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 Home page > Attualità > Economia > Le banche popolari: da idea vincente a sistema fallimentare

Le banche popolari: da idea vincente a sistema fallimentare

"E' un momento storico, perché dopo 20 anni interveniamo sulle popolari", ha dichiarato Matteo Renzi. 
Il Presidente del Consiglio non ha tutti i torti.

Sono decenni infatti che Governi di ogni colore tentano inutilmente di riformare quel consolidato modello di governance "a democrazia diffusa", sancito dall'articolo 30 del del testo unico bancario, che prevede il voto capitario ed un limite al possesso di azioni. Il voto capitario, nel diritto societario, si ispira al principio "una testa, un voto", la regola per la quale ogni socio ha diritto ad un singolo voto in Assemblea, indipendentemente dal numero di azioni possedute e dal valore della propria quota di capitale, una caratteristica tipica delle banche popolari, anche se nella realtà ha spesso prevalso l'antico motto di Enrico Cuccia, "le azioni si pesano, non si contano".
 
Tutto si può dire infatti, tranne che le banche popolari, così diffuse nel nostro paese "a trazione territoriale", abbiano sviluppato nel tempo un modello di gestione trasparente, efficiente e redditizio.
Senza scomodare le famose inchieste sulla Popolare di Lodi di Giampiero Fiorani, uno dei "furbetti del quartierino", basta ricordare esempi anche più recenti. La Popolare di Spoleto, più volte commissariata da Banca d'Italia per i numerosi episodi di abusi e malagestione, ora acquisita dal Banco di Desio. Oppure la Popolare di Etruria, la banca aretina che ad oggi è uno degli Istituti più in difficoltà. 
 
In effetti, come risulta da un articolo di Fabio Pavesi pubblicato sul Sole 24 Ore, "solo le rettifiche sui crediti malati erodono il 95% dei ricavi complessivi della banca", che ha chiuso l'ultima trimestrale in rosso per ben 126 milioni di euro, quasi il 25% dell'intero capitale netto della banca (stimato in soli 534 milioni).
Sempre la Banca Etruria nei primi 9 mesi del 2014 ha visto i ricavi scendere del 30% e, nonostante le operazioni di svalutazione, detiene in bilancio oltre un miliardo e mezzo di euro di crediti deteriorati, ben il 300% del patrimonio (il 25% dei crediti totali). 
 
Né sono esempi virtuosi la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Entrambe hanno superato lo scoglio degli stress test della Bce, ma per una manciata di milioni di euro ciascuna.
 
In sostanza la peculiarità delle banche popolari, ovvero la vicinanza al territorio, il modello di azionariato diffuso e partecipativo, non ha prodotto risultati migliori e concreti rispetto alle grandi Spa, soprattutto sul fronte degli impieghi e del credito ad imprese e famiglie. Hanno sofferto anch'esse di una forte riduzione dei prestiti e della qualità degli attivi, complice il perdurare della grave crisi economica che ha attanagliato il sistema nel suo complesso. Il Banco Popolare e Ubi (una delle più grosse del settore) negli ultimi 5 anni hanno tagliato lo stock di crediti di oltre il 10%. 
 
Non è un caso che le promesse d'intervento del governo per favorire l'apertura dell'azionariato delle popolari a soggetti esterni, favorendo le fusioni, le incorporazioni tra grandi e piccoli istituti ed anche auspicabili investimenti dall'estero (freschissima la notizia di un'offerta di 2,2 miliardi della finanziaria inglese Permira per acquisire l'Icbpi, l'Istituto centrale delle banche popolari) abbia avuto come prima effetto ieri (20 gennaio) il boom in borsa delle principali protagoniste della riforma annunciata.
 
Le modifiche introdotte dal Consiglio dei ministri riguarderanno principalmente solo i 10 istituti con attivi superiori a 8 miliardi di euro, ad esclusione delle banche di credito cooperativo, che avranno così 18 mesi di tempo per adeguarsi e trasformarsi in Società per azioni. 
 
Una norma che dovrebbe contribuire alla crescita dimensionale e di ruolo, eliminare i rami secchi e rendere più efficiente e trasparente un sistema che nel complesso ha deluso, e di molto, rispetto ai sani principi democratici che l'hanno ispirato.
 
Foto: Palazzo Chigi/Flickr

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.52) 21 gennaio 2015 16:43

    E bravo il nostro ebete!
    Si distruggiamo le banche popolari e mettiamoci nelle mani delle grandi multinazionali della finanza, mi sembra un’idea splendida!

    A renzie ma vaffanculo va!

    • Di (---.---.---.135) 21 gennaio 2015 18:59

      Sono d’accordo, l’ebete è proprio ebete. Tra l’altro non è vero che queste banche siano così disastrate: i bicchieri sono mezzi pieni o mezzi vuoti, dipende da che parte li si guarda. Ma per giustificare un’iniziativa che si prefigge ben altro, le cose vengono presentate come in questo articolo. Di sicuro c’è che quel poco controllo diciamo "democratico" viene cassato in favore del managerialismo: così quelle banche andranno meglio, e la popolazione peggio. Complimenti!

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