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La nostra Patria

Maurizio Viroli, docente di Princeton studioso del repubblicanesimo, ha scritto su Il Fatto Quotidiano (sabato 11 settembre) un articolo pienamente condivisibile: “Ci hanno tolto la patria. Nell’incipit si legge: «Ci hanno tolto la patria, ecco quello che Berlusconi e i suoi servi hanno fatto». La frase mi ha colpito non tanto per i toni duri, quanto per la convergenza con un concetto simile che ho utilizzato per presentare Strozzateci Tutti durante il dibattito su politica e mafia (venerdì 10 settembre) tenuto al parco La Versiliana nell’ambito della festa de Il Fatto Quotidiano.

Il professore non poteva sapere che, mentre scriveva il suo articolo, dal palco di Pietrasanta il sottoscritto sosteneva una teoria affine: il nostro blog e l’omonima antologia (in libreria dal 30 settembre) sono nati come risposta ad un provocazione del Capo del Governo per dimostrare che chi scrive di mafie non rovina l’immagine del Paese, ma soffia sulla cenere della rinascita civile.

Se c’è qualcuno, ne sono sempre più convinto, che sta abbattendo giorno dopo giorno la dignità della nazione è proprio il signor Berlusconi e i suoi «servi» (il cavallo di Caligola avrebbe governato meglio).

Chi denuncia le italiche distorsioni mafiose ha sicuramente a cuore le sorti della Patria più di chi, con il sorriso stampato sulle labbra, racconta barzellette sull’omertà, difende pubblicamente un condannato in secondo grado per mafia (amico fraterno e fondatore del suo partito), sminuisce la pervasività della criminalità organizzata e ruba alla magistratura e alle forze di polizia il merito di aver condotto brillanti operazioni di contrasto per bieco calcolo politico.

Avete letto bene ho scritto Patria con la P maiuscola. Se qualcuno considera retorica questa mia affermazione, beh gli rispondo senza indugio: meglio la retorica che la demagogia populistica. Mangano non è il mio eroe!

La Patria, quella che ho imparato ad amare, si fonda sul sacrificio di donne ed uomini che hanno lottato contro stranieri, tiranni, estremisti politici, stragisti di stato e mafiosi violenti per affermare dall’Ottocento ad oggi la libertà della nazione nell’unità territoriale. E’ il gap rispetto ai “grandi” del mondo è il frutto di una partitocrazia senza anima civile che ha permesso all’Italia di trasformarsi in quello che i criminologi chiamano Stato-mafia. La politica stessa ha assunto le modalità del “metodo mafioso”: minaccia, intimidisce, vendica, collude, tutela interessi personali, fa affari sporchi ed è omertosa. Ha inquinato il corpo vivo del Paese dal potere centrale ai comuni, fagocitati dalle mille mafie locali.

Nel centenario dell’Unità dobbiamo rilevare, purtroppo, che i diritti gravosamente conquistati con la Resistenza vengono minacciati da una casta che, paradossalmente, può governare grazie alle libertà garantite dalla tanto deprecata Costituzione. I diritti ci sono e devono rimanere. Ciò che manca è una cultura comunitaria del dovere. La Repubblica funziona se ognuno di noi sente il dovere di farla funzionare. Da questo punto di vista uomini come Libero Grassi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Beppe Montana, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Ninni Cassarà, Marcello Torre, e con loro tutte le vittime innocenti delle mafie, non sono eroi ma cittadini repubblicani che non si sono sottratti al loro dovere istituzionale e professionale.

Senza una nuova classe dirigente che coniuga diritti e doveri saremo destinati a rinunciare alla Patria. Perciò ha ragione Viroli quando scrive: «Oggi, per ritrovare la patria, bisogna liberarci di Berlusconi e della sua corte».

Marcello Ravveduto
StrozzateciTutti.info

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