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La partecipazione politica: gli spoliticizzati

Il primo blocco che prendiamo in considerazione sono “quelli che non partecipano” o che partecipano molto poco e che vivono oltre i margini della partecipazione politica. Non leggono, non si informano, non partecipano ad alcuna manifestazione anche indirettamente politica, in teoria, non dovrebbero neppure votare. Sono gli spoliticizzati. Che peraltro si dividono in diversi tipi.

In primo luogo gli “antipolitici”: quelli convinti che il male sia la politica in quanto tale, il cui unico scopo reale è soddisfare la sete di potere e di danaro dei politicanti di mestiere. I politici di professione tutti (che si tratti di uno statista come Cavour o dell’ultimo parlamentare che ha cambiato partito sedici volte) sono gente che non ha mai lavorato, che vanta uno pseudo specialismo inesistente utile solo al loro “particulare”.

I problemi di una società non sono mai difficili in sé e c’è sempre una soluzione di buon senso semplice da adottare, sol che lo si voglia, ma a fare le cose difficili e complicate sono i politici per difendere il proprio ruolo.

Cavalli di battaglia dell’anti-politica sono le tasse e la corruzione: le tasse sono alte perché i politici rubano e i politici, per rubare, alzano più che possono la pressione fiscale. 
L’antipolitico, va da sé, non ha alcun senso dello Stato, che vede solo come una macchina mangiasoldi. In generale gli anti politici hanno un approccio elementare ed iper-individualistico.

In teoria, gli antipolitici preferiscono astenersi in occasione delle elezioni, ma spesso votano per quello che gli pare il meno peggio (quello che promette di ridurre le tasse, l’amico personale, quello che esibisce più ostilità verso ogni nuovo intervento statale eccetera).

In qualche caso, però, possono paradossalmente partecipare alle elezioni con una loro lista dichiaratamente anti politica: ad esempio l’Uomo Qualunque che ebbe un discreto successo nelle elezioni del 1946 sbandierando l’idea di uno stato puramente amministrativo, gestito da “un ragioniere che presenti i conti al 31 dicembre e non sia rieleggibile per nessun motivo”.

Anche il fascismo utilizzò molto la chiave dell’anti politica (intesa soprattutto come anti parlamentarismo) salvo poi, una volta giunto al potere, esercitare una dittatura marcatamente iper politica. Gli antipolitici realizzano il paradosso degli attivisti dell’anti politica.

Parzialmente diversi sono gli ipo-politici e rubiamo il termine a Giovanni Orsina che lo ha elaborato nel suo libro “Il berlusconismo” (2013). Grosso modo, gli ipo politici dovrebbero essere la variante moderata dell’anti politica, ma, in realtà non esiste una linea di divisione precisa e spesso uno stesso cittadino può oscillare fra un atteggiamento e l’altro.

Come gli anti politici, l’ipo politico pensa che la politica sia “complicata” dai politici di professione, tutti ladri ed assetati di potere, ma lo pensa con maggior moderazione e con maggiore passività: non vede la politica come un male in sé, ma a condizione che essa si limiti agli interventi strettamente necessari e non coltivi alcun particolare disegno di grandezza. 
L’ipo-politico reagisce con fastidio ed ostilità ai tentativi della classe politica di educarlo alla partecipazione democratica, ma non vuole una società senza politica. Vuole una politica in tono minore e, soprattutto, che rinunci ad ogni vocazione pedagogica nei suoi confronti. Più che anti-politico, è refrattario alla politica come qualcosa che lo distrae dalle sue occupazioni lavorative e familiari che sono il suo unico vero interesse.

Ma la vera discriminante fra anti politica (che è pur sempre un atteggiamento radicale e minoritario) e l’ipo politica (che, invece, raggruppa una larga fascia del popolo) è un’altra: l’antipolitico può subire la seduzione di una lista radicale anti-sistema o astenersi, mentre l’ipo-politico subirà il fascino di soluzioni anti sistema solo in momenti particolarmente drammatici.

Intervistato da una società di sondaggi, l’ipo politico, nella maggior parte dei casi, si rifugerà nel “non sa, non risponde”, deciderà il voto nell’ultima settimana (se non nelle ultime ore) ma alla fine voterà per i partiti maggiori al centro del sistema politico.

Gli ipo politici sono la vera riserva di stabilità del sistema e sono esatto contrario polare delle minoranze attive che detestano con tutto il cuore. Distratto ascoltatore dei notiziari radio televisivi, pessimo lettore di carta stampata, più attratto dall’intrattenimento che da qualsiasi impegno intellettuale, l’ipo politico è costituzionalmente ostile ad ogni mutamento e più che mai a quello più radicale nel quale sospetta il solito pericolo dell’iper politica con le sue aspirazioni pedagogiche.

L’ipo politica è l’area che più di tutte ha premiato la Dc per 40 anni e, quando ha ritirato la sua fiducia ad essa ed agli altri partiti di centro, il sistema è venuto giù. Ma l’ipo politica ha subito cercato una sua nuova espressione e l’ha trovata soprattutto in Forza Italia e, in misura minore, nel Pd. Ora è di nuovo in fase di spostamento fra Lega e M5s ed il sistema, infatti, oscilla fortemente.

Gli “impolitici” sono una sottospecie, molto diversa, situata a cavallo fra la non partecipazione e la partecipazione minore. Più che una vera e propria area essi descrivono un modo di porsi che si confonde tanto con l’ipo politica quanto con alcune forme di “partecipazione esterna” di cui diremo.

In effetti si tratta del rifiuto di qualsivoglia cultura politica con due declinazioni particolari: quella di chi ritiene che i problemi sociali si risolvono in sede economica e si affida al mercato come panacea per tutti i mali, e quella di chi riduce la politica solo all’etica, affidandosi solo alla conversione individuale degli uomini.

La politica deve misurarsi tanto con l’economia quanto con la morale, ma ha un suo spazio specifico che nessun pan economicismo o pan eticismo può sopprimere.

Aldo Giannuli

Questo articolo è stato pubblicato qui

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