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L’umorismo, la censura e l’abbronzatura di Di Maio

In questi giorni stanno spopolando in Rete alcuni fotomontaggi della faccia di Luigi Di Maio. Perché? In una foto pubblicata qualche giorno fa, Di Maio sfoggia “un’abbronzatura imbarazzante che sembra più che altro una tostatura. Roba che in Lombardia così scuro non diventi nemmeno se cadi nell’altoforno della fabbrichetta.”[1] 

La faccia abbronzata di Di Maio è stata appiccicata sul corpo di Michael Jordan, di Sandokan, del protagonista di Una poltrona per due, di Indovina chi viene a cena e di molti altri personaggi famosi. Di Maio stesso ha accolto con ilarità la cosa, commentando che la prossima volta si ricorderà di mettersi la crema solare a protezione 50. Insomma, sembrerebbe un evento con cui farci due risate prima di tornare alle nostre faccende quotidiane.

Tuttavia, taluni hanno ritenuto che i suddetti fotomontaggi non fossero per nulla innocenti; anzi, che fossero tremendamente offensivi. Il New York Times ha commentato che “negli USA chi fa ironia sulla black face si dimette o viene licenziato, perché la pratica è considerata altamente offensiva”. Vice ha scritto che “Mentre negli USA continuano le proteste contro il razzismo, il nostro ministro degli esteri non ha trovato di meglio che postare meme sulla sua ‘abbronzatura da nero’”, facendo anche il parallelo con il fatto che in questi giorni i giocatori di pallacanestro della NBA stanno boicottando alcune partite proprio in segno di solidarietà con le proteste di Black Lives Matter, laddove in Italia la faccia di Di Maio è appiccicata su quella di Michael Jordan.[2] Anche Politico scrive qualcosa di simile: “Di Maio è invischiato in una disputa razzista dopo aver condiviso immagini razziste”.[3]

Un altro recente evento, solo apparentemente disconnesso. Pochi giorni fa la Lega aveva lanciato sul suo cinguettatore un sondaggio dal titolo “scegli il peggior ministro della storia”, suggerendo Teresa Bellanova, Elsa Fornero, Lucia Azzolina e Luciana Lamborghese. In risposta, La Repubblica scrive “Sondaggio sessista della Lega”, Il Fatto Quotidiano “… ma ci sono solo quattro donne”, L’Huffington Post “Scegli il peggior ministro. Il sondaggio social della Lega candida quattro donne”, il Corriere “È polemica: ‘Sono tutte donne, guarda caso’”. Insomma, il sondaggio della Lega è offensivo: “guarda caso” i peggiori ministri sono tutte donne. Se le immagini Di Maio sono state accusate di “razzismo”, il sondaggio della Lega è stato accusato di “sessismo”. Che quelle quattro ministre fossero state scelte per il modo in cui hanno governato l’Italia, implementando politiche agli antipodi di quelle volute dalla Lega, e non per la forma dei loro genitali, è una possibilità che non è nemmeno contemplata. La risposta di Matteo Salvini non si è infatti fatta attendere: “Il ministro Azzolina potrebbe essere un uomo con barba e baffi ma sarebbe comunque incompetente. Se la cosa tranquillizza, sondiamo anche Gualtieri e Bonafede”.[4]

I commenti di questi giornali dovrebbero farci riflettere (1) sull’importanza del diritto di espressione (di cui il diritto di fare battute fa parte) e sui suoi limiti e (2) sul perché negli Stati Uniti una cosa che in Italia fa ridere avrebbe comportato licenziamenti e rivolte. Chiaramente, la libertà di espressione non è un diritto illimitato, nel senso che non può giustificare la calunnia o la diffamazione. Tuttavia, le affermazioni fatte sui suddetti giornali ci informano che certuni ritengono che la libertà di espressione vada ulteriormente limitata, sanzionando e censurando le battute che potrebbero risultare razziste o offensive alle orecchie di alcuni gruppi identitari, come per esempio i Black Lives Matter.

Hanno ragione costoro? Per capire in che cosa consistano veramente le battute, può essere utile ricordare una barzelletta ed una scenetta comica che hai tempi riscontrarono un discreto successo e che provengono da ambienti culturali molto diversi.

Nell’Irlanda del nord degli anni Novanta, un’auto costeggia improvvisamente sul bordo della strada. L’autista abbassa il finestrino, punta una pistola alla tempia di un povero passante e gli chiede: “Cattolico o protestante?” “Ateo!”, risponde il passante spaventato alzando le mani. Al che l’autista gli chiede “Ateo cattolico o ateo protestante?”

Ora pensi chi se la ricorda alla famosa scenetta transilvana di Aldo, Giovanni e Giacomo, in cui un Aldo-vampiro-terrone vuole succhiare il sangue di una fanciulla che si è rifugiata nella casa di Giovanni e Giacomo, due leghisti cacciatori di vampiri.[5]

“Il Conte Dracula” di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Le battute e le scenette comiche non hanno solo l’eventuale e semplice effetto di far ridere, ma sono in grado di svelare l’artificiosità di certi conflitti tra gruppi identitari, e fanno intendere che alcune divisioni, passate o presenti, tra vari gruppi contrapposti (protestanti VS cattolici, terroni VS polentoni) possono sì essere state cause di violenze e di ingiustizie, ma che tali divisioni erano anche piuttosto sciocche ed artificiose (non per niente la scenetta transilvana è interpretata da Aldo, un palermitano, e da Giovanni e Giacomo, due milanesi).

Nella citazione riportata sopra, il New York Times ci informa che tale ironia negli USA comporterebbe il licenziamento. In effetti, in alcuni paesi, in special medo quelli anglosassoni, ma anche in Francia ed in Germania, una battuta ritenuta offensiva non solo può causare una forte pressione sociale atta a rovinare chi la dice, ma può essere causa di sanzione penale. La giustificazione offerta dai promotori è che certe battute minano la sensibilità di alcuni gruppi e finanche minacciare la loro stessa esistenza.

Il che è davvero singolare, specialmente se ci si ricorda che storicamente non è stata l’eccessiva libertà di pensiero ad aver causato la persecuzione di certi gruppi, ma proprio la sua mancanza. Si prendano i tre artifici retorici maggiormente usati dai perpetuamente offesi per ottenere ragione e dar fuoco ad un eretico: le sempreverdi accuse di antisemitismo, razzismo e sessismo. Le discriminazioni contro gli ebrei nella Germania nazista non avvennero perché i nazisti abusarono della propria libertà di espressione, ma perché chiunque non la pensasse come la classe dirigente nazista fu censurato e sanzionato. Allo stesso modo, agli afroamericani fu eguagliata la cittadinanza non perché le idee dei suprematisti bianchi furono censurate e sanzionate, ma perché fu creato un ambiente favorevole al proficuo scambio di idee in tutto il paese. Discorso analogo va fatto per le battaglie delle suffragette per ottenere il diritto di voto.

Coloro che ritengono che per mettere fine alle discriminazioni sia necessario sanzionare e censurare idee, opinioni e battute che possano anche solo potenzialmente offendere l’ipersensibilità di certi gruppi dovrebbero tenere a mente questi tre esempi, a cui se ne potrebbero aggiungere molti altri, e ricordarsi che storicamente è stato proprio lo scambio di idee, anche di quelle ritenute potenzialmente offensive, a rendere giustizia – non la censura. 

E tuttavia, in particolar modo nei paesi anglosassoni, si è ormai creata una situazione in cui vige una perpetua caccia alle streghe, in cui anche la più piccola accusa di antisemitismo, razzismo o sessismo può rovinare perennemente la dignità di una persona e dar via a rivolte, saccheggi e sparatorie. Sono state create delle vere e proprie istituzioni il cui compito di scovare i sedicenti antisemiti, razzisti e sessisti, pubblicare i loro nomi e cognomi e fare pressione affinché i loro datori di lavoro li licenzino, le università li espellano e le loro idee vengano censurate. Ma la cosa veramente curiosa di questo fenomeno è che tutto ciò non è caratteristico di persone ignoranti o poco educate. Tutt’altro: la cultura del piagnisteo e l’arte di offendersi sono coltivate nelle università e nei college, luoghi in cui gli studenti vengono ideologizzati ed ipersensibilizzati, in cui gli studenti vengono coccolati nella vulnerabilità, rammolliti dalla completa mancanza di opposizione e confronto, impartici di ogni confronto razionale e dialogico. Detto altrimenti, le università e le accademie, luoghi che dovrebbero essere le più forti roccaforti del pensiero razionale e della libertà di cercare dialogicamente la verità, sono diventati i luoghi in cui queste idee vengono generate e sviluppate – idee, queste, che sono successivamente diffuse dal circo mediatico e dal clero giornalistico, il cui discorso ha ormai saturato tutto lo spazio pubblico.

Il risultato di questa saturazione non sono semplicemente le leggi liberticide che si stanno approvando in ogni paese occidentale (in Italia la Zan-Scalfarotto contro l’omotransfobia è appena stata depositata in parlamento), ma anche la situazione di autocensura volontaria, in cui si registra sempre maggiormente la tendenza ad evitare di esprimere le proprie idee o di combattere contro qualcosa che si sa che è sbagliata per paura di esser colpevolizzati o aggrediti da gruppi identitari. Il risultato, detto altrimenti, è l’aumento del grigiore e dell’indifferenza generale, che già Primo Levi rilevava essere la causa principale delle peggiori tragedie del secolo scorso (attenzione: Primo Levi, che è sopravvissuto ad Auschwitz, riteneva che fosse il grigiore, non le ideologie e le idee, ad essere la causa delle peggiori disgrazie del Novecento).

In realtà, come annota saggiamente Roger Scruton, l’accusa di essere offensivi quando si fanno battute o si esprimono opinioni “ci ricorda che l’arte di offendersi è usata da persone di mentalità poco aperta per ottenere un vantaggio arbitrario sugli altri”.[6] Infatti, sono proprio il New York Times e Vice ad informarci che “Mentre negli USA continuano le proteste contro il razzismo, il nostro ministro degli esteri non ha trovato di meglio che postare meme sulla sua ‘abbronzatura da nero’”; queste affermazioni sono istruttive sulle ragioni per cui gli Stati Uniti, proprio a ridosso delle elezioni presidenziali, si siano trasformati in una giungla di gruppi, gruppetti e gruppuscoli rissosi e perpetuamente offesi che chiedono la censura e la condanna delle opinioni altrui, mentre non si sia verificata la medesima situazione in Italia. L’ilarità generale con cui i fotomontaggi di Di Maio sono stati accolti in Italia è un segno di salute. Ma il lettore non si faccia illusioni, più l’Italia si americanizza, con conseguente perdita della propria capacità di umorismo, e più risulterà facile per i padroni del discorso di far scoppiare anche qui i medesimi conflitti artificiosi, magari proprio per ottenere dei vantaggi arbitrari.


[1] Marco Zucchetti, Se perfino Di Maio l’abbronzato è meglio del politicamente corretto, il Grionale, 29/08/2020,

[2] Citati in Marco Zucchetti, op. cit.

[3] https://www.politico.eu/article/luigi-di-maio-racist-memes/

[4] Citati in il Giornale, 29/08/2020, pp. 10

[5] La scenetta è visibile sul canale YouTube del trio: Parte prima: https://www.youtube.com/watch?v=gZNBR4YTSLs Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=m9uRj9fV-i4

[6] Roger Scruton, Offensive Jokes, YouTube, https://www.youtube.com/watch?v=-hjGlLkmELA

 

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