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La Sinistra “Radicale” e le sue prospettive

C’è chi pensa, anche qualche frequentatore del mio blog, che io scriva certe cose in odio alla sinistra “radicale” (dopo spiegherò le virgolette) di cui ho fatto parte. Niente di più sbagliato: non solo non ho alcun odio verso quell’area, ma me ne sento ancora parte e ne auspico la rigenerazione.

Oggi siamo di fronte ad un’area residuale di Rifondazione, del sindacalismo radicale, dei Centri sociali ecc. che, mi pare evidente, debba superare se stessa e rifondarsi per davvero. Allo stato attuale, e mettendo insieme Rifondazione, Sel, Sinistra anticapitalista, Pdci, Pcl, gruppo di Rizzo ed altri minori, Carc, centri sociali e sindacati di base, si parla di alcune decine di migliaia di militanti (non tutti attivi per la verità), e di un’area elettorale che i sondaggi stimano al 4,5-5%. Non mi pare che l’eventuale aggiunta della Fiom sposti molto, anche perché molti dei suoi iscritti già votavano Sel o Rifondazione. Dunque, al massimo l’apporto sarebbe di qualche migliaio di attivisti e 100.000 voti che prima andavano al Pd. Diverso è il discorso se dovesse esserci una scissione rilevante del Pd.

Insomma, siamo ad un’area di circa il 5% dell’elettorato. Nove anni fa, la sommatoria di Rifondazione, Pdci, Verdi e liste minori come il Pcl, assommavano a circa l’11% dei voti, la sola Rifondazione aveva il 6,5% e vantava oltre settantamila iscritti. Questi sono i dati. In questa situazione è troppo parlare di fallimento?

Questo è accaduto nel pieno di una crisi straordinaria che, in teoria, avrebbe dovuto gonfiare le vele di una sinistra antisistema, ma qui, a riscuotere è stato il M5s. Ci sarà pure una ragione. Insisto su un punto accuratamente scansato dai miei interlocutori di “area”: se Rifondazione avesse saputo fare il suo mestiere, sarebbe sorto il M5s? Ma soprattutto, in cosa è “radicale” questa sinistra?

Di questo disastro l’area in questione non si è mai data una ragione. Sel è l’unica ad aver avuto un relativo successo, essendo riuscita a rientrare in Parlamento, ma è anche vero che, rispetto alle percentuali che i sondaggi attribuivano nel 2010 (mai inferiori all’8%) ed ai risultati parziali ottenuti nel 2011, il raccolto finale è stato piuttosto modesto (3,2%) che oggi i sondaggi oscillando intorno al 2,6-2,7%.

Il caso peggiore, direi quasi clinico, è quello di Rifondazione che, avendo mancato per due volte di seguito l’ingresso in parlamento ed essendosi ridotta a percentuali da prefisso telefonico, rielegge il segretario che l’ha portata alla catastrofe e fa finta di niente. Dire questo è una manifestazione di odio?

Non ho difficoltà a riconoscere tutti i limiti del M5s –di cui ho spesso scritto- e non mi sento di giurare che essi saranno superati evitando il naufragio, sono convinto ancora oggi della necessità di una sinistra di classe all’altezza dei tempi, ma vi pare che l’attuale sinistra “radicale” sia in grado di esserlo? Siamo seri!

E qui casca il discorso delle virgolette che ho messo alla parola radicale. Il punto è che questa sinistra non è affatto radicale ma cerca goffamente di sembrarlo: un paio di slogan, qualche atteggiamento stentoreo, il culto di una conflittualità fine a sé stessa e più recitata che praticata davvero, e poi si passa a riscuotere il dividendo elettorale per mantenere un po’ di burocrati e famiglie. La verità (costa dirlo ma bisogna dirlo) è che la sinistra “radicale” attuale è il prodotto di un ventennale adattamento all’ambiente di chi si è scavato una nicchia in cui sopravvivere. E questo lo dico anche ai ragazzi dei centri sociali che credono che essere radicali significhi sfasciare le vetrine e scontrarsi con la polizia. Anche questa è una teatralizzazione del conflitto, ma non è il vero conflitto sociale. Odio i centri sociali perché dico queste cose? Nemmeno per sogno, e quando mi cercano sono sempre disponibile, ma il dovere più importante di un amico è quello di dire la verità (o quello che crede sia tale) senza troppi complimenti. Gli “amici compiacenti” sono sempre falsi. E, infatti, non lesino critiche anche ruvide al M5s.

Lo stesso vale per l’area ex Rifondazione e simili: criticare non significa odiare e quando qualcuno inizia a confondere le due cose, senza mai rispondere nel merito, è il brutto segnale di una senescenza avanzata e senza speranze.

Io spero che la sinistra marxista si riprenda, ma non ci sarà nessuna rifondazione di questa senza una autocritica spietata, perché chi non riconosce i suoi errori è destinato a ripeterli. E, per cortesia: rispondetemi nel merito.

Questo articolo è stato pubblicato qui

Commenti all'articolo

  • Di Fabio Della Pergola (---.---.---.67) 17 aprile 2015 13:26
    Fabio Della Pergola

    Il primo punto credo che sia l’incapacità congenita di saper distinguere tra "sconfitta" e "fallimento".
    Qui si usa correttamente il secondo termine, ma mi chiedo quanti nella sinistra radicale, nei centri sociali eccetera, pervicacemente si cullino nell’idea di essere stati "sconfitti" e che, conseguentemente, non si tratti di fare una profonda re-visione (che sarebbe forse una "visione" ex novo perché mi pare che finora stiamo a zero) del proprio fallimento (culturale? ideologico? metodologico? antropologico? eccetera), quanto di valutare i motivi della sconfitta; che significa mantenere il proprio asset di fondo ritenuto tuttora corretto. Da cui segue la "teatralità" della prassi che si accompagna a uno zerovirgolazero di elaborazione teorica.
    Poi segue il resto.

  • Di pv21 (---.---.---.18) 17 aprile 2015 19:15

    Ri-svolta >


    Viste le traversie e le vicissitudini del dopo elezioni 2013 ai “cervelloni” del PD è venuta una sola idea. Quella di lanciare il giovanile M RENZI (promettente neo Berlusconi) come unica carta buona in grado di frenare l’ascesa del M5Stelle.

    Ovvero: combattere GRILLO con le sue stesse armi.


    La prima ed assoluta qualità politica è così diventata la capacità di comunicare e di sfornare annunci e slogan di facile presa. Tipo l’uscire dalla crisi in soli 100 giorni, il tutto sbagliato e tutto da cambiare, la fiducia e la speranza sono già futuro, ecc.

    Un’ottica dove primario progetto politico è diventato sondare aspettative e bisogni più diffusi per intercettare quelli trasformabili in consenso. Senza peraltro ignorare la voce dei poteri forti.

    Tutto basato su un corollario inamovibile.

    Sono i numeri che danno l’autorità per decidere ed ogni giorno ha la sua tattica vincente.


    Risultato.

    All’alba del 15mo mese di governo Renzi la crisi del paese è ancora da superare. Debito e disoccupazione non danno segni di cedimento mentre s’ingrossa la fascia di famiglie in difficoltà. Le tanto decantate riforme sono sempre lì, in via di attuazione.


    Per contro nessuno è più in grado di spiegare che cosa è oggi il PD.

    Ai bordi dell’insegna del partito troneggia un solo nome: M RENZI. I principi ed i valori fondanti della “Ditta” sono finiti nel retrobottega.

    E i succitati “cervelloni”?

    C’è chi si gode la posizione di prestigio fin qui raggiunta. C’è chi tranquillizza i “dubbiosi” e chi cerca di tenere a bada la parte “dissenziente”.

    Sempre meno si azzardano a scommettere su come andrà a finire.

    Nessuno sa come evitare l’incipiente tracollo del comune patrimonio di storia e valori.


    Dopo tanto impegno profuso nel decantare i vantaggi di un volto “nuovosolo al comando, nessuno se la sente di tornare dagli elettori con una proposta “alternativa” che riaffermi la forza del confronto e del fare squadra.

    Sarebbe confessare che, vista la “svolta”, ora serve la “ri-svolta” per imboccare il Ritorno alla Meta

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