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Lampedusa: al centro del mare, al centro dei diritti

Da oggi e fino al 21 luglio, circa 75 attivisti e simpatizzanti di Amnesty International provenienti da 20 paesi prenderanno parte, a Lampedusa, al primo campeggio internazionale per i diritti umani.

Dopo il campeggio nazionale del luglio scorso, Amnesty International ha deciso di ripetere e allargare questa esperienza di formazione, attivismo e solidarietà nella meravigliosa isola delle Pelagie.

Chi la conosce bene, sa che i suoi abitanti sono stati e sono capaci di straordinari gesti di vicinanza nei confronti di chi a Lampedusa ci approda, quando ci arriva vivo, al termine di un viaggio che non avrebbe mai voluto fare, reso necessario dalla guerra, dalle persecuzione politica e religiosa, dalla tortura.

Nel 2011 questo pezzo di terra in mezzo al Mediterraneo è stato suo malgrado al centro, e vittima, di una risposta profondamente inadeguata alla crisi umanitaria in corso sulla sponda sud di quel mare. Il sistema di accoglienza italiano è collassato con l’arrivo simultaneo di alcune migliaia di persone dalla Tunisia e dalla Libia (sarebbero state in tutto meno di 60.000 nell’anno), mentre Tunisia ed Egitto, alle prese con la loro transizione, si facevano carico di un numero almeno 10 volte superiore di persone in fuga dalla Libia.

Molti organi d’informazione, soprattutto tra i media televisivi, preferironodare l’idea che l’inferno si fosse improvvisamente materializzato al centro del Mediterraneo, col risultato che quella deformata rappresentazione della situazione di Lampedusa fece crollare la domanda turistica e compromise la stagione estiva.

Rimasero nell’ombra i gesti di solidarietà, l’abitudine all’adattamento alle situazioni estreme da parte dei lampedusani, anche nei giorni in cui le persone provenienti dalla sponda sud del Mediterraneo erano di più della popolazione locale.

Soprattutto, finita l’estate, i lampedusani vennero ricacciati nell’ombra, nel loro non essere “telegenici”, nella loro periferia estrema che non fa informazione: alle prese col prezzo abnorme del gasolio per i pescherecci, con l’assenza di un luogo dove partorire, con l’isolamento dovuto al maltempo o ai cavi della telefonia inservibili, perché ogni tanto vengono tranciati in fondo al mare. Problemi che non hanno origine né soluzione in Eritrea o in Somalia quanto, piuttosto, a Roma.

A quel senso di ospitalità, a quel modo di essere delle comunità di pescatori per cui prima si soccorre e poi ci si chiede chi si è soccorso, per cui “una mano lava l’altra e due mani lavano il viso”, l’anno scorso i partecipanti al campeggio nazionale vollero, coi loro corpi sulla Spiaggia dei Conigli, da poco passata l’alba, dire “Grazie” (nella foto).

Lo diranno, in una pluralità di lingue e attraverso molti strumenti, tra cui un blog, i partecipanti al campeggio di quest’anno, in una compagnia resa ancora più numerosa dalla contemporanea presenza del Lampedusa in Festival e di altre iniziative che vedono protagoniste associazioni nazionali, come l’Arci e locali, comeAlternativa GiovaniAskavusa e Legambiente.

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