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 Home page > Tribuna Libera > L’ultima follia del neoliberismo: il ritorno alla schiavitù

L’ultima follia del neoliberismo: il ritorno alla schiavitù

di Andrea Muratore

Negli scorsi giorni, sulle colonne del blog di Giannuli, riflettevamo sulla grande trasformazione impressa al mondo del lavoro dall’avvento della rivoluzione neoliberista che nel suo progressivo sdoganamento, innalzando la finanziarizzazione dell’economia, la mobilità su scala globale dei fattori produttivi e il dumping sociale come pietre miliari del suo percorso, ha ridotto progressivamente il ruolo dell’elemento lavoro nelle sue connotazioni economiche e, soprattutto, civiche.

Nel contesto della crisi del lavoro e della frizione tra le istanze dell’economia globalizzata e le necessità di protezione sociale delle categorie più vulnerabili del mercato del lavoro, nemmeno i decisivi avvenimenti elettorali degli ultimi anni, che hanno visto gli “sconfitti della globalizzazione” infliggere sonore sconfitte ai fautori del neoliberismo più accanito hanno portato questi a interrogarsi sulle crisi intrinseche a un modello che da oltre un decennio ha palesato tutte le sue incongruenze e versa in uno stato di asfissia pressochè permanente. Mentre il cuore pulsante dell’economia mondiale si sposta dall’Occidente alla Cina, Paese che ha interiorizzato le prescrizioni neoliberiste applicabili al modello guidato dallo Stato e fortemente irreggimentato che la caratterizza, in campo occidentale gli analisti e i leader politici faticano a comprendere quanto un superamento organico del neoliberismo risulterebbe funzionale a un rilancio dei nostri sistemi economici.

C’è persino chi, come l’analista del Sole 24 Ore Enrico Verga, ha addirittura prospettato un nuovo sviluppo del lavoro alla luce dei principali problemi ad esso posti dalla rivoluzione neoliberista, giustamente identificati dall’autore: la mercificazione del lavoro, la destrutturazione del welfare, la precarietà e gli scarsi livelli di retribuzione salariale. Di fronte a un tale stato di prostrazione da parte del lavoratore, si interroga l’illuminato autore, perché non rendere gli stati di sudditanza effettivi attraverso la reintroduzione della schiavitù?

Il cuore dell’articolo di Verga è il seguente:

“Perché, quindi, non si può valutare, nei programmi politici delle incombenti elezioni, una proposta di legge per re-instaurare l’istituto della schiavitù? Fatti due conti veloci alcuni milioni di neo-schiavi potrebbero essere interessati ad un programma che possa migliorare le loro condizioni.
Bene inteso non si propone certo un regime di frustate, violenza, o pasto per i leoni. Consideriamo alcune società straniere che già oggi danno una serie di benefici: casa pagata, ticket pranzo, copertura sanitaria, servizio di lavanderia etc.. sono tutti benefit che permettono al padrone (pardon, all’azienda) di tenere vicini a se gli impiegati […]
Consideriamo alcuni vantaggi prendendo, ad esempio, come matrice di partenza l’impero romano. Uno schiavo aveva diritto a un alloggio, cure mediche, vitto. Molti schiavi ricevevano formazione. Anche oggi i costi della formazione coperti dal padrone sono sicuramente un asset per il dipendente-schiavo.”

Di fatto, si prospetta un ritorno all’Ancient Regime, ovverosia alla definizione una serie di vincoli volti a tenere saldamente legato ciascun lavoratore al proprio ecosistema di lavoro. Sudditi, non cittadini: dall’articolo di Verga trasuda tutta la spocchia di chi non ha mai potuto percepire sulla propria pelle le problematiche sociali ed umane, prima ancora che economiche, che lo svilimento neoliberista dell’elemento lavoro ha comportato. In quest’ottica, la risposta migliore alla disuguaglianza di fatto sarebbe la restaurazione della disuguaglianza de jure: come scriveva Massimo Fini ne La ragione aveva torto, questa risulterebbe la meta finale del contro-pensiero neoliberista, ben oltre lo svilimento della democrazia da parte del mercato di cui scriveva acutamente Jean Paul Fitoussi nel 2016.

La minaccia portata alla società occidentali da tesi come quella sostenuta da Verga è di enorme portata; si è ben oltre “l’esercito di riserva” di Marx, ben oltre le enormi contraddizioni tra importanza del lavoro e tutele dei lavoratori che guidarono la “Grande Trasformazione” di cui scrisse Karl Polanyi. I braccialetti di Amazon rappresentano un primo passo nella direzione prospettata dall’autore che, per concludere, in apertura al pezzo sembrava trarre giustificazioni alla sua tesi da una citazione del recente film “Blade Runner 2049”: “Ogni progresso della civiltà è nato sulle spalle degli schiavi”. Dimenticava una cosa: che Blade Runner racconta una distopia. L’estremismo neoliberista, al contrario, è una concreta e deplorevole realtà, così come è una realtà il fatto che oggigiorno viviamo in una fase storica in cui ben 40 milioni di persone al mondo vivono nella situazione di schiavitù che Enrico Verga prospetta come salvifica per i lavoratori occidentali. Il sonno della ragione non genera solo mostri: a volte, genera anche gli articoli del Sole 24 Ore.

Andrea Muratore

Questo articolo è stato pubblicato qui

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