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La fame nel mondo e gli accordi del G8

Il "diritto al cibo", un problema urgente.

 Il vertice del G8, conclusosi il 10 luglio scorso, ha affrontato, tra gli altri, tre temi di importanza fondamentale: la crisi economica internazionale, la lotta ai cambiamenti climatici e la sicurezza alimentare.

Come si sa, gli accordi che si sono raggiunti sono altrettanto importanti.
Anzitutto, con un messaggio di fiducia e di speranza, il G8 ha voluto sottolineare la convinzione che "la parte più dura della crisi sia ormai alle nostre spalle", non nascondendo, però, la disapprovazione per la ripresa delle speculazioni internazionali e la necessità di contrastarle introducendo un nuovo codice di leggi e regole, condivise universalmente e basate sul diritto di proprietà, sul valore dell’etica e della morale e sulla trasparenza.

Per quanto riguarda la questione climatica gli otto Grandi hanno raggiunto l’accordo di dimezzare le emissioni di gas, responsabili dell’effetto serra, entro il 2050, evidenziando le importanti aperture di Paesi come la Cina e l’India, disposti ad alcuni impegni concreti, e la politica di lotta al riscaldamento globale, che vede Europa e Stati Uniti finalmente uniti in un impegno comune.

Infine il vertice del G8 ha raggiunto un accordo per lo stanziamento di 20 miliardi di dollari nell’arco di tre anni per una strategia globale incentrata su uno sviluppo agricolo sostenibile, rispondendo così all’appello della Sicurezza Alimentare Globale, che, con una Dichiarazione Congiunta al G8, ha testimoniato un apprezzabile ed incoraggiante spostamento verso politiche di sostegno all’autosufficienza alimentare dei poveri e degli affamati.


Tutti provvedimenti giusti e sacrosanti. Ma l’opinione pubblica mondiale, che assiste da qualche anno ad un silenzioso accaparramento di terre nel sud del mondo da parte di governi di Paesi ricchi, di fondi bancari di investimento e di grosse multinazionali agroalimentari, si chiede quale sbocco finale avrà questo fenomeno.

Nella sola Africa, dal 2006 ad oggi, sono stati acquistati 20 milioni di ettari di terreno agricolo, pari ad un quinto dei terreni coltivabili in tutta Europa ! Per fare un esempio, Cina, Arabia Saudita e Kuwait, hanno stretto accordi per miliardi di dollari e l’IFPRI (Istituto di ricerca per la politica alimentare internazionale) ha rilevato che il valore economico di queste continue transazioni ha raggiunto l’ammontare di 30 miliardi di dollari.

Questa corsa all’acquisto di terreni agricoli mira certamente ad aumentarne la produttivitò. Può significare per certi paesi poveri una reale possibilità di crescita, anche se esiste quasi sempre un problema di governance, dato il deficit di democrazia di cui spesso tali paesi soffrono. Ma potrebbe anche significare lo sfruttamento di terre a scapito dei Paesi poveri per sopperire al fabbisogno nazionale di grandi potenze, evidenziato con la crisi alimentare del 2007.
La FAO e gli altri Enti agroalimentari internazionali sembrano consapevoli dei rischi che tali fenomeni comportano ed hanno comunque manifestato soddisfazione per gli accordi raggiunti nel vertice del G8.

Non a caso, però, il Direttore Generale dalla FAO, Jacques Diouf, nel suo discorso conclusivo al G8, ha affemato: "Sono convinto che vi impegnerete per passare dalle parole ai fatti, non solo per ragioni di natura etica, ma anche per considerazioni di natura economica, nonchè, ugualmente importante, per garantire la pace e la sicurezza nel mondo".

Ed ha aggiunto successivamente, con tono grave, citando una frase di Jawaharlal Nehru, figlio del primo Capo di Governo dell’India indipendente: "Tutto può aspettare, tranne l’agricoltura".

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