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La mappa mafiosa della fascia tirrenica del messinese nella Relazione annuale della Dna

«Può ritenersi dimostrato che la mafia “barcellonese” presenta una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quella di Cosa nostra palermitana.»

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Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto - foto di cCarmelo Catania

Era stato già il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte, ad evidenziarlo nella conferenza stampa dell’operazione Gotha 6, il concetto viene ribadito ulteriormente nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo a cura, per il distretto di Messina, della dottoressa Eugenia Pontassuglia.

Il territorio della “fascia tirrenica”, da Mistretta a Barcellona Pozzo di Gotto, si legge nella relazione, si caratterizza per il “controllo virtualmente totalizzante dell’economia”, ad opera delle famiglie mafiose di Tortorici, Mistretta e Barcellona.

Un controllo “pieno ed incondizionato” soprattutto nel settore degli appalti pubblici che, per anni, ha costituito il principale obiettivo della mafia “barcellonese” come è stato sancito da numerose sentenze della magistratura.

Il procedimento “Gotha”, in particolare, ha dimostrato l’interesse della famiglia barcellonese per tutte le opere pubbliche realizzate in provincia, a partire dagli anni novanta, come il raddoppio della linea ferroviaria Messina-Palermo, il completamento dell’autostrada Messina-Palermo, i lavori di realizzazione del metanodotto, la realizzazione di alcuni parchi eolici e la ristrutturazione di alcuni centri storici.

Organizzazione mafiosa molto spesso supportata in questo suo illecito business da diversi imprenditori messinesi, sia con un’attività di riciclaggio di capitali provenienti da gruppi mafiosi sia con l’aggiudicazione, attraverso il metodo mafioso, di importanti appalti e commesse pubbliche. Le indagini nei confronti di questi “colletti sporchi” hanno attestato che le “imprese mafiose” del messinese operano principalmente nei settori degli appalti pubblici, dell’edilizia, dello smaltimento dei rifiuti e della gestione delle attività commerciali.

Oltre che ad infiltrarsi negli appalti pubblici, la criminalità organizzata interviene sulla realtà economico-sociale attraverso i “tradizionali” sistemi delle estorsioni, dell’usura e del traffico di stupefacenti.

Come evidenziato dalle indagini non c’è tipologia di attività economiche, anche minori, immune dal racket.

L’odiosa pratica del “pizzo” è funzionale infatti all’organizzazione mafiosa, non solo per sostenere economicamente gli affiliati e i familiari dei carcerati ma, soprattutto, ad un controllo capillare del territorio senza la necessità di dover ricorrere a dimostrazioni violente.

Secondo un documentato studio della Fondazione Chinnici, segnalato dal dottor Lo Forte, il costo economico-sociale del racket costa alla Sicilia 1,3 punti percentuali del PIL e le tangenti richieste nella provincia di Messina, superando la soglia media dei 400 euro corrisposta dai commercianti al dettaglio di Catania, Siracusa e Palermo, sono le più elevate della regione.

Il racket tuttavia non si esaurisce nel “costo aggiuntivo” per gli imprenditori e i commercianti, trasferito di riflesso anche sui consumatori.

La percezione dell’insicurezza caratterizza il sistema economico disincentivando la creazione di nuove imprese e scoraggiando quanti operano già nel settore dall’espandere la propria attività commerciale. L’imprenditore sceglie di non espandere la propria attività pur avendone i margini e le potenzialità, per non attrarre l’interesse dell’organizzazione criminale, creando così un ostacolo allo sviluppo e favorendo il declino dell’economia messinese.

La relazione della dottoressa Pontassuglia – sulla base dei dati emergenti dalle indagini e dalle decisioni giudiziarie – evidenzia inoltre "un’area grigia" della società costituita da elementi o gruppi che, pur non facendo parte integrante delle organizzazioni mafiose, hanno stabilito con esse contatti, collaborazioni, forme di contiguità più o meno strette.

Naturalmente l’esistenza di questa “zona grigia” non è la causa ma l’effetto di uno sviluppo economico inquinato e inquinante: inquinato dalla criminalità organizzata e a sua volta inquinante di componenti della società di per sé estranee alla criminalità organizzata.

Anche nella provincia di Messina, come in altre zone del Mezzogiorno, la illegalità “mafiosa” si combina quasi sistematicamente con almeno altre due forme di illegalità: lo scambio occulto, connesso ai reati di corruzione e concussione, e la c.d. “legalità debole”, vale a dire l’inefficacia o la distorsione di norme rilevanti per l’attività economica, diverse da quelle di diritto penale (regole stabilite in materia ambientale, previdenziale, lavoristica, commerciale, fiscale, urbanistica, e così via).

Alcune indagini hanno rivelato come, in alcuni casi, l’organizzazione abbia potuto contare sull’appoggio concreto del soggetto di vertice di un’amministrazione comunale1.

L’attività investigativa, insieme al determinante contributo fornito da collaboratori di giustizia, ha confermato un dato ricorrente, l’esistenza di un settore particolarmente sensibile alle infiltrazioni della criminalità organizzata: quello degli uffici tecnici di quei Comuni – nel cui territorio insiste il “pervasivo controllo del sodalizio criminoso” – retti da pubblici impiegati infedeli.

Le indagini svolte nell’ambito del procedimento "Gotha 3", ad esempio, hanno evidenziato che il geometra Roberto Ravidà, impiegato presso l’Ufficio Tecnico del comune di Mazzarà Sant’Andrea(di recente sciolto per infiltrazione mafiosa), era soggetto “a disposizione” dei "barcellonesi".

Ravidà, in virtù dell’ufficio pubblico ricoperto, oltre ad “orientare” l’aggiudicazione di appalti per opere pubbliche da realizzarsi in quel comune in favore di imprese riconducibili al boss barcellonese "Sem" Di Salvo e, comunque, all’organizzazione, era solito segnalare a quest’ultima imprese da taglieggiare, ricevendo, quale contropartita, somme di danaro e benefici di vario genere.

Del pari significative appaiono le risultanze di altra indagine volta far luce su eventuali condizionamenti della criminalità organizzata “barcellonese”, attraverso il gruppo dei "mazzarroti", su esponenti della pubblica amministrazione, in merito alla gestione dei lavori per la realizzazione dell’impianto eolico denominato “Alcantara-Peloritani” nei comuni di Fondachelli Fantina, Antillo e Francavilla di Sicilia, che lasciavano emergere un complesso intreccio politico-mafioso nella gestione dei suddetti lavori consentendo di identificare, tra i protagonisti principali della vicenda, oltre ad alcuni imprenditori ritenuti contigui al gruppo criminale dei “barcellonesi” (tra i quali Michele Rotella e Santino Bonanno2), anche l’allora sindaco del comune di Fondachelli Fantina, Francesco Pettinato, il cugino, Giuseppe Pettinato, titolare di una società che aveva ottenuto parte dei lavori, e un tecnico comunale, Giuseppe Catalano, che lo aveva favorito.

Nella città di Messina, invece, l’intenso lavoro che la Procura sta portando avanti, attraverso la ricostruzione degli assetti delle varie organizzazioni criminali operanti in città e delle zone di rispettiva competenza, ha fatto emergere, nell’ambito di procedimenti ancora coperti dal segreto istruttorio, chiari legami esistenti tra la mafia locale ed esponenti pubblici, anche con riferimento alla compravendita dei voti.

Pur confermando la presenza di un’area grigia della società messinese costituita da elementi o gruppi che – pur non essendo parte integrante delle organizzazioni mafiose, – stabiliscono con esse contatti, collaborazioni, forme di contiguità più o meno strette, in vari segmenti delle istituzioni, la relazione evidenzia che, sebbene in talune indagini, si siano rilevati contatti impropri, caratterizzati da scambio di favori, tra imprenditori in “odore di mafia” e appartenenti ad amministrazioni pubbliche, l’assenza di un apporto dichiarativo di collaboratori, unitamente, alla difficoltà di individuare le singole controprestazioni poste dal funzionario infedele a disposizione dell’imprenditore colluso (e, tramite costui, a un gruppo mafioso di riferimento, compiutamente individuabile), non ha consentito di acquisire elementi di prova idonei ad inquadrare tali condotte entro lo schema del concorso esterno in associazione mafiosa.

1L’ex sindaco del Comune di Furnari, Salvatore Lopes, è attualmente imputato innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, per il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa, nel processo c.d. Torrente.

2Quest’ultimo, di recente, condannato in primo grado dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto a 7anni di reclusione, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

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