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La pulizia etnica in Myanmar: la tattica degli incendi per cacciare i rohingya

Dal 25 agosto, dopo gli attacchi del gruppo armato Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Asra) contro una serie di posti di blocco della polizia, la violenza della rappresaglia dell’esercito di Myanmar ha costretto 379.000 persone a lasciare lo stato di Rakhine per cercare riparo nel vicino Bangladesh. Si tratta, in quasi tutti i casi, di appartenenti alla perseguitata minoranza rohingya.

Da quel giorno, nei villaggi abitati dai rohingya, sono stati appiccati oltre 80 incendi. Il governo si difende sostenendo che – non si capisce per quale motivo – sarebbero stati i rohingya stessi a dare fuoco all’unico tetto sopra la loro testa. E, magari, anche a spararsi gli uni contro gli altri.

Analizzando i dati forniti dai satelliti, le riprese fotografiche e video dal terreno, così come decine di testimonianze oculari tanto in Myanmar quanto in Bangladesh, Amnesty International è giunta alla conclusione che da tre settimane è in corso una campagna coordinata e sistematica di incendi dei villaggi rohingya.

Il modello si presenta costantemente: le forze di sicurezza e i vigilantes circondano un villaggio, sparano alle persone in fuga e in preda al panico e poi danno alle fiamme le abitazioni, usando benzina o lanciarazzi a spalla. A volte, a testimonianza della pianificazione degli attacchi, le autorità locali hanno avvisato i villaggi che le loro case sarebbero state date alle fiamme.

A Kyein Chaung, nei pressi di Maungdaw, secondo il racconto di un uomo di 47 anni, l’amministratore del villaggio ha radunato i rohingya e li ha informati che l’esercito avrebbe potuto di lì a poco dare fuoco alle loro abitazioni, incoraggiandoli a cercare riparo fuori dal villaggio lungo la riva del fiume. Il giorno dopo, 50 soldati hanno circondato il villaggio e sono entrati, dirigendosi verso i rohingya sulla banchina e sparando contro di loro. Per chi non sapeva nuotare non sono rimaste alternative di fuga. I soldati si sono accaniti contro gli uomini, aprendo il fuoco da distanza ravvicinata e accoltellando chi non era riuscito a fuggire.

Un uomo del villaggio di Pan Kyiang nella zona di Rathedaung ha raccontato la stessa scena. La mattina del 4 settembre i soldati sono arrivati insieme all’amministratore del villaggio: “Ci ha detto che sarebbe stato meglio andar via entro le 10 del mattino poiché dopo sarebbe stato incendiato tutto”. Mentre i suoi familiari si preparavano a lasciare il villaggio, ha visto quella che ha descritto come “una palla di fuoco” incendiare la sua abitazione. Altri abitanti che si erano nascosti in una risaia hanno visto i soldati dare fuoco alle case usando probabilmente dei lanciarazzi.

Gli incendi sono mirati. Le immagini dal satellite del villaggio di Inn Din, in una zona etnicamente mista a sud di Maungdaw, mostrano chiaramente che nella zona abitata dai rohingya le abitazioni sono state incendiate e che altrove sono rimaste intatte.

Nella stessa Maungdaw, i quartieri abitati prevalentemente dai rohingya sono stati dati alle fiamme, diversamente da quanto accaduto in altre zone della città che non sono abitate dai rohingya.

Per dare un’idea della dimensione dell’esodo, il numero dei rifugiati rohingya che ha lasciato Myanmar è superiore a quello degli arrivi via mare in Europa nel 2016.

Considerando che tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017, a seguito di una precedente offensiva militare, erano fuggite in Bangladesh circa 87.000 persone, non è esagerato affermare che in meno di un anno quasi mezzo milione di rohingya si è rifugiato in Bangladesh.

In tutto i rohingya sono poco più di un milione. Se non è pulizia etnica questa…

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