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Laicità | Palermo, No agli altari nelle scuole. E parte la protesta dei parabolani

Un sussulto di dignità e di buon senso aveva indotto qualche giorno fa il preside della scuola “Ragusa Moleti” di Palermo a rimuovere alcuni simboli religiosi dal plesso che dirige.

Chiariamo anzitutto che non si sta parlando dei crocefissi, quell’onnipresente simbolo di appartenenza che fa diventare simbolicamente cristiano un edificio di pertinenza pubblica (quindi nominalmente privo di religione specifica dal momento che il nostro paese non ha più una “religione di stato” dal 1984 con la firma del Nuovo Concordato - Protocollo addizionale, punto 1 - poi confermato dalla Corte Costituzionale che definì esplicitamente la laicità dello Stato un “principio supremo”).

Il crocefisso è spesso imposto a tutti i cittadini italiani (che non sono solo cattolici, ma anche altri cristiani che ne criticano l’esposizione in ambienti pubblici come i protestanti o i valdesi; e poi ebrei, musulmani, buddisti, induisti e così via enumerando, fino naturalmente ai tanti atei o agnostici o anche ai moltissimi credenti - forse la maggioranza del mondo cattolico - che hanno ben chiaro il concetto di separazione fra Stato e Chiesa e mal digeriscono i talebani dell’oltranzismo religioso di qualsiasi origine e colore).

Ma, ripetiamolo, nella scuola di Palermo nessuno ha toccato i crocefissi che sono tuttora in bella vista.

La realtà è che lì si era andati ben oltre: in un corridoio era stato allestito un vero e proprio altarino - con fiori, statue e dipinti di Gesù e della Madonna e foto di Papa Francesco - davanti al quale si svolgevano veri e propri riti religiosi che hanno indotto alcuni genitori a fare una segnalazione di protesta alla presidenza.

Da qui il divieto del dirigente scolastico Nicolò La Rocca che ha fatto rimuovere le statue e vietato le preghiere giustificando la sua decisione con il parere dell'ente di competenza: «ho semplicemente ricordato - ha detto - quali sono i comportamenti da tenere, dal punto di vista del parere dell'Avvocatura dello Stato, in merito alle celebrazioni religiose negli orari curriculari».

Il dirigente, inoltre, ricorda che «considerando il parere dell'Avvocatura dello Stato dell'8 gennaio del 2009, allegato alla nota del gabinetto del Miur del 29 gennaio 2009, è da escludere "la celebrazione di atti di culto, riti o celebrazioni religiose nella scuola durante l'orario scolastico o durante l'ora di religione cattolica, atteso il carattere culturale di tale insegnamento"».

In altre parole: riti religiosi e preghiere in una scuola pubblica non si possono fare.

Identica l'opinione della direttrice generale dell'Ufficio Scolastico Regionale siciliano, Maria Luisa Altomonte: «La scuola è laica (...) gli istituti non devono essere trasformati in luogo di culto».

I bambini invece erano portati a pregare nel corridoio durante l'orario obbligatorio; non era sufficiente, evidentemente, l'ora di religione (che è ora di "cultura", non di "culto") né l'impegno dello Stato per mantenere i docenti di religione, scelti dalla Curia ed entrati di ruolo dal 2003, con un costo annuo per le casse statali di 1,25 miliardi di euro

Ma, al divieto, la ribellione “delle mamme” (quante?) non si è fatta attendere: «i nostri figli torneranno a scuola con il rosario al collo, finché la madonnina non tornerà al suo posto».

E la ribellione ha preso anche la forma dell’intimidazione al punto da costringere il dirigente a chiudere il suo profilo facebook intasato da centinaia di messaggi offensivi e minacciosi. 

A lui è immediatamente andata la solidarietà di moltissimi altri dirigenti scolastici su WhatsApp, alcuni dei quali raccontano di situazioni simili in varie parti d'Italia.

E la politica? Molte voci, tanto stonate quanto bipartisan, che non si limitano a difendere la presenza - già di per sé invadente - del crocefisso, ma che pretendono anche altarini e preghiere nelle scuole italiane in nome delle solite, presunte, “nostre radici” come se una scuola pubblica fosse un loro (dei cattolici integralisti) privato luogo di culto.

Troppo ignoranti - o troppo opportunisti - i nostri politici per ricordare che le "nostre radici" hanno molte e diverse ramificazioni, di diverse culture e religioni, non ultime le istanze che hanno dovuto combattere duramente per respingere le "verità di fede" (tanto quanto le "verità di ideologia" dei totalitarismi) in un ambito privato e personale. In cui ognuno ha diritto di fare (e pregare) quello che vuole senza imporre agli altri le sue scelte individuali.

Riprendo da Il Giornale di Sicilia alcuni di questi commenti:

- "Il divieto di pregare per i bambini di una scuola elementare e dell'infanzia di Palermo è un atto censorio grave. Una sbandierata laicità che si sente minacciata da dei bambini che pregano è una laicità ben fragile, disposta a parole a difendere e rispettare tutte le religioni e le culture tranne quella cattolica" (Maurizio Lupi, Ap).

- "Un afflato di laicismo e autoritarismo che nei fatti nega le nostre radici" (Edoardo Patriarca, PD).

- "Sembra un gesto dettato dalla volontà di imporre laicismo e anticlericalismo all'interno delle aule scolastiche" (Renato Schifani, FI).

- "E' una grave censura, frutto di un laicismo insensato" (Antonio De Poli, UDC).

Per finire con i duri e puri del sovranismo italiano:

- “Ci opporremo a questo ennesimo tentativo di sottomissione culturale al politicamente corretto e a questo laicismo strisciante” (Alessandro Pagano, Lega)

- “Io voglio essere sempre buono e tollerante con tutti, ma nessuno dice imbecille a questo imbecille?” (Giampiero Cannella, Fratelli d’Italia, rivolto al preside).

Dopo aver visto i bellimbusti di Forza Nuova sfilare impettiti (fra i fischi degli abitanti) per andare a “controllare” la messa di Don Massimo Biancalani, parroco di Vicofaro a Pistoia, reo di aver portato dei giovani migranti a farsi un bagno in piscina (che, secondo l’idiozia imperante in certe teste, deve essere ritenuto un grave attacco alle “nostre radici”), oggi si assiste alla protervia dei parabolani palermitani che pretendono, sempre in nome delle “nostre” radici, di occupare gli spazi di tutti con i loro riti e i loro simboli.

Salvo poi lamentarsi, quando il loro espansionismo viene arginato (dal buonsenso prima ancora che dalle leggi), di essere vittime dell’altrui protervia, della “censura”, del “laicismo” e dell’”autoritarismo” del “politicamente corretto”.

Non basta che lo Stato repubblicano acconsenta, in virtù di un mai abrogato Regio Decreto del 1924 (alias periodo monarchico-fascista), all’esposizione del principale simbolo del cattolicesimo in ogni dove, ora quattro insopportabili oltranzisti della fede (o piuttosto dell'ideologia suprematista) pretendono a gran voce che la scuola pubblica diventi un luogo di esibizione delle loro personali idolatrie.

Non vorremmo, nelle nostre scuole, vedere un giorno i bambini imitare le fantasiose ultrà del "si vede, si sente, Gesù è qui presente" immortalate in un recente video su cui ha riso mezzo paese. 

 

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