare in questo club, gli ultrà sono la parte migliore del calcio, le donne non capiscono il fuorigioco, oggigiorno contano solo i soldi, non esistono più le bandiere... ah aspetta, queste ultime due frasi ci interessano. E si potrebbe discutere anche delle altre (ho dei dubbi sul fatto che quello delle donne sia un luogo comune) ma non è questa la sede per discuterne.

Ora, il motivo di tutto questo preambolo è che la questione sulle bandiere nel calcio è un argomento che esce sempre fuori, soprattutto in questi tempi dove il Dio Denaro la fa da padrone e dove la fedeltà di un giocatore per una squadra è pari a quella di un film rispetto al libro da cui è tratto. Ma prima di analizzare tutto ciò partiamo dalla base: prima di tutto, cosa vuol dire essere una “bandiera”? Il giocatore bandiera, o simbolo, è quello che lega il proprio destino professionale ad un solo club per un lungo periodo di tempo, senza parentesi altrove, oppure quello che parte dalle giovanili fino al giro d’onore nell’ultima partita da professionista. Negli anni dei nostri genitori e dei nostri nonni era più facile fare tutta un'intera carriera in una sola squadra: Riva, Baresi, Bulgarelli, Bergomi, Boniperti, Facchetti, tutti giocatori che hanno fatto sognare grandi e piccini. Ma perché in passato veniva di più questo attaccamento alla maglia mentre adesso tutti i giocatori appena arrivano in un club pensano subito a quello successivo? Diversi i motivi: mercato globale con due sessioni di mercato l'anno, l'allargamento del numero di stranieri in rosa e tutto quello che ha provocato la legge Bosman, l'annullamento del contratto a vita, le pay-tv, insomma la colpa di tutto è imputabile al cosiddetto “calcio moderno”, parola tanto odiata dai tifosi e ultras.

Ma per ora abbiamo parlato solo del passato, guardiamo ora al presente e cerchiamo di vedere come siamo messi oggi; adesso come nasce una bandiera, come la si può distinguere da un giocatore normale? Questa è più difficile, ma ci possono venire in aiuto i numeri. Consideriamo una soglia oltre la quale un giocatore può considerarsi una bandiera. Direi che 400, siamo circa sulle 15 stagioni, può essere un numero ragionevole. E ora, non ci resta che sfogliare l’almanacco. Diverse persone collocano l'inizio del “calcio moderno” proprio quando la già citata legge Bosman entrò in vigore, ovvero nella stagione 1994-95. Si può quindi facilmente pensare che da questa data in poi i giocatori bandiera calino drasticamente. E invece no. Anzi, in questi anni il mondo del calcio annovera alcune tra le più grandi leggende: Gerrard, Totti, Maldini, Del Piero, Puyol, Buffon, Zanetti, Terry, Giggs, Scholes, Xavi, Casillas, Scholes.

E quindi? E quindi tutto ciò dimostra come le bandiere esistono ed esisteranno sempre. E sono fiducioso nel pensare che le nuove generazioni non ci deluderanno, basti pensare a De Rossi, o a Chiellini che è arrivato al suo nono anno alla Juve e, perché no, a qualche giovane come De Sciglio o Kovacic, chi ci dice che non potrebbero diventare delle bandiere anche loro nei prossimi anni? Quello che accomuna tutte quelle leggende che ho citato prima è l'amore per una città e per i tifosi, cose che il Dio Denaro non può comprare.

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