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La morte sul lavoro si è prescritta

Mentre il Governo dei tecnici è impegnato a discutere la riforma del lavoro, ancor prima che venga varata, l’articolo 1 della Costituzione viene sospeso per l’ennesima volta.

 

Antonio D’Amico è morto nello stabilimento Fiat di Pomigliano il 6 marzo del 2002. E’ stato schiacciato da un muletto guidato dall’ultima ruota del carro dell’ingranaggio: un precario. Il ragazzo guidava ad un velocità superiore ai 6 km orari, aveva la visuale coperta perché trasportava due contenitori con lamiere che superavano l’altezza consentita dalla legge di un metro e sessanta.

Quando è avvenuto l’incidente sul posto c’era anche Rosario, il figlio di Antonio. Rosario conosce bene i tempi le dinamiche del lavoro: si stava producendo la nuova Punto, bisognava sbrigarsi, altrimenti si chiude e il lavoro viene delocalizzato. Allora se le cose stanno così si chiude un occhio, forse anche due, chi guida il muletto non ha il patentino ed è senza formazione. Il giovane precario durante il processo si è accollato tutta la colpa (come se la responsabilità di non essere formato sia la sua) ed in primo grado è stato condannato a poco più di un anno.

La Fiat ricorre in appello chiedendo l’annullamento del processo, la Fiat non è difesa da un avvocato qualunque, ma dal Presidente dell’ordine degli Avvocati della regione Campania. I familiari di Antonio si appellano a chiunque, perfino al Presidente della Repubblica che li onora con la medaglia al lavoro.

Il processo va avanti con altre testimonianze, altro dolore e tanta speranza per chi resta affinché la verità possa emergere. Sul cammino incontrano un PM comprensivo, giusto o che semplicemente fa il proprio lavoro e chiede che la pena venga raddoppiata.

Esattamente dopo dieci anni il processo si conclude e si conclude come ci ha abituato il dittatore degli ultimi diciassette anni. I colpevoli ci sono, ma restano impuniti: il reato si è prescritto!

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