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La Rivoluzione Islamica in Iran

In Iran il XX secolo ha visto i rapporti tra il clero e i sovrani erodersi sino al punto di rottura. L’anno di totale divisione è il 1979: l’anno della rivoluzione islamica. Occorre partire dalla Storia di questo Paese per comprendere appieno la portata della rivoluzione e la sua influenza.

Nel 1925 Reza Khan, ufficiale dell’esercito, aveva realizzato un golpe e con l’appoggio del clero si era dichiarato Scià: nasceva la monarchia fondata dai Pahlavi. L’appoggio del clero non era incondizionato ma legato alla paura che il paese potesse virare verso una politica laica simile alla vicina Turchia di Kemal Ataturk. Quindi si chiedeva alla monarchia la protezione della religione islamica sciita dal modernismo. Ben presto i punti di vicinanza si trasformarono in punti di disaccordo. Sebbene la casa regnante si dimostrava vicina alla religione vedeva in uno Stato laico il punto di partenza per modernizzare l’Iran e farlo decollare economicamente. Gli unici campi nei quali il clero poteva far sentire la sua voce di dissenso e il suo peso furono l’antimperialismo e l’antiamericanismo.

Negli anni Cinquanta il Paese grazie al petrolio attraversa una fase di rapido sviluppo economico, ma le ricadute sul popolo saranno minime anzi il divario tra ricchi e poveri sarà sempre più ampio. Nel frattempo lo scontro politico interno si accentua a causa della nazionalizzazione delle compagnie petrolifere voluta dal Premier Mohammed Mossadegh. In una prima fase lo Scià parte per l’esilio a Roma ma dopo il colpo di Stato - come si sa notoriamente appoggiato dalla CIA - il monarca rientra al suo posto.

La politica dello Scià di vicinanza con gli Stati Uniti (tant’è che l’Iran era stato denominato il “Gendarme del Golfo”) e la repressione interna, da parte dei temibili Servizi di Sicurezza della Savak, non fecero altro che aumentare ulteriormente la tensione. Altri punti di contestazione furono le relazioni con Israele.

Sono anni in cui le componenti laiche protestavano e il clero davanti alla paura di perdere prestigio decideva che lo sciismo doveva assumere una forza trainante nella politica iraniana.

In questo contesto giganteggia la figura dell’ayatollah Khomeini. Sin dagli anni ’60 l’ostilità tra l’Ayatollah e lo Scià era stata dichiarata. A Teheran, nel 1961 si verificavano imponenti manifestazioni di protesta degli studenti, Reza Pahlavi rispose facendo intervenire la polizia. La repressione provocava morti, tra cui anche 18 religiosi di Qom, e diversi feriti. È da questo momento che Khomeini identifica nello Scià il nemico principale e scende in campo. Poco dopo l'Ayatollah sarà arrestato ma a seguito di forti pressioni di piazza verrà mandato in esilio. Ma oramai il Corano, sia da parte del potente clero sciita che dal popolo, diventa il principale manifesto dell’opposizione alla politica dello Scià.

Khomeini si stanzia inizialmente, per due anni, in Turchia poi si trasferisce in Iraq, presso Najaf sede della seconda scuola sciita dopo quella iraniana di Qom.

Figura carismatica presso i suoi allievi, grande studioso di testi teologici ascetici e propugnatore della creazione di un nuovo modello di governo. I pellegrini, specialmente dopo il ’75, anno dell’accordo tra l’Iraq di Saddam Hussein e lo Scià che aveva scemato le tensioni di confine tra i due Paesi, si recavano da lui per ricevere consigli e divulgare le sue idee sotto forma di libelli e cassette registrate. Per Khomeini bisognava partire dal fatto che solo il clero, gli ulema religiosi, conoscevano la religione e dovevano governare il paese. Non più custodi, né richieste di protezione con il potere centrale, né legittimazione di un regime che avesse difeso la religione bensì la scelta della militanza e della assunzione diretta del potere per difendere la propria identità. Fu la cosiddetta teoria del giureconsulto islamico, velayat-e faqit.

Poco prima della rivoluzione Saddam Hussein espelle l’ayatollah Khomeini il quale si reca a Parigi. L’arrivo in Francia di Khomeini dà il via alla rivoluzione, lì si raccolgono tutti gli oppositori esiliati (liberali, progressisti e religiosi), lì diventa il centro del contro potere. Conosce Abol Hassan Bani Sadr personaggio progressista e moderato: la rivoluzione sembra apparentemente prendere una forma meno rigida di concezione dello Stato. Piovono critiche alla Casa regnate per la situazione del Paese: analfabetismo, privilegi delle classi più abbienti, dominazione USA.

Khomeini predica la purificazione e chiede di seguire i dettami del Corano per sconfiggere le ingiustizie e l’oppressione. Così si arriva al 1979. In Iran l’anno precedente si era concluso con diversi incidenti tra esercito e manifestanti contro il regime di Reza Pahlavi. Ormai il distacco tra il popolo, il clero e la casa regnante era sempre più profondo. L’ayatollah Khomeini orchestra la sovversione sociale. In fase iniziale, dall’esilio parigino dove si trovava, lancia una fatwa nella quale invita l’esercito a disobbedire agli ordini. La presa di posizione di Khomeini generava di colpo lo scioglimento dell’esercito, questo dimostrava il prestigio di cui godeva. Il 1° febbraio del ’79 l’ayatollah Khomeini rientra a Teheran accolto da una folla in tripudio.

Khomeini in breve tempo raggiunse una notorietà ben al di là dei confini iraniani. In patria Khomeini leggeva l’epoca del nazionalismo arabo come la rivelazione, ben presto illusoria, della fine dei pregiudizi contro gli sciiti. La marginalità di cui gli sciiti erano soggetti nella vita quotidiana ora si trasformava in riscatto. Mentre riusciva a galvanizzare le masse egli fu astuto nel non presentare la rivoluzione come solamente un riscatto iraniano bensì come una rivoluzione islamica che chiamava in causa tutti i musulmani senza differenze.

“La tragedia dei musulmani è di avere a che fare con governi ignobili. La tragedia del mondo intero consiste nell’essere oppresso da chi si atteggia a difensore della pace e si proclama paladino delle masse”, ripeteva spesso l’Ayatollah.

L’antiamericanismo e la lotta contro Israele assumevano gli aspetti di una chiamata comune contro questi nemici, sia sunniti che sciiti dovevano prodigarsi nello scontro, in questa visione vanno letti l’assalto all’Ambasciata americana a Teheran e il sequestro di un centinaio di diplomatici all’inizio della rivoluzione.

Ma nello stesso tempo Khomeini credeva che la presa di potere in Iran doveva spalancargli le porte di tutto il mondo musulmano. Ora il leader presentava il conto ai sunniti in questa versione tanto da indurre re Fahd a proclamarsi, dopo la fatwa emanata dal clero saudita, come “protettore e custode dei due luoghi santi”.

Come per secoli gli sciiti avevano accettato la sovranità di regni e stati a guida sunnita, non perché fossero i migliori tra i musulmani bensì garantivano un ordine e dimostravano la capacità di prendere il potere e mantenerlo, ora Khomeini dimostrava che i “veri religiosi” erano capaci di governare direttamente attraverso le dottrina del giureconsulto islamico.

Così la rivoluzione iraniana da rivoluzione nazionale si trasformò in rivoluzione islamica con conseguenze e mutamenti avvertibili in tutto il Medio Oriente.

Salvatore Falzone

Foto: Pixabay

 

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