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La “mission impossible” di Angelino e Giulio

Dopo le recenti disavventure il PdL cerca di correre ai ripari nominando Alfano alla segreteria e “strattonando” Tremonti sul fisco, ricevendo per questo consensi dal vertice, qualche mugugno fra i colleghi e molte perplessità fra i commentatori politici. E anche noi, semplici uomini della strada, abbiamo le nostre.

Questa volta non si tratta di un film d’azione anche se la similitudine potrebbe essere calzante. L’obiettivo dichiarato è infatti quello di ridare smalto al partito dopo le recenti debacle di elezioni e referendum attraverso due mosse ad effetto. Diversa organizzazione e riforma fiscale. E Alfano, i numeri per fare bene li ha tutti, anzi è proprio l’uomo perfetto per questo ruolo. Ha un’esperienza politica importante maturata in ambienti democristiani, ha frequentato personaggi per così dire poco puliti, questo almeno dicono “La Repubblica” e “Wikipedia”, e poi è un fedelissimo del Cav, un “libero servo” come dice Ferrara, attitudine che ha ampiamente dimostrato durante il mandato di Ministro della Giustizia promulgando i famigerati provvedimenti “ad personam” a favore del Presidente e manifestando, al contempo, il massimo disinteresse per la cosa pubblica, per la giustizia che riguarda i cittadini comuni insomma. Massima ubbidienza quindi, devota e assoluta, la stessa ubbidienza che Galli della Loggia sul “Corriere” identifica come causa principale della mediocrità imperante del direttivo del PdL. In altre parole un curriculum perfetto. 

E ancora sul “Corriere” è lo stesso Alfano ad indicare i punti su cui lavorerà ripetendo, quasi a memoria, ciò che il Cav. aveva già precedentemente fatto capire. Non sarà in altre parole un lavoro di facciata, ma non sarà neppure una rivoluzione, piuttosto una evoluzione. D’altro canto, continua Alfano, le cause del disastro sono da attribuirsi alla normale sfiducia verso l’esecutivo di governo impegnato ad arginare la forza travolgente della crisi mondiale, in copione già noto anche in altri paesi, il resto, aggiungiamo noi riassumendo i commenti dei più autorevoli esponenti del partito, è solo discredito dei media, cattiva comunicazione, candidati sbagliati, stupidità degli elettori e perfino la guerra di Libia.

Ma questa volta qualcosa è cambiato davvero, i cittadini hanno, per così dire, “mangiato la foglia”, e gli ultimi quindici anni di palazzo Chigi hanno sviluppato il vaccino, questo è il punto, nel senso che gli italiani hanno finalmente capito che il PdL ha nel suo DNA una serie di anomalie incompatibili con la democrazia, come lo stesso Montanelli aveva evidenziato dalle colonne della “Voce” già nel 94 e come altri media internazionali hanno successivamente ribadito più volte, ricordiamo su tutti il memorabile numero dell’Economist del 2001. Anomalie, come si diceva, che si possono sostanzialmente riassumere in due punti, il conflitto di interessi che porta una persona ricca a curare i propri affari prima di quelli della collettività, e le narcisistiche smanie di potere di un “uomo dei miracoli” narcotizzato da un “ego” sfrenato, perfetto per cavalcare il populismo di mussoliniana memoria. Il PdL ruota solo ed esclusivamente attorno al suo fondatore, significante e significato del partito dove, scriveva ancora Montanelli, “non ci sono idee, solo interessi” di un imprenditore, aggiungiamo noi, padrone assoluto della comunicazione, cioè la spina dorsale delle moderne democrazie.

Sono queste contraddizioni che hanno portato alla progressiva degenerazione del sistema, un parossismo del resto inevitabile per poter sopravvivere, ma che i cittadini hanno aborrito. E non poteva essere diversamente perché i metodi della gestione di un’impresa, così cari al Cav. sono lontani anni luce da ciò che invece è necessario nella gestione di un paese, che, guarda caso, vuole anche definirsi democratico. Se aggressività, decisionismo, opportunismo, potere, ubbidienza, scarsa trasparenza, interesse privato, annientamento della concorrenza, uso ed abuso della pubblicità possono essere accettati in ambienti imprenditoriali dove, molto spesso, il “fine giustifica i mezzi” e “chi comanda ha ragione”, in democrazia le regole si declinano in modo diverso e pretendono rispetto, moralità, mediazione, verità, etica, trasparenza, dialogo, interesse collettivo, senso dello stato, il fine insomma non giustifica assolutamente i mezzi. Mai. Per questo i cittadini non hanno gradito la delegittimazione, la violenza del metodo Boffo e Sallusti, le leggi “ad personam”, l’ossessione verso i giudici, la giustizia a due velocità, la pretesa di uno sfacciato diritto all’impunità, l’odio verso i diversi, zingari, mussulmani, omosessuali, immigrati, per non parlare poi dei comunisti e forse anche gli ebrei. E non hanno gradito neppure la caduta della politica divenuta uno sguaiato insieme di spot pubblicitari, sensazionalismo, slogan venduti come un detersivo da imbonitori pronti a qualunque mercimonio pur di salvaguardare nepotismo e interessi personali. Tutto questo per nascondere la pochezza della realtà.

Ma, caro Angelino, per raddrizzare la rotta ci vuole ben altro che una semplice “evoluzione”, non sono sufficienti le moltitudini osannanti del popolo dell'amore al grido di "menomale che Silvio c'è" e, ormai vaccinati, anche noi, semplici “uomini della strada” siamo in grado di distinguere chiaramente la mistificazione dalla realtà, nonostante la propaganda asfissiante della “piovra mediatica”. Forti di questa “corazza” non crediamo neppure all’ennesima bugia della riforma fiscale che, seppur controvoglia, Tremonti sta studiando. Da anni paventata, annunciata, propagandata è sempre stata la Cenerentola delle riforme, comunque mai realizzata, anzi in verità neppure seriamente proposta, nonostante la palese immoralità della situazione attuale, come già più volte affermato dallo stesso Tremonti. E non per caso, ma per preciso calcolo politico, perché recuperare l’evasione fiscale, vero obbiettivo della riforma, significherebbe “penalizzare” quella parte di elettorato in maggioranza orientato a destra, significherebbe impedire il saccheggio nei confronti di un pezzo onesto del paese, i lavoratori dipendenti, per far pagare chi ruba.

L’evasione fiscale infatti, 50 miliardi di euro nel solo 2010, dice la Guardia di Finanza, e per giunta in aumento del 46% rispetto all’anno precedente, si annida nel malaffare di piccoli imprenditori, artigiani, professionisti, autonomi, titolari di partite iva, parassiti che sfruttano i lavoratori da 1000 euro al mese, i giovani, le donne, gli immigrati, i precari caricandoli di parte della tassazione di loro competenza, con l’avvallo, anzi la complicità dello stato. Un gigantesco malaffare giustificato, secondo i rappresentanti delle categorie, dalla eccessiva pressione fiscale, dallo spreco della politica, dalla burocrazia, e da ogni altra possibile scusa ma di fatto spiegato dalla convenienza politica nel mantenere l’immensa “cricca” divenuta ormai a tutti gli effetti soggetto socio politico di riferimento, componente irrinunciabile dell’equilibrio del sistema. Per questa ragione, se la riforma si farà, saremo di fronte all’ennesima invenzione di finanza creativa, una complessa operazione di gattopardiana memoria per evitare di “punire gli amici”, cosa, come detto, con conseguenze inevitabili nel seggio elettorale.

E non si dica che l’evasione è difficile da snidare. Lo stesso Tremonti ha suggerito a suo tempo il rimedio e, qualora la memoria gli facesse difetto, gentilmente ricordiamo che basterebbe spostare le tasse dal lavoro sui beni e sulle rendite e al contempo predisporre un adeguato sistema di sgravi sulle spese, per recuperare oltre la metà del sommerso. Provvedimenti che si potrebbero fare in un mese anche con un parlamento sonnacchioso come il nostro, sabati e domeniche inclusi naturalmente, basta volerlo. Perfino Confindustria è d’accordo, brilla invece per assenza il sindacato, specialmente la CGIL, impegnata com’è nella lotta ideologica contro i mulini a vento della globalizzazione, così, per difendere l’assenteismo, qualche minuto di pausa ed una manciata di euro si presta alla razzia legalizzata del già magro stipendio da parte del fisco, proprio senza battere ciglio. Ma la valanga è ormai partita, “il divorzio” dal paese, come dice Bersani, è consumato e, come ebbe a scrivere N. Ginsburg “l'Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi …. e tuttavia, per le strade, si sente circolare l'intelligenza, come un vivido sangue”. E questo è proprio quello che sta succedendo, finalmente.

Claudio Donini per www.alfadixit.com

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