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 Home page > Tribuna Libera > La bugia del diritto al lavoro

La bugia del diritto al lavoro

Che il diritto non sia o non viva autonomamente in quanto figlio della struttura, che a sua volta figlia dei rapporti sociali di produzione, quindi dell'economia, non avevo dubbi!

Senza andare troppo indietro nella storia, partiamo dalla Costituzione del 1948 che a sua volta ri-rinnova il diritto al lavoro, iniziando con l’Articolo 1 in cui si affermerebbe che la Repubblica ne sia fondata. Le leggi più significative ed uniche erano la 264 del 1949 sul collocamento pubblico ed un anno dopo quella sulle lavoratrici madri. Questo diritto del lavoro ha dovuto fare i conti con i sindacati e la contrattazione collettiva. Ricordo che i primi sindacati, le Trade Unions, nascono in Inghilterra, sulla scia della rivoluzione industriale. Le lotte, le battaglie operaie passano attraverso le leggi del 1791 (Le Champelier). Leggi per cui si veniva perseguiti penalmente per uno sciopero – legislazione 1871, 1875 – in cui si veniva chiamati in giudizio e si era civilmente responsabili.

In Italia lo sciopero era punito penalmente. Con il Codice Civile del 1865 dove il contratto viene definito come, locazione d’opere. Con il Codice Zanardelli del 1889 si dà la non punibilità dello sciopero, ma ne rimane la responsabilità civile degli scioperanti ecc. Con l’avvento del fascismo che non proibisce l’organizzazione operaia ma ne riconosce solo le associazioni sindacali fasciste. Difatti, con il Patto di Palazzo Vidoni, del 1925, la Confindustria si impegna a trattare solo con questi sindacati. Ma con la legge del 3 aprile 1926, pur mantenendo in astratto la libertà di associazione sindacale, il governo fascista conferiva il riconoscimento giuridico ad un solo sindacato, purché questi esprimesse il 10% dei lavoratori della categoria e fosse guidato da persone di sicura fede nazionale. Il contratto collettivo stipulato da questi sindacati aveva efficacia, su tutti i soggetti appartenenti alla categoria, ed era inderogabile.

Nel Codice Penale del 1930 divenivano reati sia la serrata che lo sciopero. Nel 1960 cambiando i rapporti di forza con le mobilitazioni dei lavoratori, furono emanate le leggi 1369 contro il caporalato, la legge 230 del 1962 che limitava le assunzioni a tempo determinato e la legge 604 del 1966, sulle condizioni per il licenziamento individuale, per poi arrivare al 1970, con la legge 300, lo Statuto dei diritti dei lavoratori. Cambiando i rapporti di forza dopo la crisi del 1973/74, la Confindustria, sindacati al seguito, inizia dal 1983 un contrattacco, che anno dopo anno si arriva a smantellare tutte le conquiste fatte.

Ricordo il Protocollo Scotti, nel 1992 accordo Amato-Trentin; formalizzato nel 1993 con la concertazione, varando la nuova politica dei redditi. Nel 1995 Dini riesce dove aveva fallito Berlusconi, con la controriforma del sistema pensionistico; poi nel 1997 arriva la legge Treu che apre le porte al precariato nei rapporti di lavoro, peggiorata dalla legge 30 del 2003. Ed ancora la brutale riforma del mercato del lavoro e delle pensioni, varata dal governo Monti. Da questo momento in poi si chiude o crolla ogni illusione di uno Stato assistenziale e protettore dei deboli. La dottrina giuslavorista ed il cosiddetto Diritto del Lavoro entra in crisi. Il capitalismo riformando la struttura con la parola magica della flessibilità per competere nel mondo. Oggi il Diritto al Lavoro, oltre a costare troppo diventa solo un’ illusione  che si schianta contro la realtà. Il diritto non ha mai protetto i lavoratori, perché il diritto in questa società se lo fa il più forte.    

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