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La rivoluzione in Libia è tribale, non intellettuale

La causa della sanguinosa rivolta in corso in Libia non va cercata nel desiderio di libertà e giustizia di giovani intellettuali, come in Tunisia ed Egitto. Il regime libico si manteneva su un patto tra Gheddafi e le prncipali tribù del Paese. Le conseguenze di tale rottura potrebbero essere drammatiche. A prescindere dal destino di Gheddafi.

1. I fatti in corso in Libia hanno una determinate diversa rispetto a quelle che hanno infiammato gli altri Paesi nel Nord Africa. In particolare, che la rivolta libica non è socioeconomica, ma etnica.

In Libia le condizioni di vita della popolazione erano sensibilmente migliori di quelli nei Paesi limitrofi. La disoccupazione, purtuttavia alta, era comunque inferiore alla media della regione, mitigata dal fatto che i due terzi della forza lavoro erano impiegati nello Stato. Prima della rivolta, nel Paese c’erano all’incirca 1,5 milioni di lavoratori stranieri. Inoltre i prezzi sussidiati e le rendite petrolifere, grazie alle iniziative liberiste di Saif Gheddafi, erano in parte redistribuite alla gente.

La causa della rivolta va cercata altrove. La circostanza che la figura di Gheddafi sia stata così energica da eclissare ogni altra dinamica sociopolitica nel paese ispira una riflessione sui presupposti di continuità di un regime che esiste e resiste da oltre quarant’anni.

Una continuità che porta i nomi dei Warfala, Zintan, Rojahan, Orfella, Riaina, al-Farjane, al-Zuwayya, Tuareg. Ossia alcune delle 140 qabila (tribù) stanziate sul territorio libico. Che hanno rotto il patto stretto negli anni Novanta con il Colonnello. Perché in Libia sono le tribù a essersi sollevate, non i giovani intellettuali o le manovalanze.

2. L’85% della popolazione libica appartiene alle tribù, che da sempre ricoprono un ruolo chiave nella realtà locale. Basti pensare che sono molte città libiche portano i nomi delle tribù che le abitano. Un’importanza ribadita soprattutto nei momenti drammatici che il Paese ha attraversato nel corso dei secoli. Come nel 1911, quando affrontarono l’esercito italiano nella guerra italo-turca, o negli anni a seguire dell’occupazione coloniale, in cui furono protagoniste di numerose rivolte spesso soffocate nel sangue. Quando la Libia conquistò l’indipendenza nel Paese non c’erano partiti politici, in quanto vietati dal regime monarchico. L’assenza di attori sulla scena politica, di conseguenza, determinò il riemergere delle tribù come rappresentanti popolari di fronte a Tripoli. Un processo incoraggiato dalla stessa monarchia senussita, che delegò l’autorità sul territorio a potenti famiglie, di fatto dando vita ad uno Stato feudale.

Quando Gheddafi salì al potere senza colpo ferire, il primo settembre 1969, per prima cosa propugnò la riedificazione della mentalità sociale sostituendo il vecchio, rigido sistema tribale, con un socialismo partecipativo fondato sui comitati popolari e altre istituzioni locali affidate a dirigenti giovani e fedeli, allo scopo di emarginare la vecchia élite dei capi tribù. Cementare la nuova struttura con la propaganda anticolonialista alimentando i risentimenti contro le ex-potenze coloniali in Africa attraverso un mix di verità e retorica sui crimini del colonialismo. Gheddafi ha così incanalato le energie intellettuali della nuova generazione nell’imbuto dell’odio verso l’ex potenza coloniale, principale comune denominatore, assieme alla fede islamica, della (Stato delle masse, come era definita la Libia).

Già dalla fine degli anni Settanta, però. Il sistema tribale si era riaffacciato sulla scena diffondendosi in tutto l’apparato amministrativo. Di fatto, le cariche pubbliche erano lottizzate sulla base dell’appartenenza ai clan. Alla fine fu lo stesso Gheddafi a stabilire che le assunzioni nella pubblica amministrazione dovevano avvenire su base tribale. Negli anni Novanta Gheddafi, resosi conto dell’indefettibilità del sistema tribale, iniziò a stringere alleanze con i capi tribù in modo da farne strumento del suo regime. L’alleanza con quelle numericamente più consistenti, come i Warfala (1 milione di individui) fu garantita da laute elargizioni di denaro e concessioni varie. Nel contempo, Gheddafi fomentò segretamente l’ostilità tra le stesse, secondo il vecchio stratagemma del divide et impera.

Lo stesso esercito libico, peraltro ridimensionato dalle recenti defezioni, è una raccolta di notabili tribali di cui Gheddafi aveva comprato la fedeltà. Gheddafi aveva il timore che i nemici più pericolosi per il suo regime si annidassero lì, tra le maglie di quelle forze armate dal quale lui stesso proveniva. Così organizzò le milizie ricalcando la struttura tribale e ne ridimensionò il ruolo all’interno delle gerarchie statali, affinché fosse meno rifornito, equipaggiato e considerato delle forze paramilitari mercenarie che rispondono direttamente al ra’is e ai suoi familiari. Anche i servizi di intelligence furono affidati ai clan, e precisamente ai Qadhadhifa, la tribù a cui lo stesso Gheddafi appartiene, e i Maqariha, la tribù del compagno di rivoluzione Abdessalam Jallud. Che in cambio della salvaguardia del regime a prezzo di violente repressioni hanno monopolizzato pressoché tutti i settori dell’economia1.

Un sistema sociale così evanescente, privo di un’infrastruttura istituzionale e unicamente sorretto dalla retorica di “Stato delle masse”, non poteva che ripiegarsi su se stesso. Ciò avvenne a partire dagli anni Novanta, in seguito alla crisi economica conseguente alle sanzioni Onu dell’aprile 1992. Tra i cittadini libici crebbe l’insofferenza verso un potere centrale scevro di referenti locali, percepito come assente e incapace di provvedere ai loro bisogni. Soprattutto in Cirenaica, l’avversione al regime si manifestò in vari episodi di rivolta, tutti brutalmente repressi dal regime.

Riassumendo, l’equilibrio sul quale il sistema di potere del ra’is si è mantenuto nel tempo era fondato sul complesso rapporto fra appartenenza tribale e fedeltà allo Stato. Fin dagli albori del suo regime il Colonnello ha usato, corrotto e cercato di dividere le tribù portando ad un ridimensionamento del loro ruolo all’interno della società libica fino a ridurla a un mero elemento di appartenenza sociale, al simbolico ruolo di garanzia dei valori culturali e religiosi delle tradizioni locali.

3. L’offerta di un negoziato per calmare i ribelli si inquadra nella necessità di ricomporre la frattura che si è creata con i maggiori clan stanziati in Cirenaica. La tribù Awlad Ali, al confine egiziano, è contro di lui. Come gli Az Zawiyya, e poi gli Az-Zintan, a 150 chilometri a sud-ovest di Tripoli e alleati con i Warfala, i Tarhun (che comprende oltre il 30% della popolazione di Tripoli), e diversi esponenti della sua piccola tribù nativa, i Qadhadfa2. Che finora hanno tutte respinto l’offerta. Per Gheddafi le prospettive sono pessime. La chiave di lettura del delirante messaggio in video di Gheddafi, nell’estremo tentativo di ristabilire un ordine ormai irrimediabilmente perduto, va cercata in una singola parola pronunciata nel suo monologo: fitna.

Il termine, traducibile con “guerra civile”, più che una minaccia esprime i nefasti esiti che potrebbe avere una mancata riconciliazione tra il ra’is e le tribù sotto l’egida di un nuovo patto. “La Libia è diversa da Tunisia ed Egitto, è priva di una società civile, e sarà in preda a tribù ostili tra loro”, ha affermato il Colonnello. Non si tratta di una mera intimidazione, come era parsa a noi occidentali la l’idea del tutto simile espressa da Mubarak venti giorni prima: “senza di me c’è il caos”. In Libia c’è il rischio concreto che le ostilità tra i clan possa sfociare in un bagno di sangue.

I Libici, a differenza di cittadini egiziani, non hanno il collante di migliaia di anni di identità nazionale che li tenga uniti. Una spaccatura netta all’interno dei gruppi maggioritari non poteva che portare ad uno scontro feroce. Ecco perché le cronache dalla Libia sono state fin da subito più cruente di quelle dai Paesi vicini. E l’esercito, anch’esso espressione del sistema tribale, non potrà avere lo stesso ruolo di garante della sicurezza popolare che invece ha ricoperto in Egitto.

Gheddafi ha mantenuto il suo potere attraverso il disordine istituzionale, creando una forma di governo tra le più bizzarre del mondo. Egli stesso non ricopre alcuna carica formale, pur essendo il padrone assoluto del Paese (in teoria non potrebbe neppure dimettersi). Nel Paese non vi è una struttura burocratica degna di tal nome. la struttura politica della Libia dovrà essere ricostruito da zero. Non si tratta solo di un caso di eleggere un nuovo governo, ma di creare un nuovo sistema da cima a fondo. E una guerre civile, come quella che la Libia attraversa, è il peggior punto di partenza per qualsiasi tentativo di ristrutturazione. Gheddafi, purtroppo, può ancora vincere. Ma se perde, il futuro della Libia potrebbe ancora rivelarsi caotico.

 

Per approfondire

Commenti all'articolo

  • Di Damiano Mazzotti (---.---.---.165) 2 marzo 2011 12:52
    Damiano Mazzotti


    Qui siamo molto vicini alla verità...

  • Di pv21 (---.---.---.208) 6 marzo 2011 19:48

    Pallottoliere >

    Tutti “clandestini” erano i 30mila migranti che puntavano alle coste italiane prima del Trattato anti-sbarchi siglato con Gheddafi.

    Il 14 febbraio, per Maroni, è diventato un “esodo biblico” quello degli 80mila Tunisini in procinto di sbarcare in Italia.
    Poi, scoppiata la crisi in Libia, si è calcolata in diverse centinaia di migliaia la “catastrofica ondata” di sfollati destinata a piombare sulle nostre coste meridionali.
    Dopo che il governo ha varato 2 spedizioni umanitarie Maroni ridimensiona a 50mila migranti lo “scenario peggiore” di arrivi dal nord-africa.

    Nessuno dice con quali mezzi e in quanto tempo dovrebbe compiersi la temuta “invasione”. Stando agli arrivi ci vorranno almeno altri 2 anni prima che si compia siffatto “presagio”.

    Le spedizioni umanitarie arriveranno in tempo a fermare la “marea” di clandestini? Comparirà all’orizzonte di Lampedusa una flottiglia di 600 barconi carichi di migranti? Non importa il balletto dei numeri.
    L’importante è l’effetto “allarme”.
    Cavalcando la paura nel paese del Barbiere e il Lupo si fanno fare cose davvero strane …

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