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La scomparsa di Sara Scazzi e il tetro reality del Corriere

Il diario di scuola di Sara Scazzi davanti alle telecamere del Corriere del Mezzogiorno: un emozionante esempio di giornalismo di qualità.

Le tragedie sono un toccasana per i giornali: omicidi che si trascinano dietro infinite puntate, incidenti, stupri, rapimenti. Sono una vera calamita per il pubblico, che vi si appassiona personalmente come per la lettura di un buon noir. Non sono troppo lontani i tempi in cui una folla faceva la fila per assistere alla condanna di Anna Maria Franzoni. Bisogna contare anche che la mobilitazione della stampa a volte può fornire un valido aiuto alle indagini, come nel caso dei rapimenti: il tam tam delle informazioni crea una rete che moltiplica il coinvolgimento dei cittadini e le possibilità di ritrovamento.

Ma esistono anche dei casi in cui la stampa perde il controllo e diventa inopportuna, invadente, morbosa. Con uno zoom ficcanaso arriva a perlustrare ogni centimetro della storia sotto i riflettori, diffondendo dettagli insignificanti e futili. A volte ciò accade per un preciso scopo politico, come per i calzini del magistrato odiato da Berlusconi, altre risulta quasi inspiegabile.
 
La quindicenne Sara Scazzi è scomparsa giovedì scorso, le ricerche continuano e si avanzano le prime ipotesi. Tra le diverse testate, la versione online del Corriere ha attirato maggiormente la mia attenzione. Accanto al titolo, spiccavano i link di due video correlati del Corriere del Mezzogiorno. Sperando che non fosse la solita intervista pietosa all’insegna del "soffre molto?", ho cliccato sul primo. Speranza infranta.
 
La qualità giornalistica del servizio è sulla linea dello zero. La giornalista sfoglia davanti alla telecamera uno dei diari di scuola di Sara, soffermandosi sui disegni e le dediche delle amiche, indagando come un cane poliziotto su particolari futili: "’è una sua amica?", "le volevano bene?", "c’è scritto antologia, scriveva i compiti?". Mentre il pubblico da casa è impaziente di sapere se Sara ama Avril Lavigne o preferisce Michael Jackson, la cronista si lascia scappare una breve considerazione sulla privacy, come ricordandosi che esiste: "Ecco, vediamo se trovo qualcosa di carino senza entrare troppo nella privacy". Troppo tardi, signora, oramai ci sguazza dentro.
 
La Carta di Treviso, documento e codice deontologico varato e approvato nel 1990 dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi, è la norma vincolante di autoregolamentazione per i giornalisti italiani in tema di minori. Tra i suoi principi, spicca quello del rispetto per la privacy, eccetto i casi di rapimento o di sparizione in cui sia indispensabile pubblicare dati personali e divulgare immagini del minore nel suo interesse.
 
E’ possibile in questo caso parlare di divulgazione di dati e immagini nell’interesse del minore? E’ indispensabile sbandierare ai quattro venti "qualcosa di carino" dal diario della ragazza, quando questo non ha alcun nesso con la sua sparizione? Certamente i genitori di Sara avranno dato l’assenso per la pubblicazione del video, ma il giornalista è veramente incapace di capire cosa sia più o meno lecito in queste situazioni? La legge del reality impera fino a questo punto?
 
Quando la madre di Sara rifiuta di fare l’ennesimo appello solo per fornire un’esclusiva all’ennesimo giornale, la giornalista commenta: "Ci scusi, signora, ma noi solo così possiamo darle una mano: questa è la realtà dei fatti". Sarebbe stato tutto molto più umano con la vecchia odiosa domanda: "soffre molto?".

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