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La mossa del cavallo - C’era una volta Vigata: su Rai1, il film con Michele Riondino

La Rai, forte del successo della fiction dedicata a Fabrizio De Andrè, si appresta a calare un altro asso della manica. Stiamo parlando di “La mossa del cavallo - C’era una volta Vigata”, il film tv, tratto dal romanzo di Andrea Camilleri e prodotto dalla Palomar, racconta le vicende dell’ispettore Giovanni Bovara (Michele Riondino), incaricato di far rispettare la tassa sul macinato. È un uomo integerrimo che finisce per scontrarsi con le dinamiche mafiose e omertose che regolano la terra siciliana.

Bovara, testimone di un delitto, si trasformerà in imputato e, grazie alla “mossa del cavallo”, come rimanda il titolo del film, che in questo caso è il recupero del dialetto, si salverà da una trappola micidiale .

L’attore è un volto noto al pubblico, per aver interpretato il giovane Montalbano e, con Luca Zingaretti, sembrano esserci delle affinità. Il film, come la fiction, sono tratti da romanzi di successo di Andrea Camilleri. «È stato divertente tornare indietro nel tempo. Ci sono diversi elementi che riportano a Montalbano, e dal momento che l’autore è Camilleri anche in “La mossa del cavallo” , c’è una radicata connotazione territoriale. Camilleri ha creato Bovara siciliano di nascita e genovese di adozione. E nella storia saranno proprio le sue radici siciliane a salvarlo da una trappola ordita ai suoi danni», afferma Michele Riondino.

«Il film è ambientato a fine ’800, gli anni dell’Unità di Italia, ma i settentrionali e i meridionali sono ancora due popoli diversi. Bovara arriva in Sicilia con in testa i racconti sui siciliani: briganti, incolti, ignoranti. E lui piomba lì con l’intenzione di far rispettare la legge. È supponente e non fa niente per nasconderlo. I siciliani, d’altro canto, non fanno niente per nascondere l’antipatia che provano nei suoi confronti. La storia comincia così».

Ma, a poco a poco, le sue origini cominciano a emergere. E sarà proprio il suo ritorno alle radici a salvarlo.

Il film tv, dalle ambientazioni, sembra ricalcare le atmosfere dei western. «Il regista Gianluca Tavarelli è stato coraggioso e intelligente: il film non è esattamente un western, perché parliamo della Sicilia. Però, l’epoca è quella, e il sapore, il colore, i suoni richiamano quelle atmosfere».

«In un film storico diventa tutto speciale. Lavori su una maschera, dietro alla quale riesci a nasconderti, e per uno timido quasi patologico come me è il massimo. Tra i personaggi, però, il mio è il più “sfortunato”, perché è quello più “pulito” e composto. Sul set, vedevo gli altri sporchi e con le barbe incolte e li invidiavo, perché volevo essere brutto e cattivo anch’io!», conclude l’attore.

 

 

 

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