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La nera bandiera del Sud Italia

24-03-09: il regista Giambattista Assenti debutta sul territorio provinciale irpino nella mia scuola, istituto superiore A.M.Maffuci di Calitri (AV), con la sua messa in scena teatrale di “Cristo si è fermato a Eboli”, accompagnato dai giovani attori Gabriele Greco, Alba Tamarazzo e Mario Merione. Una rappresentazione coinvolgente e semplicemente essenziale la quale non si risparmia di far nascere in me qualche riflessione.

Le pagine scritte da Carlo Levi si soffermano sui particolari e sulle caratteristiche della vita rurale del meridione facendo scorgerne importanti elementi che in realtà ancora caratterizzano i piccoli comuni del sud Italia. Ma queste immagini, scattate con così grande maestria dal pittore torinese, sono state interpretate ormai da troppi anni come il vero limite della gente meridionale, la quale si chiude in tradizioni e usanze a volte tradotte come vere rappresentazioni dell’ignoranza. Io in realtà penso che la vera cultura della nostra “suola di Stivale” sia proprio questa: dalle pagine di Rocco Scotellaro a quelle del Ciclo dei Vinti Verghiano, fino alle melodie di Matteo Salvatore con annessa Notte della Taranta, che è uno degli eventi di punta del programma di spettacoli della Nazione. La cultura rurale del meridione in realtà è dannosa quando rimane fine a se stessa, quando si chiude nel suo guscio volgare e non si lascia penetrare né colonizzare dalle realtà sociali esteriori. E questo succede spessissime volte e ce ne parla anche Levi che si rifà ad avvenimenti storici.

 
Ma lo scrittore parla anche di un avvenimento che ha segnato la gente del meridione e in particolare della mia Lucania: il brigantaggio. Il fenomeno del brigantaggio si può porre alla base della Questione meridionale, e viene posto nel libro sotto una nera bandiera, simbolo di una guerra persa in partenza, incomprensibile agli storici perché contro ogni legge della storia e del suo processo. E fin da allora quindi si adottò per la società del sud un’etichetta che presenta la scritta: “Questione Meridionale”.

 




Ma il mio intento non è neanche parlare dei briganti
, è un compito che spetta agli storici questo. Io vorrei applicare il nero stendardo di cui prima parlavo sulla società contemporanea del meridione, e in particolare sui giovani, provando a vedere se è un accostamento possibile e provocatorio.

 

Uno stendardo nero come la rassegnazione alla realtà che caratterizza ogni individuo, nel suo piccolo, e molte grandi realtà. E’ impossibile infatti negare oggi, nel 2009, l’esistenza della questione meridionale che si ripresenta oscura e tetra come quella dei secoli scorsi, perché priva di risorse e di speranze verso il futuro. Mentre negli anni successivi all’Unità d’Italia la questione meridionale si presentava nera e perdente in partenza per ragioni storiche, oggi si presenta perdente per la rassegnazione della società, del popolo, che ha abbandonato la sua terra e ha perso il suo orgoglio patriottico. Questo senso di enorme impotenza si riflette in maniera costante e devastante sui giovani, sugli studenti, sulla classe reggente del futuro che non vede l’ora, finiti gli studi, di emigrare (“a fa’ furtun’”) verso il nord, o all’estero, alla ricerca di un’ ”America” contemporanea identica a quella dei nostri avi emigrati verso la Svizzera, gli U.S.A., l’Australia o verso ogni altra parte del mondo. Gran parte degli studenti made in Sud preferisce, una volta diplomata, di andare a studiare in un’università in qualsiasi altra parte del mondo piuttosto che valorizzare i centri d’istruzione delle proprie terre. A volte questo accade perché addirittura alcuni giovani si vergognano del proprio dialetto, delle usanze tradizionali (non sempre assimilabili alla superstizione come qualcuno afferma), del sudore di schiene piegate per lavorare la terra, degli usi e dei costumi più vari di una civiltà del passato viva e vegeta nel presente.
 

E’ oltremodo vero che la presenza di lavoro scarseggia, che il clientelismo accumula ricchezza, che i raccomandati fanno fortuna, che la mafia ti taglia le gambe, ma tutto questo accade come nel resto del mondo, e come nel resto del mondo è dovere del popolo, del cittadino e della persona rovesciare queste realtà, impegnandosi attivamente nel sociale.

Auguro a tutti di avere la possibilità di girare e di vedere tutto il mondo, ma di non dimenticare le proprie radici in paesini del sud Italia abbandonati a se stessi come un presepe addormentato su di una vecchia montagna appenninica.

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