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La Smorfia renzista: 18, la bufala

Il governo Renzi è destinato ad entrare negli annali di storia patria per l’impressionante tentativo di lavaggio del cervello ai cittadini, a mezzo di una ardita neolingua e della ripetizione ossessiva di alcuni concetti che avrebbero la funzione di motivare questa nazione di piccoli scout smarriti nella nebbia. E così, dopo la diabolica operazione di equiparazione del risparmio alle “rendite finanziarie”, l’altro grande filone di brainwashing è quello del “più grande taglio di tasse della storia della Repubblica”, segnatamente il “taglio di 18 miliardi di tasse”. Lo ripetono un po’ tutti, da economisti dal passato prestigioso a giovani studiosi che solo ora iniziano a muovere i primi passi nell’arte della menzogna, ma sono sufficientemente svegli da imparare alla svelta; da ex consulenti abituati a sguazzare nei PowerPoint a cheerleaders chiamate ad incarnare il topos della “valorizzazione” delle figure femminili nella politica. Sfortunatamente, quella dei 18 miliardi di tagli di tasse è una bufala. O meglio è frutto di una lettura à la carte della manovra.

Dunque, vediamo. Nella manovra ci sono 18 miliardi di “benefici”, tra maggiore spesa pubblica (il bonus da 80 euro), la minore Irap da eliminazione dalla base imponibile del costo del lavoro a tempo indeterminato, la decontribuzione triennale per i giovani assunti nel 2015 a tempo indeterminato, ed anche (seguendo la chiave di lettura di qualcuno), il mancato taglio delle tax expenditures per 3 miliardi, deciso dal governo Letta lo scorso anno. Ora, a parte che considerare “taglio di imposte” un mancato aumento di pressione fiscale non è propriamente il top dell’onestà intellettuale, l’importo di 18 miliardi è un dato lordo, che non considera le coperture né l’impatto macroeconomico della manovra, cioè il riflesso che la stessa potrà avere sul Pil, nel breve e medio periodo. Che è l’unica cosa che conta. Ma non per Renzi e la sua filarmonica, evidentemente.

Per venire a capo di questa bufala, osservate un documento già divenuto obsoleto ma che resta fondamentale per capire: gli effetti del ddl Stabilità 2015, pubblicato dal MEF giorni addietro. Osservate il saldo: 10,4 miliardi di nuovo deficit. Questo è l’importo dello stimolo potenziale. Questi sono 18 miliardi di minori tasse nette? No. Perché questo documento è obsoleto? Perché nel frattempo il governo ha negoziato con Bruxelles una correzione aggiuntiva al deficit-Pil strutturale, che sarà dello 0,3% anziché dello 0,1%. Per effetto di questo addendum, il deficit-Pil assoluto per il 2015 passa da 2,9 a 2,6%, e di conseguenza il saldo netto di maggiore deficit scende a poco meno di 6 miliardi di euro. Questi sono 18 miliardi di minori tasse nette? No.

In caso vi venisse l’idea di dire che la manovra è fatta soprattutto di tagli di tasse, non siate precipitosi: ci sono 4 miliardi di tagli alle Regioni che sono ad alto rischio di diventare aumenti di entrate, a mezzo di addizionali Irap, ticket sanitari ed altre forme di “compartecipazione” alla spesa, biglietti di trasporto pubblico incluso. Anche Tremonti, nei suoi anni ruggenti, pretendeva di aver tagliato la spesa pubblica di trasferimento alle Regioni, e gli esiti li conosciamo perfettamente.

E poi ci sono gli aspetti qualitativi e temporali dei tagli di tasse/maggiore spesa. Voi pensate che la maggiore Irap da pagare per il 2014, in attesa di poter beneficiare tangibilmente nel 2016 del taglio, avrà un impatto favorevole sul sentimentdegli imprenditori? Noi qualche dubbio ce l’avremmo. O voi pensate che la decontribuzione eserciterà una spinta prodigiosa ad assunzioni che, per amplissima parte, avverrebbero comunque? Ed il rinvio del taglio delle tax expenditures per 3 miliardi, che viene fronteggiato da una muraglia di aumenti Iva ed accise nel 2016-2018 (30 miliardi a regime), verrà vissuto serenamente dagli agenti economici? Può essere, meno male che abbiamo il nostro Grande Motivatore che ci sorregge nei momenti di debolezza.

E comunque, visto che la nota di aggiornamento al DEF va riscritta, attendiamo fiduciosi la stima dell’impatto sul Pil di questa manovra rettificata. Ribadiamolo: quella è l’unica cosa che conta, non la propaganda. Ma ci rendiamo conto che questo modo di argomentare è piuttosto demodé, visto che il nostro premier non perde occasione per dichiarare pubblicamente che a lui non interessano le variazioni decimali del Pil ma la crescita dell’occupazione. Sfidiamo le leggi dell’economia, ordunque, venghino!

 

Foto: Palazzo Chigi, Flickr

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