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Lavoro. La riforma che riforma non è

Altro che riforma. Il ddl sul lavoro è un po' come la riforma Gelmini. Dice di voler rinnovare il sistema, ma lo lascia invariato ed accentua alcuni difetti, che se risolti, contribuirebbero a sminuire la fuga dei cervelli.

Capita molto spesso di chiamare delle cose con un nome poco adatto, e in Italia si fa scuola anche in questo. Ultimo, ma non ultimo, è il caso della sbandieratissima riforma del mercato del lavoro, e della grandissima attenzione rivolta verso l’articolo 18 che, secondo alcuni, contribuirà a rendere più agevole l’ingresso dei giovani nelle aziende.

Rendendo più semplice il licenziamento per motivi economici alle aziende con un numero superiore ai 15 dipendenti, secondo coloro che hanno brindato a questa riforma, le stesse aziende saranno all’inizio invogliate ad assumere personale, perché poi, quando sarà il caso di licenziare lo potranno fare senza troppi vincoli. E’ la flessibilità, bellezza! Peccato però, che numerevoli studi pubblicati su lavoce dimostrino esattamente il contrario, ovvero che nei periodi in cui c’è stata maggiore flessibilità non si è assistito ad un aumento dell’occupazione. E non sono studi del Manifesto o di Vauro (con il dovuto rispetto), altrimenti si potrebbe subito pensare che siano di parte.

Inoltre, la riforma che un po' come la riforma Gelmini riforma poco o nulla, s’è dimenticata di riorganizzare tante altre belle cose, che all’inizio la Fornero aveva spifferato ai quattro venti. Contratto unico in soffitta senza aver eliminato almeno una ventina delle oltre 40 tipologie di contratti, le quali molto spesso servono a schiavizzare il lavoratore. Ammortizzatori sociali che si faticano a vedere, di adeguamento dei salari manco a parlarne. E il reddito minimo di cittadinanza è rimasto solo un lontanissimo ricordo, o meglio una promessa già sbiadita nel tempo!

Insomma, la sensazione è che quasi impossibilmente la drammatica situazione in cui versano quest’oggi precari e disoccupati si risolleverà con così poco. E soprattutto, le aziende difficilmente verranno ad investire nel nostro Paese dove la burocrazia affligge la vita di milioni di persone, abbiamo una pressione fiscale ai livelli record che costringe le imprese a chiudere, l’evasione fiscale e la corruzione costituiscono dei costi occulti, e vi è inoltre una mancanza di visione a medio lungo periodo che impedisce di investire in ricerca&innovazione e favorisce, pertanto, la fuga dei cervelli. Con tutte queste piaghe, sarà comunque difficile sperare in un miglioramento della situazione occupazionale dell’Italia.

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