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La guerra contro il coronavirus sta diventando una guerra contro la democrazia

Un Paese che dice di essere in guerra, la prima cosa che deve fare è procurare ai soldati che sono al fronte le strumentazioni necessarie per combatterla questa guerra.

Ed il tempo l'Italia di prepararsi a questa guerra l'aveva. Da quando sono emersi i primi casi di coronavirus in Italia, visto quanto era accaduto in Cina, ci si è mossi a macchia di leopardo e con lentezza. Una guerra tra regioni e Stato, quando fin dall'inizio si era capito che andava trattato tutto in modo omogeneo, come emergenza nazionale e non regionale,ma così non è stato.

Altro che solidarietà ed unità nazionale. Ognuno per la propria strada, cosa che sta continuando in modo scandaloso ancora oggi.

Gli ospedali dovrebbero essere i luoghi più sicuri, ma sono i luoghi dove ci si sta infettando, si va verso il 10% di operatori sanitari contagiati. Mandati al fronte in tantissimi casi a mani nude. Questo è successo. E non sono gli unici.

Perché nella maggior parte dei casi del mondo del lavoro, ci si è mossi con estremo ritardo. I lavoratori, che siano dei servizi essenziali, che siano del privato, sono stati esposti più di chiunque altro a dei rischi di contagio. Ed il sistema, in tutto ciò, cosa fa?Utilizza gli imbecilli, che prestano sicuramente il fianco, come alibi dei propri fallimenti, oppure, scatenano la guerra verso chi si fa una passeggiata solitaria, una corsetta solitaria.

Paradossalmente la fotografia che racconterà questa "guerra" è quella proprio del Papa mentre difende a suo modo il diritto alla passeggiata, quell'ora d'aria a cui hanno diritto anche i detenuti. La guerra andava fatta al coronavirus, ma qui pare che la si stia facendo alla democrazia.Il Parlamento è finito su chi l'ha visto, i decreti governativi diventano la normalità, si utilizzano strumenti di controllo del territorio incredibili, da elicotteri per scacciare tre persone dagli scogli, ai droni, alle cellule telefoniche, alle ronde, all'esercito. Vengono in mente le parole del Presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali il quale in una sua recente intervista ha dichiarato che "qualche privazione è normale ma guai ad invocare i sistemi cinesi o della Corea del sud. Il nostro modello di riferimento è solo l’Italia e l’Europa". Sottolineando che "preoccupa che in nome dell’emergenza vengano avanzate ipotesi azzardate e irriflesse".

mb
foto di Laura Barone 

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