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La rivoluzione digitale e la schematizzazione del dissenso

« Possiamo comprendere l’impatto sociale dello sviluppo di nuove reti di comunicazione e informazione solo se mettiamo da parte l’idea intuitivamente plausibile secondo cui i mezzi di comunicazione servirebbero a trasmettere contenuti simbolici, ma lasciando le relazioni tra individui fondamentalmente immutate. Dobbiamo riconoscere, invece, che l’uso dei mezzi di comunicazione implica la creazione di nuove forme di azione e interazione nel mondo sociale, di nuovi tipi di relazioni, e di nuovi modi di rapportarsi agli altri e a se stessi. ››

(Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità) 

Qualsiasi scelta reca con sé delle conseguenze. Al di là dell’impatto che una decisione può produrre, ogni atto umano è tale in quanto detiene la capacità di generare reazioni da parte di chi ascolta. Prendendo per vero tale assunto di base, secondo quali direttive l’apparato informativo conferisce un’impostazione coerente al ruolo sociale che è tenuto a ricoprire? Nell’epoca dell’informazione istantanea e multimediale emerge con chiarezza la propensione da parte del sistema informativo di creare indirizzi di pensiero prestabiliti, all’interno dei quali far confluire filoni di interpretazioni precostruiti.

J. Thompson in “Mezzi di comunicazione e modernità” (1998), nel tentativo di delineare un quadro rappresentativo della realtà informativa esistente nelle nostre società, giunge all’elaborazione del concetto di “quasi-interazione mediata“. Trattasi di un approccio inedito largamente diffuso in gran parte dei mass media che reca con sé innovazioni capaci di capovolgere l’approccio unilaterale che da sempre ha caratterizzato il sistema informativo occidentale.

Tale interazione, mediante l’utilizzo del progresso digitale, della condivisione di contenuti multimediali e dell’espansione di nuove tecnologie consente il capovolgimento del tradizionale paradigma informativo unidirezionale, generando un apparato comunicativo che vede il protagonismo degli utenti, i quali si spogliano del ruolo passivo che ha sempre caratterizzato il pubblico dei mass media e adottano una funzione più attiva nel processo di informazione di massa.

Tale processo se da un lato viene presentandosi come il conferimento di una forma di pluralismo a vantaggio della massa di ascoltatori e utenti dei media, dall’altro reca con sé una serie di criticità proprie della rivoluzione digitale e della natura del sistema informativo occidentale. Il cambiamento di cui si fa promotore tale approccio si esplica mediante il mutamento da un approccio tradizionale fortemente centralizzato ad un’innovativa struttura comunicativa reticolare caratterizzata da una forte pervasività lungo le sue venature, capace talvolta di influenzare l’opinione pubblica e di offrire una narrazione degli eventi non in linea con la realtà. All’opinione pubblica viene conferita dunque l’illusoria possibilità di divenire il centro di tale processo, nella convinzione di esser partecipe e protagonista del più ampio processo informativo. Talvolta il dissenso, per via della sua naturale necessità di essere espresso, viene incanalato in direzioni previste e precostituite.

Alla luce di tale necessità, l’industria dell’elaborazione dell’opinione pubblica mette in campo diverse strategie di produzione di interpretazione della questione pubblica. Tale dimensione è finalizzata in ultima analisi alla capitalizzazione del dissenso, intesa come monetizzazione dell’insoddisfazione del pubblico rivolta alle quesioni di pubblico dominio. Le condizioni sociali dei nuovi paradigmi comunicativi offrono panorami relazionali che, seppur inediti, rispecchiano i tradizionali rapporti di forza esistenti nelle comunità occidentali. In tale ottica, l’apparato informativo altro non è che una diversa codificazione dei rapporti di potere.

« Il potere non unifica e non livella le differenze né verso l’alto, né verso il basso; il potere divide e oppone. Il potere è nemico giurato e soppressore della simmetria, della reciprocità e della mutualità ›› (Z. Bauman, Le sorgenti del male, 2013). 

Foucault riteneva che la più generale concezione di potere dovesse essere ripensata come una serie di rapporti e di conflitti perpetui mirati ad accumulare quote sempre maggiori di egemonia. Trattasi di un processo contrassegnato da indirizzi di lotta perpetua, alla luce dei quali la stessa pace non può che essere interpretata come una sorta di guerra silenziosa. Al netto di tali considerazioni, è facile immaginare come qualsiasi atto informativo sia mirato ad alimentare tali contrasti, nella direzione della più ampia lotta per il potere. Lotta che necessita di esprimersi anche mediante il sistema informativo. Marcuse in “L’uomo a una dimensione” ritiene che il capitalismo sia riuscito a contenere le sue contraddizioni, i suoi squilibri e le sue diseguaglianze mediante l’elaborazione di un sistema sociale pervasivo dotato di una sistematica eliminazione del pensiero critico. In tale contesto di “desublimazione repressiva” il pensiero umano viene sostituito da sistematiche strategie di intrattenimento e disinformazione. Gli studi sulla sociologia della comunicazione annoverano diverse tecniche relative all’approccio informativo di massa. In particolare, due specifiche strategie emergono nel più ampio spettro dell’economizzazione dell’insoddisfazione sociale. La prima riguarda la saturazione comunicativa, consistente in un’offerta perenne e sistematica di informazioni mirate al sovraccarico dell’attenzione individuale. La saturazione concentra in sé un numero assai elevato di notizie al fine di distogliere la concentrazione su determinati avvenimenti. Il numero ingente di news offerte su argomenti talvolta ritenuti “superflui” viene elaborato nell’intento di attirare l’attenzione su un versante parallelo ai nuclei di informazione più scomodi o soggetti ad “insabbiamento“. La seconda strategia è la creazione di pilastri di interpretazioni fra loro contrari, mirati alla creazione di un’antinomia fra filoni di opinioni elaborate dai mass media sulla base delle tematiche più popolari. La creazione di contrapposizioni di opinioni pre-elaborate segue la direzione della manipolazione del giudizio, secondo cui tali pilastri di interpretazioni devono necessariamente essere distanti da una presa di coscienza della problematica reale. La costruzione di un’impalcatura di giudizio dell’opinione pubblica deve adempiere alla creazione delle condizioni necessarie a distogliere l’attenzione della massa di ascoltatori. In tale contesto, ai fini del consolidamento delle opinioni dominanti, si possono collocare interventi mediatici quali la presa di posizione di personaggi famosi al grande pubblico, campagne mediatiche e pubblicitarie, flash mob.

Ai fini della nostra analisi, per comprendere la genesi del dissenso è utile fare riferimento alle tesi sulla “disobbedienza civile” di Hannah Arendt ove notiamo come tale disobbedienza, al contrario della disobbedienza rivoluzionaria, sia mirata alla messa in campo di manifestazioni aventi l’obiettivo di contestare determinate questioni, le quali possono essere espresse individualmente senza necessariamente far riferimento a istanze rivoluzionarie. Il rischio della nozione arendtiana della disobbedienza risiede nel fatto che, pur rimanendo nella dimensione della contestazione, il dissenso, esprimendosi talvolta individualmente e senza particolari ambizioni rivoluzionarie, può sfociare in un mantenimento dello status quo e nel suo rafforzamento. Ed è in tale ottica che si inserisce la moderna comunicazione di massa, ove cioè la possibilità di contestare risulta fine a sé stessa nella misura in cui tutte le spinte di dissenso spontaneo vengono interiorizzate dalle medesime dinamiche produttrici della contestazione, le quali mantengono il loro potere e conferiscono sistematicamente al pubblico un elementare quota di partecipazione al dibattito pubblico. 

« Questa società cambia tutto ciò che tocca in una fonte potenziale di progresso e di sfruttamento, di fatica miserabile e di soddisfazione, di libertà e di oppressione. ›› (Herbert Marcuse, La tolleranza repressiva, 1968). 

Stuart Hall, caposcuola dei Cultural Studies britannici, mediante una prospettiva di ispirazione marxista, sostiene che i moderni media permettono l’emergere di un foro pubblico in cui vengono discussi i problemi della società, ma che tuttavia esso può venire abilmente controllato e manipolato per rispondere agli interessi di specifici settori posti al vertice della stratificazione sociale. È chiaro dunque che il panorama informativo relativamente alla soglia di progresso a cui giunto palesi innumerevoli contraddizioni. L’apparato informativo va inteso come una sovrastruttura collocata al vertice dei nostri sistemi sociali. Da esso si diramano le nostre opinioni, punti di vista e osservazioni. Supporre l’assenza di contrasti e di lotte finalizzate alla conquista di quote di potere da parte dei soggetti che operano al suo interno è quanto mai utopico. L’industria informazionale, forte della sua natura unidirezionale, seppur mascherata da un pluralismo irrisorio, necessità di essere inquadrato nel più ampio dibattito sul potere e sui rapporti di forza esistenti all’interno della società. «La prima condizione necessaria per godere la libertà è la conoscenza di sé stessi, e tale auto-conoscenza è impossibile senza l’auto-confessione ›› (Karl Marx, Dibattiti sulla libertà di stampa, 1842)

 

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