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La Munerato vestita da operaio. Il carnevale leghista arriva a Natale

Cosa c’è di peggio di mentire? Mentire sotto mentite spoglie. E’ questo quello che si pensa dinnanzi alle immagini della deputata leghista Emanuela Munerato che ieri si è vestita da operaia (grembiulino arancione e cuffietta) per pronunciare la dichiarazione di voto contro il governo Monti.

E’ come se Fabrizio Cicchitto nel difendere la decisione di non affrontare le liberalizzazioni si fosse vestito da farmacista in onore delle casta che per l’ennesima si è salvata. E’ come se Franceschini per sensibilizzare l’aula sulla questione delle licenze dei taxi si fosse presentato con la divisa dei tassisti romani. E come se Di Pietro si fosse rimesso la toga da pubblico ministero per enfatizzare le sue denunce contro il governo dei tecnici non intenzionato a vendere le frequenze televisive. Avrebbero potuto farlo. Ma che credibilità avrebbero dimostrato? Sarebbe servito a qualcosa? Può un abito coprire la nullità che sta dietro la propria proposta politica? Nel caso della Lega no.

Lo spettacolo orchestrato ieri dai suoi deputati non era solamente una patetica messinscena, era anche qualcosa di molto peggio. Usare qualche trovata folkloristica fa parte della storia del Palazzo, dal cappio sventolato con ansia giustizialista, alle tette radicali di Cicciolina, dalla mortadella addentata in mondo visione, agli striscioni da stadio, gli scranni di Montecitorio ne hanno viste di cotte e di crude. Ma strumentalizzare il lavoro di milioni di persone per i propri biechi tornaconti politici e soprattutto elettorali è una mossa che solamente un partito allo sbando e senza prospettive poteva escogitare. Soprattutto perché nel nostro paese gli operai non sono solo italiani ma anche e soprattutto extracomunitari. Extracomunitari che la lega combatte quotidianamente e a cui non vuole riconoscere alcun diritto. Mentre fino a 25 anni fa la stessa professione era portata avanti soprattutto da immigrati meridionali trapiantati al nord che il politico padano medio denigra con cadenza quasi giornaliera.

Come fa un politico leghista a camuffarsi da operaio ed inveire contro i tagli ai lavoratori? Nonostante il partito di Maroni, ministro del lavoro dal 2001 al 2006, è stato otto degli ultimi dieci anni al governo e nulla ha fatto per migliorare la condizione delle fasce sociali più deboli. La demagogia ed il populismo sono le due cose che non servono per superare la crisi. L’unico vero “lavoratore” mai tutelato da Bossi è suo figlio Renzo che scalda indebitamente la sedia al Pirellone. Ma non basta. Siamo molti di più.

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